Le fa la corte Gabriel Oak, pastore prestante e abbiente ma è soprattutto il ricco vicino Bolwood che le domanda insistentemente di sposarla anche perché Oak a causa della perdita del suo gregge si trova costretto a lavorare agli ordini della donna.
Bathsheba in realtà si innamora di un poco di buono, il tenente Troy, dedito al meretricio e al gioco d'azzardo che riesce a sposarla.
Il matrimonio non può far altro che andare a rotoli e per qualcuno si presenterà una ghiotta seconda occasione.
Uno dei ricordi più belli che ho degli studi di letteratura inglese al liceo è stata la scoperta di Thomas Hardy che ho avuto la fortuna di leggere in originale oltre che tradotto nella nostra lingua.
E ho sempre apprezzato la sua prosa vigorosa, senza mezze misure, lapidaria al servizio di storie strappacuore con il loro bel fondo di ambiguità e che comunque profumavano sempre di vita vera, vissuta.
Vedendo questa nuova fatica di Thomas Vinterberg, regista che apprezzo moltissimo, ho avuto una brutta sensazione : più vedevo Carey Mulligan e compagnia cantante agitarsi da una parte all'altra dello schermo e più avevo negli occhi l'omonimo adattamento di quasi cinquanta anni fa ad opera di John Schlesinger.
Questione di stile registico, molto leccato quello di Vinterberg con quella patinatura fastidiosa che accompagna lo spettatore per tutte le due ore, anche nelle sequenze a più alto tasso emotivo, vigoroso esattamente come la pagina scritta quello di Schlesinger, non uno qualunque, ma soprattutto questione di cast.
Shoenaerts nella parte di Oak è troppo poco inglese e un po' troppo delicato al contrario di un Alan Bates forse meno bello ma decisamente più sanguigno e credibile, Sturridge invece sembra solo una pallida imitazione fisica di Terence Stamp che nel film era fuoco e ghiaccio allo stesso tempo, il suo solo sguardo era sufficiente per far cadere schiere di donne ai suoi piedi.
Vinterberg che in carriera ha dimostrato più volte di essere interessato alla sostanza più che alla forma , qui si comporta come uno dei più impersonali calligrafi hollywoodiani perdendosi nella patinatura delle sue belle immagini , quasi scomparendo nei tramonti e nei campi lunghi di cui sembra quasi abusare.
Il melodramma che ne vien fuori è annacquato, quella che era una storia d'amore intensa e a suo modo inspiegabile , l'ineluttabilità del sentimento amoroso, è solo un'increspatura tra il personaggio di Bathsheba e il suo vivere per sempre felice e contenta.
Viene perso il femminismo appassionato del romanzo, perché nell'epoca vittoriana avere una donna a capo di una fattoria era quasi disdicevole e comunque come minimo inappropriato, in favore di una semplice ronda amorosa , un ballo a più passi in cui vince il favorito del pubblico nel nome del lieto fine sempre e comunque.
Cosa ben diversa da quello che succedeva nel film di Schlesinger: vince anche qui il meno peggio ma ha il sapore di un ripiego e la malinconia unita al rimpianto regnano sovrani.
PERCHE' SI : la forma è accattivante, Carey Mulligan e Sheen non escono triturati dal confronto con l'omonimo film di Schlesinger, tocco moderno per appassionare i più giovani.
PERCHE' NO : patinatura a tratti eccessiva e quindi fastidiosa, Shoenaerts e Sturridge sono asfaltati da Bates e Stamp.
LA SEQUENZA: lo sterminio del gregge di Oak
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Forse è meglio non vedere remakes di film amatissimi qui a bottega.
Carey Mulligan mi lascia sempre con il dubbio.
Quella era Juno Temple?
Ma questo è lo stesso Vinterberg di Festen e del Dogma 95?
( VOTO : 5,5 / 10 )