Finalista al National Book Critics Circle Award e segnalato fra i migliori libri dell’anno dal New York Times e dal Washington Post, Versioni di me, l’atteso terzo romanzo di Dana Spiotta, è uscito qualche mese fa in Italia per minimum fax, nella collana Sotterranei nell’ottima traduzione di Francesco Pacifico.
Cresciuti in simbiosi in un bungalow sulla superstrada di Hollywood, tra concerti rock e festini esagerati, nel fervore artistico degli anni ’70, i due fratelli Nick e Denise si scontrano con l’avanzare della mezza età e il bisogno di tenersi stretti i ricordi.
Nick e Denise sono uno l’ombra dell’altra. Lui, cantautore sbandato, dopo il fallimento con una promettente etichetta si rifugia in una vita di alcool e droghe. Una vita parallela, immaginaria trascritta meticolosamente nelle “Cronache”: volumi e volumi di resoconti, recensioni su importanti testate musicali, lettere dei fan, interviste false per celebrare la fama e, naturalmente, i suoi album. Perché Nick gli album li incide veramente, nella solitudine della sua casa dove, inventando etichette discografiche, ne stampa solo poche copie “in edizione limitata”.
E la sua fan è lei, Denise, la sorella-mecenate che lo ama fino all’idolatria da quando, adolescente, lo ascoltava eseguire l’emblematica Versions of me e lo seguiva ai concerti locali respirandone a pieni polmoni l’atmosfera ribelle.
La sorella che di fronte ai deliri di Nick non riesce ad assumere un atteggiamento univoco né tantomeno imparziale perché, in bilico tra le sue continue richieste di prestiti e l’angoscia per la vita sregolata del fratello, non può rinunciare all’ammirazione verso la sua musica.
E così, quando Nick porta a compimento la sua Ontology of Worth, un progetto antipop di circa venti album, e decide di sparire nel nulla, per uccidersi, magari solo metaforicamente, e “reinventarsi” una nuova vita, Denise si ritrova sola, dimezzata, oppressa dal bisogno di fissare nero su bianco i ricordi veri, e dà quindi vita alle “Contro-cronache”.
Un’urgenza bivalente, dettata sia dal bisogno di distinguere tra realtà e fantasia, sia dal terrore di una demenza senile ingorda di memorie, come quella che sta spegnendo lentamente la madre: un terrore da esorcizzare ingurgitando in segreto i farmaci di quest’ultima.
Ed è qui che la narrazione rischia di perdere quel suo tono epico, libertario, così piacevolmente “rock”: quando, attraverso il suo diario, inizia a delinearsi una Denise che fa dell’ipocondria e del melodramma i satelliti della sua esistenza giungendo a considerazioni al limite della banalità.
Denise, tanto intraprendente all’inizio del romanzo con la sua vita tutta sesso-droga-rock‘n’roll, adesso non riesce neppure a trattenere le lacrime di fronte ai drammi che le mostra il telegiornale, con flussi di emotività che puzzano di farsa e di moralismo stridulo. E la lingua con cui si esprime nelle sue Contro-cronache non fa che sottolinearlo, con i suoi eccessi di riflessioni tanto viscerali quanto comuni e di psicologia spicciola: «Mi rendevo conto, ovviamente, che le persone investono eventi esterni qualunque del peso spirituale della propria vita emotiva in modo da provare certe emozioni senza nemmeno doverle comprendere. Proviamo emozioni per le cose sbagliate e per le persone sbagliate».
Ma Denise, in fondo, è una telespettatrice come tanti e non ha paura di dirlo. E talvolta qualche notizia, per quanto catastrofica, la lascia indifferente facendola quasi vergognare.
«Aveva una strana sensazione di vuoto: aveva un buco di empatia teorico. Avrebbe dovuto essere atterrita, ma non lo era davvero. Non sentiva che la storia le stava entrando dentro. Perché? […] perché tutto quanto, tutta la vicenda, le pareva tanto profondamente straniera? Temeva che fosse quello, che stesse lì il motivo del suo distacco. C’era la sensazione segreta, vergognosa, che la situazione non fosse così tragica perché avveniva in un paese totalmente straniero. Non faceva altrettanto orrore.» Per questo rimane impassibile di fronte una scuola russa in fiamme, ma quando una bambina americana scompare lei sale su un aereo e percorre chilometri di autostrade solo per dire “mi dispiace” alla madre.
Nel diario di Denise, Dana Spiotta è volutamente ridondante così che il lettore possa avere un quadro chiaro della sua personalità. E, in un certo senso, quest’ultima è chiara già dalle prime pagine, quando leggiamo la finta lettera scritta da Nick, in cui scimmiotta la scrittura della sorella esagerandone le “tendenze digressive” in una delicata divagazione che si rivela, sfortunatamente, l’unico elemento riconducibile allo stile di Nabokov.
«Avevo la figura magra ma suntuosa del classico oggetto del desiderio. E in cima a tutto avevo questo scintillo extra, quello che fa pensare alla gente che dovresti fare l’attore, quello che fa sì che tutti lancino sguardi increduli a ogni dettaglio della sua persona. (Davvero l’avvallamento squisito del prolabio incontra il suo labbro superiore esattamente alla profondità più sensuale? Sì, davvero. Davvero i suoi lobi pallidi e piccoli pendono solo un poco ma rimangono attaccati alle orecchie nella maniera più elegante e modesta? Oh, sì. E così via.).»
Un romanzo che reclama il coinvolgimento emotivo del lettore e che riesce a ottenerlo solo in parte.
Qui un estratto del libro
Nota sull’autrice
Dana Spiotta (1966) è autrice di altri due romanzi, L.A. Girl (Frassinelli 2002), selezionato come «Notable Book of the Year» dal New York Times e Vivere un segreto (Mondadori, 2009). Insegna scrittura creativa presso l’Università di Syracuse dove vive con il marito e la figlia. Quando non scrive o insegna, Dana Spiotta, gestisce un ristorantino agricolo con il marito, The Rose & Kettle, sito al piano terra della loro abitazione. I suoi autori preferiti sono Faulkner, Joyce, Nabokov, Salinger e Virginia Woolf. Il suo sito internet è www.danaspiotta.com.
Nota sul traduttore:
Francesco Pacifico è nato a Roma nel 1977, scrittore e traduttore esordisce nel 2003 con il romanzo Il caso Vittorio pubblicato da minimum fax e l’anno successivo un suo racconto viene inserito nella raccolta La qualità dell’aria – storie di questo tempo (minimum fax). Insieme a Nicola Lagioia, Christian Raimo e Francesco Longo firma, con lo pseudonimo collettivo di Babette Factory, 2005 dopo Cristo (Einaudi, 2005). Nel 2007 pubblica, per Fazi, San Valentino. Come il marketing e la poesia hanno stravolto l’amore in Occidente. Il suo ultimo romanzo è Storia della mia purezza edito da Mondadori nel 2010. Scrive inoltre su Repubblica, Studio, Rolling Stone. Ha collaborato con Pubblico Giornale ed è redattore di Nuovi Argomenti e del blog minimaetmoralia. Dirige la rivista letteraria in pdf Piscine Notizie per l’élite e ha tradotto Will Eisner, Dave Eggers, James Brown, Ray Charles.
Per approfondire:
Leggi la recensione sul Sole 24 Ore
Versioni di me – Dana Spiotta
Traduzione di Francesco Pacifico
minimum fax, 2013
pp. 249, 16 euro