Ricordiamolo che Busco sta vivendo un calvario indicibile da anni e da circa un anno è stato condannato ad una pena di ventiquattro anni di detenzione basando l’accusa e la sentenza su un costrutto che è parso da sempre molto al di sotto di ogni ragionevole dubbio. Ora arriva la perizia che sancisce la legittimità di questi dubbi e che sostanzialmente scagiona l’ex fidanzato della Cesaroni. Intanto però Busco se ne sta ancora in carcere e la sua vita continua ad essere seriamente compromessa e certamente nessuno potrà ridargli quello che ha perso, nemmeno in caso di un’assoluzione definitiva.
Questa è la giustizia malata, quella che manda in galera una persona di cui non si è certi sia colpevole, rovinandole l’esistenza, distruggendo gli affetti e la dignità. E i nostri politici si preoccupano di depenalizzare il falso in bilancio o di disquisire sull’esistenza del concorso esterno in organizzazione mafiosa. Il caso di via Poma apre uno scenario poco tranquillizzante sulla giustizia italiana e sui sistemi investigativi usati, ma i nostri politici non se ne preoccupano perché i vari Busco, di cui possiamo immaginare piene le carceri, non possiedono televisioni e partiti e non pagano stipendi a lacchè, servi e schiavi che pure votano per nostro conto. E per fortuna che in Italia non c’è la pena di morte, altrimenti qualche Busco lascerebbe le patrie galere per il camposanto, per poi essere magari riabilitato postumo con tante scuse.
Luca Craia