Giovanni Boldini, Cleo de Merode
Sarà una domanda retorica, ma credo che tutti i giorni, davanti allo specchio o davanti all'armadio aperto, più o meno consciamente, sia la domanda che tutti ci poniamo.
"Per CHI mi vesto?"
E in questo CHI c'è l'occasione, il quotidiano o l'eccezionale, ma c'è anche una indiscreta domanda che tende a identificare la persona o le persone per la quale (per le quali), in fondo o in cima ai nostri pensieri, acquistiamo un abito, scegliamo una combinazione, accostiamo colori, ci preoccupiamo o ci divertiamo.
Inutile rispondere: "per me stessa".
Non ci credo: semplicemente.
Perché anche io sono vittima e carnefice in questo stesso gioco. Perché conosco le regile non dette e non scritte, maggiori e più stringenti e crudeli di quelle che in certi ambienti costringono a indossare divise o uniformi.
Eppure qui, oggi, non voglio parlare di amiche-nemiche-rivali, di colleghi e colleghe, di suoceri o vicini di casa pronti a giudicare.
Qui ed ora, vorrei parlare di LUI o LEI: il partner, quello ufficiale quello codificato, quello che agli occhi del mondo appare come più o meno inscindibilmente legato a noi.
E vorrei chiedere SE e QUANTO scegliemo per LUI (o LEI) il nostro modi di vestire, gli accessori, i colori, gli abbinamenti.
Da quanto, in realtà, scegliamo, rivaleggiamo, oppure cerchiamo semplicemente di essere all'altezza di aspettative tutte al di fuori della nostra sfera intima?
Da quando abbiamo cominciato a dare per scontato l'apprezzamento del partner, da quando il sentirci a nostro agio è andato via via scivolando sulla china dell'indifferenza?
Da quando non abbiamo pensato anche ai suoi gusti nell'andare per negozi o mercatini?
Da quando il nostro vestirci non è più stato un atto di amore, un appello all'attrazione e al piacere e compiacere?
Ecco, io credo che da quel momento la reciproca attrazione è cominciata ad affievolirsi e a morire.
Credo che il nostro armadio di sia riempito di penne di pavone non NOSTRE (nel senso di mie e sue, insieme), ma trapianti da corpi alieni, fatte non per abbellire ma per fingersi quello che non si è.
Credo anche che tante coppie stanche, tante incomunicabili e assenti sessualità, tante algide unioni ormai rassegnate potrebbero rinascire, potrebbero ricostruirsi, potrebbero piano piano ritrovare calore, vicinanza, tenerezza, se ognuno dei due ricominciasse a "vestirsi" per l'altro.
A riscoprire il piccolo gesto d'amore del cercare di piacere all'altro.
Un colore porterbbe con sé un sorriso, un gesto, una piccola complicità.
Anche senza dirselo, anche senza pretendere di far crollare muri di anni in un giorno.
Ma l'accumularsi di intenzioni, di aspettative, di disposizione al piacere che passa per gli occhi, creerebbe in noi, per primi, quel substrato di disponibilità che pian piano lascerebbe passare il desiderio e l'accettazione dell'altro.