Caro Mario,
dunque ci siamo. Ancora una settimana, e potrai finalmente mettere piede, per la prima volta, in un Mondiale di calcio. Arrivi al tuo "appuntamento con la storia" con quattro anni di ritardo: potevi debuttare già in Sudafrica. Ricordi i tuoi folgoranti primi passi in Serie A? Da tempo, in Italia, non si vedeva un ragazzino della tua età avere un impatto così positivamente devastante col football che conta: subito tanti gol, molti dei quali decisivi, per un contributo significativo agli scudetti 2008 e 2009 dell'Inter, e personalità svettante. Poi la stagione 2009/10, fatta di troppi alti e bassi, e quella primavera che precedette il torneo iridato, con i primi inquietanti sbalzi caratteriali, le "balotellate" che, nell'immaginario collettivo, avrebbero ben presto preso il posto delle tristemente note cassanate: la maglia nerazzurra gettata a terra al termine della semifinale Champions col Barcellona fu solo il primo di una serie di spiacevoli episodi... Per questo, e per un rendimento comunque non all'altezza delle annate precedenti, la tua esclusione dal grigio listone di Marcello Lippi fece, in fondo, meno rumore di quelle di Giuseppe Rossi e dello splendido Cassano sampdoriano, due clamorosi autogol del cittì campione del mondo 2006, e lo si poteva dire già col senno del prima. SIMBOLO DEL NUOVO CORSO - Ti sono state offerte ampie possibilità di riscattarti, nei quattro anni successivi. Il tecnico azzurro Prandelli ti ha eletto, senza esitazioni, a giocatore simbolo del nuovo corso. Simbolo tout court, non solo in senso strettamente tecnico: esponente di punta di una linea giovane che doveva far giustizia dell'immobilismo di un calcio italiano per troppo tempo (e in buona parte ancora oggi) allergico alla valorizzazione del proprio vivaio; ma anche emblema di un Paese più moderno, il Paese dei "nuovi italiani", dell'integrazione e della tolleranza, del superamento delle diffidenze e dei razzismi legati al colore della pelle. Questione troppo complessa e delicata, quest'ultima, per essere affidata in toto a un pallone che rotola, me ne rendo conto: forse tu stesso hai mal sopportato questa responsabilità supplementare, questo ruolo di portabandiera di una nazione e non solo di una Nazionale.
Parliamo dunque di calcio, solo di calcio: sul campo, in maglia azzurra, hai spesso fatto balenare le tue colossali doti. La classe innata, il controllo di palla, la potenza di tiro abbinata alla precisione, la fisicità che ti consente di giganteggiare nei contrasti, la capacità di "far reparto da solo", come si dice in gergo, e quella di fare splendidi gol ma di saper realizzare anche quelli in apparenza banali, dote che è mancata a diversi geniacci del pallone che ti hanno preceduto: odiavano la semplicità, si beavano di un ghirigoro e disdegnavano le giocate più ovvie. COME PABLITO - Tu no: nel tuo giorno più bello, il 28 giugno del 2012, hai infilato nella porta di Neuer due reti di pregevole fattura ma non esteticamente eccezionali, un colpo di testa e una fiondata in contropiede: roba semplice, per l'appunto, ma pesante, pesantissima. Imprese come quella della semifinale europea di due anni fa non nascono per caso: a Varsavia, contro la Germania, sei stato "hombre del partido" come lo fu Pablito Rossi contro il Brasile nel 1982: formidabile finalizzatore di una squadra in serata di grazia, che come trent'anni prima capovolse un pronostico nettamente sfavorevole imponendosi con pieno merito. Sono quelle gare, quelle prestazioni che possono segnare in positivo la carriera di un calciatore, possono darle la svolta: da quel momento in poi, avresti dovuto essere l'uomo in più, quasi il nostro Cristiano Ronaldo.
LA CRISI DOPO LE PRODEZZE POLACCHE - Ebbene, non è stato così. Caro Mario, ti sei avvitato in un gorgo di tristi pettegolezzi, vicende che sarebbe stato meglio fossero rimaste private, bizzarre mattane (in parte amplificate all'eccesso da una stampa italiana ai minimi storici di credibilità). Ma ciò che più mi ha amareggiato, che ha amareggiato tutti, è stato il Balotelli calcistico: sprazzi da fenomeno, momenti da "fuoriclasse che risolve le partite da solo", in azzurro e nella prima mezza stagione col Milan, un Milan modesto portato quasi di peso in Champions League dai tuoi gol; ma, fra un risveglio e l'altro, tante, troppe partite (soprattutto nei club) all'insegna dell'apatia, dell'insofferenza: la sensazione che trasmettevi allo spettatore era quello di un atleta che andava in campo controvoglia, e per un beniamino delle folle e dei bambini non c'è nulla di peggio. E poi il vittimismo strisciante, dal "Why always me?" in poi, e le risposte piccate a esperti di calcio che con le loro critiche cercavano solo di pungolarti, di farti crescere tecnicamente e umanamente.
Fai rabbia, Mario. Mentre molti cominciano a parlare di te come di un sopravvalutato, io (ma non credo proprio di essere il solo) sono ancora convinto che di talenti come il tuo il calcio italiano ne abbia prodotti ben pochi, in questi vent'anni, dopo Roby Baggio (inarrivabile) e Andrea Pirlo. Potresti spaccare il mondo e... la Coppa del Mondo, potresti vendemmiare gol e trascinare i compagni a imprese che, un giorno, ci piacerebbe raccontare ai più giovani. Potresti, ma non riesci ad abbattere quel muro che impedisce ai calciatori ricchi di classe ma incostanti, lunatici, inaffidabili, di entrare nel ristretto novero dei campionissimi decisivi.
L'ITALIA SENZA MARIO - La maggioranza degli esperti, o sedicenti tali, è assai scettica su di te: se fino a pochi anni fa ti esaltava, ora è convinta che puntare sul Mario non più Super in Brasile sia un azzardo troppo grosso; si dice che tu sia destinato a diventare un'altra delle tante occasioni perdute dal football italico, e si rimprovera Prandelli per non aver sperimentato formule alternative, cui far ricorso nel caso che uno dei tuoi... colpi di testa dovesse privare la squadra del tuo apporto. Non è del tutto vero: una delle Italie più convincenti degli ultimi due anni l'abbiamo vista senza di te in campo, l'anno scorso in Confederations Cup quando, per un'ora, prendemmo letteralmente a pallonate la Spagna campione di tutto, per poi cedere onorevolmente ai calci di rigore; un'Italia brillante a cui, comunque, mancò qualcuno in grado di finalizzare lo splendido lavoro di costruzione: uno come te. Ma è stato un episodio, e del resto anche Bearzot, nel biennio 1980 - 1982, si astenne dall'esplorare strade nuove, fidando ciecamente nel rientro e nel ritorno ad alti livelli di Rossi, del suo Pablito.
RISCHIO CALCOLATO - Due azzardi, il Rossi di ieri e il Balotelli di oggi: casi diversissimi fra di loro, per certi versi nemmeno paragonabili, ma comunque azzardi. Ecco, io sono convinto che rischiare su di te, Mario, abbia ancora un senso. Come uomo, l'ho già scritto tante volte sul mio modestissimo blog, non ti chiedo né mai ti chiederò di cambiare in toto: un ragazzone esuberante e ribelle non può diventare un'educanda. Ma, a 24 anni, smussare in parte le spigolosità del proprio carattere è ancora possibile, è quasi un dovere. Io, nel Balotelli in versione azzurra, ho spesso intravisto segnali positivi. Detto di alcune prove di altissimo livello come quella coi tedeschi, rimasi colpito nell'ottobre 2012 quando, nella sfida di qualificazione ai Mondiali contro la Danimarca a Milano, giocasti una partita di pura abnegazione, di generosità, rientrando a dar manforte ai compagni e coronando la serata con una rete irridente per gli avversari, un tocco quasi impercettibile di esterno, uno svolazzo a beffare il portiere nordico.
In azzurro cerchi sempre di "esserci": e anche nella sciagurata serata perugina, quell'orrido pareggio col Lussemburgo che resterà una delle pagine più buie del nostro calcio, hai mostrato volontà, buona gamba, discreta ispirazione: hai fornito un assist vincente, hai cercato il gol in più di un'occasione, hai colpito una traversa. Devi aggiustare la mira, certo, ma fossero questi i problemi... Insomma, mi è parso di vedere un Mario sulla strada buona, pronto persino a un Mundial di puro sacrificio, in questa formula a una sola punta che rischia di prosciugarti le energie.
FIDUCIA - Per tutto questo, caro Mario, sento di poter riporre in te, ancora per una volta, la fiducia che si deve a un talento ancora inespresso e alle prese con l'occasione della vita. In Brasile ti giochi tutto: non credere che un altro appuntamento mancato non possa avere conseguenze negative. Fallire col Manchester City o col povero Milan attuale è una cosa, con tutto il rispetto: fallire un Mondiale con la propria Nazionale, dopo aver già disseminato il proprio cammino di troppe delusioni, vorrebbe dire uscire dal giro che conta: vorrebbe dire, nella migliore delle ipotesi, diventare il nuovo Cassano, in grado di ritrovarsi e di strappare applausi in provincia dopo aver fatto cilecca nei club metropolitani. Non credo sia questo ciò che tu vuoi. Non sei più Supermario, hai chiesto a tutti di dimenticare quell'appellativo, e hai fatto bene: i super, nel calcio, sono altri. Però quel nomignolo lo tengo lì, pronto, a... fil di tastiera: proprio impossibile rispolverarlo nelle prossime settimane? La risposta la attendo da te. Buon Mondiale, Balotelli.