Lo scorso otto marzo, il Liceo “A.G. Roncalli” di Manfredonia ha realizzato uno spettacolo dal titolo “Ti amo” e sottotitolo : “Viaggio attraverso l’amore delle donne”. In tale occasione si è voluto abbinare dolore e gioia, da “Posto occupato”, per quel “Ti amo da morire”, alla comunemente conosciuta “festa della donna”. Le due ricorrenze a testimoniare la funzione della memoria come richiesta di affermazione del diritto per tutte le donne, che diventino protagoniste attive e non prigioniere di amori malati.
Posto occupato, così come l’hanno definito gli ideatori del progetto “È un gesto concreto dedicato a tutte le donne vittime di violenza. Ciascuna di quelle donne, prima che un marito, un ex, un amante, uno sconosciuto decidesse di porre fine alla sua vita, occupava un posto a teatro, sul tram, a scuola, in metropolitana, nella società. Questo posto vogliamo riservarlo a loro, affinché la quotidianità non lo sommerga”
“Ti amo ..da morire!“ Molte è stata pronunciata questa frase, quasi a voler implicitamente significare che l’amore è sofferenza, mentre un “Ti amo da vivere” ne donerebbe carica vitale a spezzare le catene dell’amore dipendenza affettiva e prigione.
“Ti amo..” un viaggio che, attraverso discorsi letterari , poesie, danza e teatro, ha rievocato le voci di donne del passato e del presente: un volto e una voce a donne oggetto di studio, ma spesso poco considerate per il dramma vissuto, per l’insegnamento che avrebbero voluto impartire. Le ragazze sono riuscite a umanizzare la carta con le loro interpretazioni, i gesti e i vestiti dell’epoca indossati recitando storie del passato in un canto poetico che ha suscitato vere emozioni, a partire dalle figure dantesche di Pia dei Tolomei e Francesca passando per la monaca di Monza di Manzoni e le poesie di Sylvia Path, Amalia Guglielminetti, Piera Oppezzo, Alda Merini, Mariangela Gualtieri.
Mio marito! Il mio primo amore, me l’ha portato via la guerra. Era un cavaliere gentile, mi chiamava con i nomi dei fiori. Poi… mi hanno data in sposa a Nello, Nello dei Pannocchieschi, un buon partito, come si addiceva ad una nobildonna. I miei familiari avevano fatto un accordo. Si sa, tra mercanti e banchieri c’è sempre stata intesa, ma, ahimè, tale non fu la mia.
Incolpata di infedeltà e tradimento, io innocente, fui uccisa. Non l’ho visto! Vi giuro, non l’ho visto!
Mi hanno detto sia stato mio marito o la mia morte, una sua idea. Ricordo solo di essere volata giù come un falco in picchiata e la preda ero io, dalle mura di Castel di Pietra.
Io sono la dolente Pia, l’ innocente, colei che fu prigioniera.
Maestro…”Deh, quando tu sarai tornato al mondo
e riposato de la lunga via
ricordati di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ’nnanellata pria
disposando m’avea con la sua gemma”.
Sono la Monaca di Monza, GERTRUDE. SI’, proprio io!
Quella che conoscete dai libri, a cui …ehmmmmm….piacciono gli uomini, che…, se li porta in convento… e… profana il luogo di Dio. Ma di tanto in tanto anch’io sento il bisogno di inginocchiarmi e di pregare, poi piango la mia MALEDIZIONE.
Mio padre! La sua vita di imperio su di me esercitato, ha confuso carità con violenza.
Martino de Leyva, Signore di Monza, gentiluomo di rara qualità, ma soprattutto LADRO, dei beni e delle proprietà che mi appartenevano per diritto. Ha calpestato ogni mio diritto di libertà, prima ancora di nascere. Mi ha destinata al convento. Le mie bambole? Vestite da monaca! E come mi faceva chiamare dai miei fratelli? La “Madre badessa”
Ha distrutto la mia giovinezza, mi hai privato di ciò che la mia natura mi chiedeva: L’AMORE! Mi ha chiusa tra le mura di questo convento e io ora grido: “Maledetto il giorno, in cui hai messo incinta mia madre!”
Grido come quando per tener fede alla promessa che ho dovuto fare, mi fustigavo, DOVEVO placare l’ardore della carne, della mia gioventù.Sono state tante le notti in cui mi picchiavo a sangue e lui a godersi ciò che a me aveva tolto, mi aveva tolto! Il mio essere DONNA!Ma l’amore qui, mi ha scovata e Dio… mi guardava mentre lui mi amava. Io? guardavo il mio peccato. Mia figlia che ho dovuto nascondere, l’altro che mi aspetta di là, se un cielo, un giorno, mai per me ci sarà.
avrei dovuto ammazzarti
prima della mia morte avrei dovuto
uccidere la tua orrenda statua d’acciaio
Nella bocca famelica d’onore
avrei dovuto incendiarti le parole
dello stesso colore del deserto
le chiamavi di bene, d’amore
di paura, invece
mi erano gli occhi alla vergogna di me
figlia spaccata dalle chiare viscere trasparenti
cieca per gli organi intasati
La gente dice
che nei mattoni si trova il tuo sacrificio
padre di croce vivo di dio
osceno filo spinato d’olocausto
non ho dimenticato la terra di quel campo
e sto orizzontale
al respiro di mia madre
non come donna, ma eterna figlia
di rabbia che tiene in vita
– io a me non so concedere
neanche una degna sepoltura –
Il diavolo mi porta alla bocca pezzi di cuore
cane buono
non si mostra bastardo di tuo stesso volto
hai tagliato i baffi
hai anche le rughe
hai sempre l’accusa che del tuo vivere
un figlio ti ha sottratto anni
Mio uomo nero
amo uomini neri
hanno tutti il tuo stesso odore di segugio
ed io in mano la pietra della tua chiesa
con un colpo spaccherò
il mio sangue che t’appartiene, così
vestita di bianco
trasparente e morta
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ‘l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.
L’ultima volta l’ho vista
incisa era perfetta
nei tagli scultorei una statua di grazia
aveva voce d’arte
del dire d’ amore ed intagli
aveva la regola
Un maestro caviere non avrebbe potuto far di meglio
nel suo corpo il mistero
del viso una carezza tra labbra rosse
voleva un dito
da infilare nei buchi a piaghe
L’ho riconosciuta l’estranea venuta da lontano
chiedeva e l’ho incatenata
ad uno scoglio per i piedi l’ho legata
alle voci delle sirene che non dormono
la pazza
teneva una gabbia
e uccelli morti in tasca
Le parole hanno preso per mano gli spettatori e i ragazzi delle classi presenti, li hanno condotti dal passato ai giorni nostri, dall’orrore alla rinascita, per mostrarci che è possibile rinascere dalle proprie ceneri, per donare la speranza di una vita nuova basata sul rispetto e sull’amore che non ingabbia, ma libera. Lodevole ed emozionante è stata la recitazione dei testi e la dinamica dei movimenti del corpo perfettamente in sintonia con la musica.
Le ragazze della classe VG sono entrate in scena con passo lento e pesante, quasi avessero ai piedi catene e dalla catena al battito del cuore e poi la nascita, il crescere, la voce e la ribellione fino alla liberazione.
” e tu prendimi, portami con te come un incendio nelle tue abitudini”
Enza Armiento