La retorica festivaliera dice che il futuro della canzone italiana va cercato tra i ragazzi in gara, ma poi le regole della terra dei cachi cancellano ogni loro visibilità, relegandoli in tv a tarda ora. Da qualche anno, per tentare di dare un mimino di attenzione in più ai presunti campioni del domani, la Rai non li fa più arrivare all’Ariston con canzoni inedite, ma con brani che dovrebbe provvedere lei stessa a diffondere. Non che lo faccia più di tanto, ma almeno, prima di finire nella bolgia sanremese, si può provare a capire, sul fronte dei Giovani, che Festival sarà.
Con il solo Rocco Hunt a tener alta la bandiera del rap, oggi genere principe in Italia e nel mondo, ma chissà perché non in Riviera, il canto pallido e assorto di Mengoni, di Sangiorgi e di Elisa sembra dettare legge con un’attenzione cantautorale che prova a smentire anni di infatuazione da talent show.
Diodato, che di nome fa Antonio ed abbiamo sentito al cinema in una cover di De André, canta con tono tra la voce di «L’essenziale» ed il frontman dei Negramaro una storia d’amore in fuga dalla «Babilonia» che è la nostra esistenza quotidiana.
Piace Filippo Graziani, figlio di Ivan ed una gavetta newyorkese tra stoner rock e songwriting: in «Le cose belle» con il falsetto di papà regala un piccolo inno a quelli intorno ai trent’anni, generazione a spasso che non si vuole accontentare di «diventare carne da statistica»: «Se le promesse che ci hanno fatto/ci hanno fatto rimanere sotto... So cosa fare/sono un pirata e voglio navigare/e chi lo dice che non sia normale/fare una vita irregolare/poche certezze ed un sogno in testa». Invece di maturare, insomma, basta imparare che «a volte anche le cose belle fanno male».
Piacciono, sul fronte cantautorale, The Niro e Zibba, anche loro non certo sconosciuti: il primo, all’anagrafe Davide Combusti, romano, classe ’79, ci riporta con gusto tra Radiohead e Coldplay, e di nuovo in falsetto, al «1969» del primo uomo sulla luna, catturando l’attenzione del mondo davanti alla tv: «Stati uniti mai più/così uniti mai più»; il secondo con «Senza di te», si misura in una ballata folkeggiante dalla melodia languida e a tratti fossatiana, mostrando un avvicinamento al pop già intravisto in «La vita è felicità», scritta con Tiziano Ferro per Michele, il vincitore dell’ultimo «X Factor».
Poco interessanti i due scognomati che hanno conquistato il passaporto per la gara grazie a «Area Sanremo»: Bianca (Emma Fuggetta, torinese, del ’93) che con «Saprai» guarda a Malika Ayane e riscrive Ungaretti («Si sta come foglie sui rami a novembre») e Vadim (Valenti, romano, del ’79) che nella «Modernità» annacqua rivendicazioni generazionali dal piglio vascorossiano («Noi a casa, voi a casa/il computer lavorerà... Non ho compreso il posto che posso occupare/forse non posso nemmeno respirare») con la solita lei «che ha bisogno di più». Anche l’unica altra chanteuse del gruppo delude: Veronica De Simone arriva da «The Voice» e insegue «Le nuvole che passano» come in una filastrocca schiacciata tra Elisa e le ugole anoressiche da talent show.
Ma che musica ci gira intorno oggi in Italia lo dice davvero Rocco Hunt (19 anni, da Salerno), Rocchino per gli amici, «Poeta urbano» reclama il titolo del suo ultimo album. In «Nu juorno buono» il suo rap ha l’orgoglio di un dialetto (moderato e alternato all’italiano) alla ricerca dell’armonia perduta troppo tempo fa da una Campania Felix diventata Gomorra. Una chitarra acustica scandisce i suoi versi, un risveglio positivo, il sole, ’na tazzulella di caffè, ’a cartulina ’e Napule, poi però altro che stereotipi: «Questo posto non deve morire/La mia gente non deve partire/Il mio accento si deve sentire/La strage dei rifiuti/l’aumento dei tumori/Noi siamo la terra del sole/non la terra dei fuochi». L’utopia («Tagliate quella linea che divide Nord e Sud»), il paradosso (i soldi prestati alle banche che non li prestano alla gente), la realtà nera più della mezzanotte («Guardo il cielo per cercare chi purtroppo non c’è più»), mammà che ha finito di fare i servizi, lo stereo che spara le canzoni a palla... Pagliarulo, scugnizzo hip hop, ha un pensiero positivo, per qualcuno forse troppo buonista, ma sa che la camorra è armata non solo di coltello, che «la violenza è stata sempre il metodo di chi non ha cervello». «Nu juorno buono» per la canzone italiana quello che porterà a Sanremo Rocco Hunt, rapstar di 19 anni.
Federico Vacalebreper "Il Mattino"