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Verso una nuova strategia dell’UE: problemi e prospettive del Partenariato Orientale dopo Riga

Creato il 02 ottobre 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

UE-partenariato-orientale

di Andrea Leva

All’ombra dei recenti mutamenti geopolitici sul continente europeo, si prospetta una modifica sostanziale dei concetti cardine che hanno contraddistinto il Partenariato Orientale sin dalle sue origini. L’iniziativa, sebbene ambisse a conferire maggiore stabilità al continente europeo, ha palesato tutti i limiti di un progetto mirante principalmente a garantire i progressi democratico-liberali dei partner minori. Lo sviluppo del Partenariato, per un verso, non ha evitato lo scoppio di crisi e conflitti ai confini dell’UE; dall’altro, ha fortemente inasprito le relazioni tra Bruxelles e Mosca. Una ridefinizione della strategia europea, dunque, è divenuta necessaria per confrontarsi con le effettive dinamiche geopolitiche del vicinato orientale.

Origine e risultati del Partenariato Orientale

Il Partenariato Orientale, a dire il vero, era stato promosso con l’intenzione di evitare lo sviluppo di nuove divisioni in Europa. Le linee guida per la sicurezza dell’UE, tracciate dal Consiglio nel 2003, avevano ribadito l’importanza di un mondo di stati democratici ben amministrati. Il documento chiariva che «la diffusione del buon governo, il sostegno alle riforme politiche e sociali, il contrasto della corruzione e dell’abuso di potere, lo stabilimento dello stato di diritto e il rispetto dei diritti dell’uomo rappresentano i mezzi più efficaci per il rafforzamento dell’ordine internazionale». Le relazioni con i vicini orientali, dunque, dovevano orientarsi in tale direzione. Come sottolineò l’allora Presidente della Commissione Romano Prodi (1999-2004), Bruxelles doveva circondarsi di una “cerchia di amici” ai propri confini, con cui condividere “i principi, i valori e le norme” alla base dell’integrazione europea, sebbene non necessariamente le istituzioni [1]. All’interno di questa cornice, il 7 maggio 2009, il summit di Praga sanciva la nascita del Partenariato Orientale.

Il Partenariato si definiva come il naturale sviluppo ad Est della Politica Estera di Vicinato (PEV), iniziativa più ampia lanciata nel 2004 per incentivare le relazioni con i tutti Paesi confinanti. Già la PEV, infatti, aveva promosso un graduale avvicinamento all’UE attraverso la definizione di Piani d’Azione volti al progresso democratico-liberale dei vicini orientali e meridionali. Il Partenariato, in virtù della sua natura più circoscritta, conservava sì i tratti essenziali dell’iniziativa originaria, ma maturava ambizioni decisamente maggiori. Il progetto si sviluppava lungo quattro piattaforme tematiche: democrazia, buon governo e stabilità; integrazione economica e convergenza con le politiche settoriali dell’UE; sicurezza energetica; contatti fra le persone. L’intento di Bruxelles era di favorire con maggiore efficacia interventi strutturali nella sfera politica ed economica dei vicini orientali. Il primo incontro con i sei Paesi aderenti – Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina – si concludeva con una dichiarazione congiunta. L’obiettivo comune era di aumentare la cooperazione politico-economica sul continente europeo, nonché di favorire maggiori contatti fra le società civili dei rispettivi paesi nell’ottica di una possibile integrazione futura nell’UE. Bruxelles, così, mirava sia allo sviluppo democratico-liberale dell’Europa orientale e del Caucaso meridionale sia ad un possibile allargamento ulteriore nel medio-lungo periodo.

A sei anni dal lancio dell’iniziativa, il Partenariato ha raggiunto diversi risultati. Il progetto ha favorito la stipulazione di una serie di accordi tra l’UE ed i Paesi partner, tra cui un Accordo di Associazione, che include l’istituzione di una zona di libero scambio, firmato il 27 giugno 2014 con Ucraina, Moldavia e Georgia; la liberalizzazione del regime dei visti Schengen per i cittadini moldavi, approvata dal Parlamento a fine febbraio 2014; l’adesione di Moldavia ed Ucraina, rispettivamente nel maggio 2010 e nel febbraio 2011, alla Comunità dell’Energia. A ciò, va aggiunta una crescita dei flussi commerciali tra l’UE e i vicini orientali, frutto di una progressiva riduzione o abolizione delle restrizioni al commercio e del ravvicinamento normativo dei partner alla legislazione dell’UE. Infatti, dopo il calo del 2009 – dovuto soprattutto alla crisi economica mondiale – in cui si registrò un volume complessivo pari a € 42,6 miliardi, il valore dei flussi commerciali ha raggiunto il picco di € 74,9 miliardi nel 2013. Sebbene gli scambi siano diminuiti nel 2014, raggiungendo un volume di € 65,5 miliardi, la tendenza degli ultimi sei anni è decisamente positiva [2]. Inoltre, l’UE è stata impegnata anche sul fronte del sostegno finanziario, stanziando € 2,5 miliardi nel periodo 2010-2013 – attraverso il programma E.N.P.I. – e rinnovando il proprio impegno con l’iniziativa E.N.I., un investimento pari a 15 miliardi nel periodo 2014-2020 per tutti i paesi compresi nella PEV.    

I risultati del Partenariato, tuttavia, non sono completamente soddisfacenti. L’ambizione dell’UE di conseguire una concreta stabilità regionale investendo sullo sviluppo democratico-liberale dei propri vicini orientali non si è effettivamente realizzata. Lo scoppio della crisi ucraina nel marzo del 2014, piuttosto, ha indicato quali dinamiche possano infrangere i precari equilibri del vicinato orientale.

Il ritorno della geopolitica nel vicinato dell’UE

Come ha recentemente osservato Stev Biscop, “Europeans are very fortunate that among themselves, within their Union, they need no longer think about geopolitics and count tanks, fighter aircraft, and battleships. But that should not blind them to the fact that outside the EU geopolitics still matter” [3]. Tali considerazioni ben introducono i problemi del Partenariato all’indomani dello scoppio della crisi ucraina. Da un lato, la crescente ostilità della Russia al progetto, concretizzatasi sia nell’istituzione di un piano alternativo d’integrazione politico-economica sia nella violazione della sovranità ucraina; dall’altro, la debolezza statuale di alcuni partner dell’UE, costretti a confrontarsi con le rivendicazioni di aspiranti regioni separatiste. I due problemi, sebbene apparentemente distinti, si sono pericolosamente combinati nella crisi ucraina.

L’avversità della Russia al Partenariato era apparsa evidente sin dai primi sviluppi dell’iniziativa. Durante un simposio ad alti livelli svoltosi a Bruxelles il 21 marzo 2009, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov aveva accusato l’UE di voler espandere la propria «sfera d’influenza» attraverso il Partenariato [4]. Il progetto, infatti, era apparso come una logica continuazione degli allargamenti promossi da UE e NATO dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica. Mosca, a questo punto, ha rilanciato l’iniziativa di un integrazione regionale con Bielorussia e Kazakistan, stabilendo un’Unione Doganale entrata in vigore il 1° gennaio 2010. Due anni dopo, l’accordo si è esteso con la nascita di uno Spazio Economico comune. Nel 2013, mentre progredivano le trattative tra l’UE e quattro Paesi partner (Armenia, Georgia, Moldavia e Ucraina) per istituire un’area di libero scambio, la Russia ha aumentato le pressioni economico-diplomatiche sui propri vicini, evitando che Armenia ed Ucraina firmassero un accordo con l’UE. Si è palesata, così, la crescente competizione tra Mosca e Bruxelles per attrarre i Paesi del vicinato condiviso nei rispettivi progetti d’integrazione politico-economica. L’Ucraina, in tale scenario, ha oscillato tra UE e Russia nel tentativo di preservare buone relazioni con entrambe. Durante il summit di Vilnius, il premier ucraino Yanukovych ha tentato di inserire la Russia nei negoziati proponendo un incontro trilaterale con Mosca. [5]. Il rifiuto dell’UE, tuttavia, ha rimarcato una chiara frattura sul continente europeo che, di lì a poco, sarebbe sfociata nella crisi ucraina. Il governo di Kiev, stretto tra due fuochi, non è riuscito a gestire la conflittualità latente in seno al Paese. A febbraio 2014, a seguito della repressione delle proteste di piazza scaturite dal mancato accordo con l’UE, il governo Yanukovych è caduto. A marzo, la Crimea è stata annessa dalla Russia dopo un referendum popolare a favore del ricongiungimento con Mosca, permettendo una prima trasformazione de facto dei confini territoriali ucraini. Ad aprile, dopo una fase di scontri armati tra i separatisti filorussi e le forze governative nelle zone orientali del Paese, le regioni di Donetsk e Luhansk si sono autoproclamate Repubbliche indipendenti. Nonostante la stipulazione degli accordi di Minsk, l’ultimo dei quali siglato nel febbraio 2015, il paese tutt’oggi non è pacificato.

Gli eventi ucraini hanno mostrato quali dinamiche possano condurre ad ulteriori destabilizzazioni nel vicinato dell’UE. Infatti, mentre il progetto d’integrazione guidato da Mosca è progredito – a fine maggio 2014, Russia, Bielorussia e Kazakistan hanno siglato un ulteriore trattato istituendo l’Unione Economica Euroasiatica (UEE), a cui l’Armenia si è unita il 2 gennaio 2015 e il Kirghizistan l’8 maggio successivo – i potenziali focolai nel vicinato orientale restano almeno quattro: la Transnistria, regione situata nella zona orientale della Moldavia, ossia al confine con l’Ucraina; l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, regioni riconosciute a livello internazionale come entità territoriali della Georgia; la regione del Nagorno-Karabakh, contesa da Armenia ed Azerbaijan.

Si tratta, in realtà, di cosidetti stati de facto, ossia di entità politiche territorialmente definite e dotate di una solida sovranità interna, ma prive di riconoscimento a livello internazionale. Con il dissolvimento dell’Unione Sovietica, tali regioni sono state attraversate da conflitti che, sebbene congelati da accordi stipulati nella prima metà degli anni ‘90, non si sono definitivamente risolti. La natura post-sovietica di queste entità territoriali, inoltre, ha favorito un progressivo avvicinamento a Mosca. Studi recenti, come mostrato nella tabella 1, affermano che la maggioranza della popolazione di queste regioni sia divisa tra la preferenza per una completa indipendenza ed un ricongiungimento con la Russia, piuttosto che con lo stato vicino d’appartenenza.

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Preferenze per l’indipendenza o il ricongiungimento alla Russia – Fonte: O’Loughlin J., Kolossov V., Toal G., “Inside the post-Soviet de facto states: a comparison of attitudes in Abkhazia, Nagorny Karabakh, South Ossetia, and Transnistria”, Eurasian Geography and Economics, 2014, Vol. 55, No. 5, pp. 423-456.

All’indomani della crisi ucraina, gli equilibri di queste aree sono diventati ancora più precari. Da agosto 2014, Armenia ed Azerbaijan hanno rotto il cessato il fuoco stabilito con la tregua del 1994. Ai confini tra i due paesi si verificano frequentemente scontri a bassa intensità tra militari armeni ed azeri. In tale contesto, la Russia funge da ago della bilancia poiché Erevan è un membro dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, mentre Baku si rifornisce militarmente proprio da Mosca, il maggiore alleato del vicino rivale.   

L’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, invece, hanno siglato due trattati con la Russia – rispettivamente il 24 novembre 2014 e il 18 marzo 2015 – con i quali Mosca ha garantito sia sostegno economico sia militare per la sicurezza delle due regioni. I due accordi, inevitabilmente, sono divenuti la principale fonte di disaccordo nelle relazioni russo-georgiane, permettendo a Mosca di acquisire maggiore controllo ed influenza sui territori che Tbilisi rivendica di propria appartenenza.

In Transnistria, infine, sono aumentate le tensioni tra Moldavia, Ucraina e Russia. La presenza di militari russi, stimata in circa 1.300-1.500 unità, è ormai considerata una minaccia da Chisinau e Kiev, piuttosto che una garanzia per il mantenimento della pace. Da marzo 2014, entrambi i Paesi hanno promosso misure per limitare l’accesso e i rifornimenti alle forze di Mosca nella regione.  

Il Partenariato Orientale dopo Riga: verso una nuova strategia dell’UE

I precari equilibri del vicinato orientale hanno costretto l’UE a riconoscere i limiti della propria strategia. A fine marzo 2014, una dichiarazione congiunta della Commissione evidenziava «le trasformazioni rapide e complesse del contesto geostrategico», facendo appello ad un Unione capace di «reagire agli sviluppi nel proprio vicinato» [6]. Poco dopo, la neoeletta Commissione Junker s’incaricava di una complessiva revisione dei rapporti tra Bruxelles e i partner orientali, precisando l’interruzione del processo di allargamento durante il proprio mandato. Con queste linee guida, Federica Mogherini – nominata Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza – ha avviato una fase di consultazioni sul futuro della politica di vicinato.

All’origine del parziale fallimento del Partenariato, tuttavia, occorre riconoscere due errori essenziali dell’UE.

In primo luogo, il progetto è stato incapace di confrontarsi con le precarie realtà statuali di alcuni Paesi partner. Mentre Bruxelles si è focalizzata soprattutto sullo sviluppo democratico-liberale dei vicini orientali, sono state poste in secondo piano le annose questioni dei conflitti interni. Il meccanismo delle condizionalità politiche, inoltre, ha reso l’approccio dell’UE poco flessibile ed eccessivamente tecnico. Bruxelles, come hanno rilevato Ivan Krastev e Mark Leonard, ha maturato una sorta di «sindrome delle Galapagos», avendo sviluppato un modello politico di relazioni tra i Paesi membri che, sebbene abbia permesso di raggiungere un alto livello d’integrazione politico-economica, non è riuscito a rapportarsi efficacemente con il contesto regionale esterno [7].

In secondo luogo, l’UE ha posto eccessiva enfasi sulle relazioni bilaterali con i vicini, mentre non ha considerato le conseguenze su scala regionale del Partenariato, in particolare la reazione della Russia all’iniziativa. Si è attivata, infatti, una spirale competitiva tra Bruxelles e Mosca per attrarre i Paesi contesi nella propria sfera d’influenza. Lo sviluppo parallelo di due entità distinte d’integrazione politico-economica, inoltre, ha favorito una chiara divisione tra i membri del Partenariato. In Europa orientale, Moldavia e Ucraina hanno siglato un Accordo di Associazione con Bruxelles, mentre la Bielorussia si è legata a Mosca aderendo all’UEE. Nel Caucaso meridionale, invece, la Georgia ha proseguito il percorso di avvicinamento a Bruxelles, mentre l’Armenia ha preferito associarsi all’Unione guidata dalla Russia. L’Azerbaijan, fin ora, è stato l’unico Paese ad essere riuscito ad evitare una scelta.  

La frammentazione del Partenariato, a sei anni dalla sua istituzione, è apparso come il segnale più evidente del parziale fallimento dell’iniziativa. La recente evoluzione del contesto europeo, infatti, ha mostrato il gap tra le ambizioni dell’UE nel vicinato orientale e le possibilità di realizzarle. Ciò ha invitato i Paesi membri ad intraprendere una riflessione per rielaborare obiettivi e termini della propria strategia, a partire dalle linee guida della PEV.

A inizio marzo 2015, il documento prodotto dalla Commissione ha affermato che lo scoppio di conflitti e di rinnovate tensioni al di là delle frontiere europee costringe l’UE a riconsiderare «principi, scopi e strumenti» della politica di vicinato [8]. Per affrontare le crescenti sfide ai propri confini, il rinnovato impegno europeo dovrà orientarsi verso: a) una più accurata differenziazione tra partner, con l’intento di favorire le effettive aspirazioni dei vicini orientali; b) un focus specifico sulle aree di comune interesse; c) più flessibilità nell’adozione degli strumenti di policy-making; d) maggiore responsabilità e trasparenza nel perseguimento degli impegni. In tale ottica – ha dichiarato Mogherini – sarà opportuno sostituire un approccio basato su «giudizi e valutazioni riguardo i progressi compiuti» nelle relazioni con gli stati confinanti, in favore di un «dialogo politico, orientato alla cooperazione tra partner uguali», che abbia un impatto effettivo sulla stabilità regionale.

Riguardo il Partenariato, si può ritenere che il Vertice di Riga, svoltosi il 21-22 maggio 2015, abbia già dato alcuni segnali, ponendo il tema della sicurezza al centro dell’attenzione. La dichiarazione congiunta ha osservato che la crisi ucraina indica con preoccupazione che il principio dell’integrità territoriale «non possa essere dato per scontato sul continente europeo nel XXI secolo» [9]. Il problema della violazione dei confini, dunque, è stato giudicato come l’aspetto più evidente della debolezza statuale dei partner orientali. Per questo motivo, l’UE si è impegnata ad offrire maggiore supporto per la risoluzione dei conflitti interni, dal caso della Transnistria alle dispute irrisolte nel Caucaso meridionale.

Il Partenariato, dunque, si orienterà probabilmente verso l’abbandono di un approccio fondato quasi interamente sullo sviluppo democratico-liberale dei Paesi partner, in favore di un maggiore impegno per la prevenzione e la risoluzione dei conflitti. Infatti, sebbene il Vertice di Riga abbia evitato valutazioni accurate sulla natura ormai trilaterale della relazione UE – partner orientali – Russia, la dichiarazione congiunta ha ribadito l’importanza di preservare il diritto alla sovranità, giudicandolo come un valore essenziale per garantire la stabilità, la sicurezza e la prosperità sul continente europeo. A tal fine, come già dimostra la partecipazione di Ucraina, Moldavia e Georgia ad alcune operazioni estere dell’UE, si presterà più attenzione alla cooperazione in ambito militare tra Bruxelles e i partner orientali. Ad ogni modo, una buona relazione tra Bruxelles e Mosca sarà imprescindibile per garantire una maggiore sicurezza sul continente.

Conclusioni

Dopo il Vertice di Riga, la ridefinizione delle linee guida del Partenariato si prospetta come una condizione essenziale per la sopravvivenza dell’iniziativa. Con questa consapevolezza, l’UE sta riconfigurando il progetto all’interno di una più ampia revisione della propria politica estera. Come emerso dal documento che ha recentemente lanciato le consultazioni per un aggiornamento della strategia globale europea, Bruxelles deve urgentemente confrontarsi con l’«arco di instabilità» dal quale è circondata [10]. Dall’Europa Orientale al Nord Africa, passando per il Medio Oriente, l’UE è circondata da un cerchio fuoco, piuttosto che da una “cerchia di amici” con cui condividere i principi, i valori e le norme dell’integrazione europea. Nel vicinato orientale, in particolare, la neutralizzazione delle principali fonti di instabilità richiederà sia di proseguire con gli sforzi di State-building – cominciando col garantire la protezione dei confini e lo sviluppo di adeguate forze militari e di polizia – sia di intraprendere un dialogo costruttivo con la Russia per definire un assetto stabile sul continente europeo.

* Andrea Leva è OPI Contributor

[1] Prodi R., L’Europa è più grande: una politica di vicinato come chiave di stabilità (Speech/02/619), discorso pronunciato in occasione della sesta conferenza Ecsa “Peace, Security and Stability International Dialogue and the Role of EU”, Bruxelles, 5-6 dicembre 2002, http:// europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-02-619_it.htm.]

[2] Facts and figures about the Eastern Partners of the European Union, eurostat newsrelease, 89/2015, 20 May 2015

[3] Biscop S., “Global and Operational: A New Strategy for EU Foreign and Security Policy”, IAI Working Papers 15/27, July 2015

[4] Pop V., “EU expanding its’s sphere of influence, Russia says”, EUObserver, 21 marzo 2009, ultimo accesso 13/07/2015,  https://euobserver.com/foreign/27827

[5] Gotev G., “EU seeks ‘time for reflection’ after Vilnius summit failure”, 29 November 2013, EurActiv.com

[6] European Commission, Neighbourhood at the Crossroads: Implementation of the European Neighbourhood Policy in 2013, Brussels, 27.3.2014, pp.16-17.

[7] Krastev I. e Leonard M., “Europe’s Shattered Dream of Order. How Putin Is Disrupting the Atlantic Alliance”, Foreign Affairs, May/June 2015, Volume 94, No. 3, pp. 48-58

[8] European Commission, Towards a new European Neighbourhood Policy, Joint consultation paper, 4.3.2015

[9] Joint Declaration of the Eastern Partnership Summit, Riga, 21-22 May 2015

[10] Mogherini F., The European Union in a changing global environment. A more connected, contested anc complex world, Brussels, EEAS, June 2015

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