Viaggiare

Creato il 28 gennaio 2016 da Criromano
Tornare da un viaggio, breve o lungo che sia, ti lascia sempre addosso una sensazione particolare.
Provo a riportare la mente agli ultimi viaggi, cercando di ricordare quelle sensazioni che mi hanno accompagnato durante il volo di ritorno. Sensazioni intense ed ogni volta profondamente diverse.
Ripenso alla Patagonia ed al trekking invernale nel Torres del Paine, con le bufere di neve e di grandine. Il silenzio surreale interrotto solo dal soffiare del vento. I picchi solitari tra le nubi.
E mi torna nel cuore quella sensazione di libertà infinita, di contatto profondo con la natura selvaggia, imperiosa, sovrana. E torna, sommessamente, anche il ricordo di quella malinconia che provai, seduta a scrivere nell'aeroporto di Punta Arenas, per quell'avventura appena vissuta e che avrei voluto durasse ancora un po'. Perché solo queste esperienze sono in grado di restituirti quel senso di semplicità e di autenticità di cui la vita di città cerca continuamente di derubarti.
Ripenso all'Oman e alla meravigliosa atmosfera del Medio Oriente. Alla voglia, in aeroporto, di imboccare di nuovo l'uscita e perderci tra i deserti battuti dal vento o tra i vicoli animati dei suq.
Se chiudo gli occhi, ritornano le basse case color sabbia, i forti, le oasi con le palme, il lungomare fiorito di Muscat, gli uomini con i loro abiti bianchi e inamidati, le donne con l'abaya da cui spuntavano lembi di abiti coloratissimi. Posso sentire di nuovo il profumo degli incensi e delle spezie, l'aroma fresco di un'acqua di colonia molto diffusa.
Quell'atmosfera quasi fiabesca ti faceva dimenticare per un attimo i contrasti tra Occidente e Medio Oriente, gli orrori in Siria ed Iraq, gli attentati, il fanatismo religioso, l'ignoranza drammatica di tanti occidentali, la pericolosità della politica di un Salvini o di un Trump.
Ed è cosi che mentre l'aereo si staccava da terra, con il cuore gonfio di emozioni per i ricordi di un viaggio indimenticabile, sentivo farsi parimenti strada l'amarezza per l'incapacità dell'uomo contemporaneo di mettere a frutto gli insegnamenti che avrebbe dovuto trarre da secoli di storia attraversati dalla guerra e dall'odio.
Perché tutto ciò che avrei voluto in quel momento e che vorrei tutt'ora è che il mondo riuscisse a cogliere la perfezione insita nelle differenze culturali ed il valore positivo e costruttivo del rispetto reciproco.
E poi c'è l'Africa con le sue contraddizioni. Ci vuole coraggio e molta onestà intellettuale nel valutare la propria esperienza di viaggio attraverso sette stati africani segnati dalla fame, dalla povertà e dalla discriminazione.
Ricordo bene lo scalo a Johannesburg durante il viaggio di ritorno, dove ci hanno accolto le luci scintillanti di un aeroporto che non aveva niente da invidiare all'Europa, con i suoi brand di lusso e le catene di fast food.
Una parte di me si sentiva 'in salvo' dopo i lunghi viaggi a bordo di bus sgangherati, le strade sterrate, le infrastrutture fatiscenti, la febbre alta. Ma un'altra parte di me si sentiva a disagio, quasi fosse d'improvviso un pesce fuor d'acqua e provasse vergogna per i propri pensieri. Le luci scintillanti quasi mi accecavano, i brand di lusso mi infastidivano ancora più del solito, per non parlare dei turisti chiassosi di ritorno dal loro 'pacchetto tutto incluso', che avrei desiderato sparissero assieme alle loro chiacchiere inutili su un precoce (quanto fasullo) 'mal d'africa'.
La mente non poteva fare a meno di oscillare tra il luogo in cui mi trovavo e quelli che avevo visitato nelle settimane precedenti, tra la vita che vivo nella mia comoda casa europea e quella degli uomini e delle donne che abitano i villaggi poverissimi e vivaci dello Zambia o i villaggi sconsolati e pieni di degrado del Mozambico. Mentre camminavo verso il mio gate cercavo un senso, cercavo di sanare dentro di me le contraddizioni del mondo e cercavo altresì di risolvere quel senso di colpa che si faceva strada ogni volta che pensavo 'per fortuna sto tornando a casa'.
Ed infine la Birmania, con la sua ingenuità e la voglia di futuro. Strana la sensazione nel lasciare questo paese, così diverso da ciò cui siamo abituati. Particolare nel suo genere anche rispetto all'Africa. Durante il viaggio di rientro, quando sono atterrata all'aeroporto di Doha, con i suoi bagni completamente automatizzati, le squadre di operai in guanti e mascherine a lucidare ogni angolo dell'immensa struttura e gli uomini con i loro abiti bianchi impeccabili, istintivamente ho pensato: 'bentornata a casa!'. Beh, se pensi di essere tornata a casa quando ti trovi in un paese ad ancora innumerevoli ore di volo dall'Europa, beh allora vuol dire che hai visitato una terra davvero distante da te. Non solo geograficamente, ma anche culturalmente ed emotivamente.
La Birmania è tradizione radicata e corsa al futuro nello stesso tempo. E' spensieratezza ma anche voglia di riscatto dopo un passato difficile.
La Birmania esprime il tempo della transizione e del cambiamento ed è questa la sensazione che ti comunica e ti lascia addosso quando, seduta in aeroporto, attendi il tuo aereo verso quella che - correttamente o meno - ti ritrovi a chiamare 'modernità'.
Viaggi. Ognuno con le sue peculiarità. Ognuno con le sue contraddizioni. Viaggi durati troppo o troppo poco. In ogni caso, esperienze che hanno lasciato una traccia profonda, avendo avviato ciascuno a modo suo un percorso nella tua vita.
La Patagonia ha suggellato definitivamente l'amore per l'avventura e la natura selvaggia, l'Oman mi ha fatto scoprire la passione per il Medio Oriente ed il profondo rispetto per l'Islam. L'Africa mi ha portato a confrontarmi con gli aspetti più dolorosi del mondo e mi ha spinta a perseverare nella lotta contro le ingiustizie. La Birmania mi ha riportato indietro nel tempo e mi ha fatto scoprire una cultura ancora radicata a tradizioni antiche, con i suoi villaggi di palafitte e i pasti cucinati sul fuoco vivo.
E, soprattutto, al termine di ogni viaggio sento che un nuovo tassello si è aggiunto nella conoscenza del mondo e, per riflesso, anche di me stessa.