- non esiste la nostra magica espressione "ti amo", ma pudicamente "c'è dell'amore" come si direbbe asetticamente "fuori nevica o piove"
- il colore del lutto non è il nero, ma il bianco
- quando parli l'ascoltatore annuisce spesso ma non perchè è d'accordo, semplicemente per confermare che sta ascoltando
- se nelle piazze di Parigi o di Venezia ci sono i piccioni, a Tokyo invece scorazzano i corvi
- si fanno delle riunioni per preparare le riunioni
- non si risponde mai "no", ma un diplomatico "è difficile" che praticamente vuol dire la stessa cosa
-è sempre in vigore la pena di morte per impiccagione
-in giapponese esiste una parola intraducibile che designa lo sguardo dell'imperatore e solo il suo. Ma nessuno può vedere quello sguardo poiché è proibito guardare l'imperatore
- a differenza dei tifoni occidentali dai nomi di donna, quelli giapponesi non hanno sesso, ma solo un numero e ogni anno si ricomincia il conto dopo l'estate quando si apre la stagione dei tifoni
- alla larga dall'abbronzatura e dal sole: "il meglio del sole, è l'ombra" si legge in un romanzo giapponese di Jean Echenoz
-l'inferno noi lo immaginiamo rovente fra le fiamme, ma per i giapponesi gli inferi hanno 16 regioni, 8 di fuoco e 8 glaciali. Consoliamoci, i nomi di quegli abissi di ghiaccio sono molti poetici: loto rosso, loto blu, loto scarlatto, loto bianco.... .
Per finire un libro interessantissimo "La dimensione nascosta" dell'antropologo americano Edward T. Hall e gli amici architetti mi dicono che l'ho scoperto molto in ritardo perché è considerato un testo chiave per coloro che si occupano di urbanistica . Partendo dall'osservazione del mondo animale, lo studioso analizza quello spazio nascosto ma necessario e invalicabile di cui ogni essere vivente ha bisogno per vivere in equilibrio nel suo habitat, "Lebensraum" (spazio di vita, letteralmente) lo definisce il tedesco, e lasciamo perdere l'uso nefasto che ha fatto il nazional-socialismo di questa bellissima parola. Hall dedica molte pagine allo specifico giapponese e sottolinea come ogni civiltà abbia una maniera diversa di concepire lo spazio e la sua organizzazione. Gli abitanti del sol levante di spazio ne hanno poco e dunque lo vivono diversamente: non attraverso muri fissi, ma col gioco di pareti mobili la stessa stanza avrà più funzioni e le varie attività si concentrano al centro dell'ambiente. A seconda del momento della giornata e delle necessità la stanza potrà ingrandirsi fino a comprendere il giardino esterno o rimpicciolirsi come uno studiolo. Fondamentale secondo l'antropologo quel concetto peculiare alla cultura giapponese del "ma", lo spazio"fra", l'intervallo fra le cose, dove ogni tipo di "intervallo" ha un suo preciso significato e un nome diverso; forse per questo a Tokyo le strade non hanno un nome mentre ce l'hanno i crocevia, luoghi dell'intervallo e dell'intersezione e le case sono numerate non in base alla sequenza stradale ma alla loro anzianità. Leggere "La dimensione nascosta" fa riflettere su quanto le diverse concezioni degli spazi e dei modi di viverli testimonino di culture e mentalità profondamente eterogenee, esserne consapevoli aiuterebbe la reciproca comprensione.
E manco a farlo apposta al museo Leopold di Vienna ho appena visto una bellissima mostra dal titolo che fa subito entrare in atmosfera esotica: "Fragilità dell'esistenza".