L’idea non è nuova. Già all’indomani del disfacimento dell’impero sovietico, infatti, il primo ministro e poi presidente Turgut Özal aveva prospettato forme di cooperazione economica, culturale, scolastica e linguistica con gli stati turcofoni di nuova indipendenza dell’Asia centrale e l’istituzionalizzazione – attraverso vertici periodici e un mercato comune – di una comunità turca estesa “dalla Grande muraglia all’Adriatico”. Ma la Turchia era politicamente instabile ed economicamente fragile, lo stesso Özal morì nel 1993: i risultati raggiunti sono stati episodici e trascurabili.
I tempi sono però cambiati, Ankara ha ininiziato un processo di vorticoso sviluppo economico e gode di invidiabile solidità politica; in più, in carica dal 2009, il ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu ha ripreso e reso più coerente l’agenda degli anni ’90: con l’obiettivo di trasformare la Turchia nel pivot geopolitico del continente afro-eurasiatico, proiettando influenza politica e culturale e radicando interessi economici in tutte le sue periferie – Asia centrale compresa.
Concreto tassello di questa strategia, il 20 e 21 ottobre si è tenuto ad Almaty – in Kazakistan – il primo summit del Consiglio di cooperazione degli stati turcofoni (Ccst): l’organizzazione internazionale – istituita con l’accordo di Nakhchivan nel 2009 e con la dichiarazione di Istanbul nel 2010 – che raggruppa la Turchia, il Kazakistan, l’Azerbaigian e il Kirghizistan; in attesa dell’adesione, sollecitata a più riprese, di Turkmenistan e Uzbekistan (il quinto “stan”, il Tagikistan, è invece persianofono): e il presidente turco Abdullah Gül, lo scorso anno, non a caso parlò di “una sola nazione divisa in sei Stati fratelli”. Un tragico imprevisto ha però sottratto al vertice di Almaty rilevanza politica e ribalta mediatica: l’attacco del Pkk a Çukurca proprio alla vigilia, che ha fatto 24 vittime tra i soldati turchi e ha spinto il primo ministro Erdoğan a rimanere in patria; è stato sostituito dal vice-premier Bekir Bozdağ, che ha partecipato insieme al padrone di casa Nursultan Nazarbayev, al presidente kirghizo Roza Otunbayeva, al presidente azero Ilham Aliyev.
Il Ccst dispone di una struttura istituzionale ramificata e ben congegnata, così come sancito dalla dichiarazione di Istanbul: basata su di un segretariato generale in riva al Bosforo guidato dall’ambasciatore turco Halil Akıncı e su vertici regolari ai livelli di capi di Stato, di ministri degli Esteri, di alti funzionari; estesa alle pre-esistenti Türkpa, l’assemblea parlamentare che si è riunita per la prima volta nel 2009, e Türksoy, nata già nel 1993 per occuparsi della valorizzazione del patrimonio culturale e linguistico comune; da espandere – secondo i piani – con la costruzione di un grande museo di storia dei popoli turchi ad Astana e con la creazione di un’unione interuniversitaria e di un fondo per la ricerca scientifica.
Ad Almaty – l’unico vero successo dell’incontro, in cui ha altrimenti prevalso la retorica – è stato istituito anche un Consiglio economico di cui fanno parte anche le organizzazioni imprenditoriali, col duplice obiettivo di rafforzare la cooperazione multilaterale dei quattro e di eliminare gli ostacoli al commercio, a cominciare dai visti; mentre rimane sulla carta l’opzione di affiancargli una Banca per lo sviluppo e una Compagnia d’assicurazioni per finanziare le attività private nei settori non legati all’energia. Un mercato unico dell’Asia centrale da 200 milioni di persone in divenire, quindi: anche se gli interessi legati alla commercializzazione in Europa degli idrocarburi del mar Caspio rimangono al momento nettamente prevalenti, senza dimenticare che il Kazakistan fa parte dell’unione doganale con Russia e Bielorussia – primo passo verso l’Unione economica eurasiatica – e che il Kirghizistan dovrebbe aderire a breve. Altre priorità, forse.
L’appuntamento per il secondo summit – nel 2012 – è a BishkekIstituto Parll, la capitale del Kirghizistan: e il tema generale sarà l’istruzione, la cooperazione culturale e scientifica. Un modo magari per coinvolgere la società civile, fino ad ora – uomini d’affari a parte – rimasta ai margini; ma i partner della Turchia sono stati autoritari e attività a sostegno della democrazia non sono ovviamente previste: anzi, la stessa dichiarazione conclusiva di Almaty enfatizza la necessità di rispettare gli affari interni degli stati membri. Gli investimenti prima di tutto.