Viadotti - Una piccola banda circense - Contorsionismi

Da Minerva Jones
Ho sempre avuto un'attività cerebrale molto intensa durante il sonno. Non è raro che mi svegli al mattino con una grande stanchezza addosso, la sensazione d'aver corso o compiuto profonde fatiche, nonché febbre e mal di testa. I sogni più articolati li ho al mattino, poco prima del risveglio, e sono talmente ben strutturati che potrebbero quasi sembrare film, dei quali alcune scene si ripresentano più volte davanti ai miei occhi chiusi, quasi volessi realizzarne la perfetta sequenza/ripresa. Ho deciso quindi di trascriverli qui* - non so bene per quale ragione. Forse solo a uso e consumo di chi non sogna così tanto e ha piacere di venire portato in un universo straniante. O forse perché magari potreste prenderlo come un gioco per raccontarmi cosa ci vedete e quali sensazioni vi provoca.
Il racconto degli eventi di questa notte è in tre parti, che nel sogno non presentano alcuna interruzione ma si sviluppano fluide l'una dopo l'altra. Non saprei dire quale stagione sia. Forse tarda primavera, inizio autunno. Cammino con un paio di amici sulla cresta di basse montagne sotto le quali si aprono vallate di campi ben coltivati squadrati in geometrici rettangoli di diverso colore. Il fiume scorre minuscolo e parimenti di piccole dimensioni è il paesino che vi giace accanto - sotto il grande viadotto dell'autostrada che taglia da parte a parte, sotto il nostro sguardo, il paesaggio. Io e un amico decidiamo di scendere al paese proprio sotto il viadotto, nella parte di terreno più ripida e franosa, dove i piloni si perdono nella terra. Guardo giù questa parete verticale. Mani nude e scarpe da trekking ma null'altro. Niente imbracature, niente sicurezze. "Ci ritroviamo giù al paese", ci dice l'altro, che fa invece un giro lungo per arrivarci. "Ok al paese, ma dove?", gli faccio eco, temendo di non trovarci. "Non è tanto grande, dai, comunque siamo sistemati nella piazza del circo". Cominciamo a scendere, e il terreno frana sotto di noi. Più che scendere scivoliamo lenti, aggrappandoci di tanto in tanto alle sporgenze, o a rami di alberi cresciuti curiosamente senza senso e senz'acqua tra le rocce. Arriviamo in fondo senza cadere e senza incidenti, solo con qualche graffio. Poi guardiamo su.

L'altezza era questa, ma la montagna su cui poggiava il terzo pilone più ripida...

Soddisfatti e increduli per quella che a tutti gli effetti ci sembra un'impresa, ci rechiamo quindi nella piazzetta dov'è il circo. Il 'nostro' circo, perché in realtà siamo noi la piccola banda, composta da 6/7 persone, ciascuna con il proprio semplice spettacolo della durata di una decina di minuti. Il nostro palcoscenico è una carrozza itinerante / 'scatola delle meraviglie' che s'apre di lato verso il pubblico e quivi si esibiscono a turno il clown, la cantante, l'illusionista e pure la sottoscritta che, vestita con lunghi pantaloni leggeri, corpetto e foulard colorato in testa, legge racconti e risponde con oracoli alle domande del pubblico. Al ritorno al campo alle nostre roulotte, attraversiamo vie e piazze illuminate solo da lanterne, lumini e dalle luci delle fontane cittadine in cui decine di ragazzi del paese in costume da bagno fanno la doccia ridendo e spruzzandosi a vicenda.

Di giorno, invece, si vivacchiava un po' così...

Sono abituata a intrufolarmi nei condominii da finestre, balconi e scale esterne - pur se terrorizzata da grandi altezze e incapace di stare sui balconi. Entro in questa casa a metà tra l'unità residenziale e un centro culturale autogestito. Mi intrufolo dal balcone nell'alloggio che occupa il quinto e ultimo piano, dove non notano la mia presenza - in realtà sembra non vi sia nessuno. Di lì esco e scendo dalle scale, ma subito il quarto piano è transennato e per passare al terzo ci vuole per forza l'ascensore. Il quarto piano è interamente occupato da una sala d'ospedale con complessi macchinari e un letto in sughero che le infermiere pazientemente sostituiscono ogni giorno, man mano che si sbriciola. Un solo paziente, il proprietario dell'alloggio, un giovane costretto a letto da arti inabili al movimento. "Ciao bella, torna a trovarmi quando vuoi", mi dice - incurante che io lì sia truffaldinamente, intrusa e non invitata. Dal terzo piano in giù è il centro culturale. Decine di ragazzi fanno cose al pc, disegnano, compongono musica. Altri bevono, fumano, ridono completamente strafatti. La casa è una palazzina simile a quelle del quartiere francese di New Orleans, dalle ringhiere in ferro battuto e le scale in legno, e in più ovunque si trovano persone per terra e sedie lasciate in mezzo al passaggio. Memore dell'amore per la ginnastica artistica, oltrepasso gli ostacoli e le strutture inventandomi modi inediti, e gioco col mio corpo come una contorsionista. Penso anche che non sono più così giovane per praticare il parkour, ma la filosofia di quello m'è rimasta nella testa. Giungo al piano più basso - un locale vero e proprio con tanto di buttafuori che nota la mia presenza e fa per venire a prendermi per sbattere fuori. I gestori che però mi conoscono lo fermano in tempo, e rivolti verso di me mi invitano con un gran sorriso a rimanere. "Quando ci sei tu qui, sappiamo che darai agli altri del buon tempo, e che alzerai il livello di qualsiasi riflessione. Rimani, e fà davvero come fossi a casa tua".

L'interno.

L'esterno.


*PS. Visti gli abituali plagi che girano su internet, mi preme avvertirvi che - sebbene siate liberi a ispirarvi a ciò che scrivo in qualsivoglia modo - non siete parimenti liberi di metterci poi un copyright sopra, guadagnare dalla vendita di qualsiasi prodotto derivato e/o dichiare le miei idee/soggetti come vostri. Sono molto chiara in merito con la licenza CC a lato di questo blog. Qualora lo faceste, vi becchereste una serie di efficaci maledizioni, qualche iniziativa a livello legale e soprattutto la pubblica denuncia (ridondante in qualche centinaia di miei contatti 'utili') della vostra stessa miseria umana, visto che non solo siete incapaci d'avere sogni vostri, ma pure tirate a rubare quelli altrui: e più patetici di così...

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