Siamo partiti verso le 12 ed e’ stata una partenza in tipico stile orientale. Come in certe stazioni dei bus indiani, quando l’autista sale a bordo, fa rombare i motori, tutti si affrettano, urla alla gente davanti di spostarsi e si fa largo tra gli altri mezzi in uscita e entrata. Eravamo pronti a salpare, infatti, quando la torre di controllo ha detto che doveva arrivare prima un traghetto passeggeri da Port Sudan e che aveva la precedenza. Nel frattempo il cargo che avevamo dietro sulla stessa banchina, la Cota Kabar di Singapore, mezza vuota e della nostra stessa dimensione, aveva gia’ mollato gli ormeggi e aveva un rimorchiatore a fianco ma, incredibilmente, la gru continuava a caricare container. Forse qualche camion arrivato un ritardo....
Nel frattempo un pilota saudito era gia’ arrivato a bordo e si era seduto su una delle due poltrone di comando abbastanza rilassato, mentre Carpentier sudava freddo sotto il suo cappellino da basket e imprecando contro qualcuno (forse la societa’...) ripeteva “io qui non ci vengo piu’”.
Insomma, nel giro di una ventina di minuti, nello strettissimo porto di Jedda e’ arrivato il traghetto, e’ partita la Cota Kabar, che ci e’ passata a sinistra e subito dopo la Medea si e’ staccata dalla banchina accodandosi. Il comandante Carpentier ha tirato un sospiro di sollievo, ma non si e’ staccato dai comandi fino a quando non ha raggiunto il mare aperto e si e’ messo sulla rotta. “Il pranzo puo’ aspettare” ha detto al timoniere e agli ufficiali rumeni che invece imperturbabili scendevano a mangiare.
Anche io e il mio copasseggero siamo scesi a pranzo un po’ piu’ tardi. Abbiamo capito che eravamo fuori dalle acque internazionali quando Adriana, la cadetta rumena, e’ passata a lasciarci il foglio del giornale di bordo in cui c’era come al solito una pin up semi nuda distesa sulla pancia che occupava praticamente tutto lo spazio dedicato agli “evenements” e alle “naissances”. Abbiamo riso per questo ritorno alla ‘normalita’’. Poco dopo e’ stata riportata anche una cassa di alcolici nel bar di sopra, al ponte C, che e’ unito con la mensa da una scala a chiocciola.
Nel pomeriggio decido di uscire a prua. Il comandante mi da’ la sua radio ricetrasmittente. “Purtroppo dobbiamo seguire le regole – dice – anche se cerchiamo di essere flessibili”. Esco fuori con il walkie talkie ma stupidamente non lo accendo...quindi era come se non ce l’avessi avuto. Quando arrivo nel fo’c’sle (si chiama cosi’ in inglese lo spazio sulla prora dove ci sono le ancore) mi siedo sulla solita panchina, che ho soprannominato, la panchina del Titanic, perche” da li’ si puo’ imitare piu’ o meno l’arcifamosa scena di “Rose” che vola sulle note di Celine Dion.
E’ qui che ho vissuto una delle cose piu’ fantastiche di questo viaggio. A un certo punto infatti vedo delle testoline luccicanti davanti a me, un guizzo, della schiuma, e poi cinque grossi delfini si mettono a nuotare davanti al bulbo della nave. Sembravano quasi fermi, eppure andavano velocissimi, sorpassandosi e saltando in avanti ogni tanto, come se facessero a gara con quello strano “coso rosso” che e’ il bulbo. Mi sembrava anche di aver udito i loro versi, ma forse era il vento che sibilava tra le mie orecchie mentre mi sporgevo per riprendere un video. Piu’ tardi l’ho mostrato agli ufficiali e mi hanno detto che i delfini giocano con il bulbo e con le correnti che si formano li’ davanti.
Queste sono le mie riflessioni a caldo, che ho scritto sul telefonino, mentre assistevo a questa scena: “Da prua si sente lo scafo della Medea fare le fusa come alcune volte fa una barca quando ha le vele a segno...stavo scrivendo queste righe quando ho visto dei bagliori piu’ avanti e un suono inconfondibile, quello dei delfini. Un gruppo di sei o sette si e’ messo a giocare davanti al bulbo. Si rotolavano e guizzavano felici davanti ai miei occhi pieni di lacrime per l’emozione. Avevo letto che i delfini giocano con le navi, ma non pensavo di avere la fortuna di assistere ai loro giochi. Grazie mare, grazie Madre Natura, mi vergogno quasi di essere cosi’ felice...”.