Viaggio in Grecia: Epidauro e Corinto

Creato il 19 giugno 2014 da Patrickc

Perché in Grecia non ci sono solo le isole. Secondo capitolo del viaggio in Grecia continentale: per chi si commuove di fronte alle antiche rovine (come me, insomma).

A Epidauro, nella quiete, nella grande pace che scese su di me, udii batter il cuore del mondo
Henry Miller, Il colosso di Marussi

La folla claustrofobica dell’Acropoli di Atene mi è rimasta appiccicata addosso e nonostante a Micene e Capo Sounion abbia trovato la pace che cercavo, lo spauracchio di ritrovarmi di nuovo in un fiume di gente sotto un sole che brucia mi tormenta. Così partiamo all’alba da Nauplia per arrivare a Epidauro prestissimo. Vogliamo il privilegio di ritrovarci da soli nel famoso teatro, di avere l’impressione, anche solo per qualche minuto, di essere i primi a riscoprire queste antiche gradinate dopo un oblio millenario. Il navigatore dell’auto a noleggio tenta di spedirci a Nuova Epidauro, la città moderna descritta come orribile dalle guide. Sarei anche tentato di andare a vedere se è proprio così – è l’effetto che mi fanno questi giudizi – ma resistiamo alle indicazioni sbagliate e arriviamo nell’enorme parcheggio che sono appena le 8. Siamo i primi, non c’è nessuno e l’aria ha la freschezza della notte, che il sole non ha ancora sbiadito.

Le antiche gradinate del teatro, costruite nel 340 a.c. sono immerse nel silenzio. Ma la cosa che mi colpisce di più è il verde che ci circonda. E’ un verde brillante come, in questo Paese che d’estate diviene rovente, non avevo ancora visto. E’ una foresta che si estende a perdita d’occhio e abbraccia il venerabile semicerchio di pietra da ogni lato. Mi siedo in questa cavea dalla forma perfetta che ha superato i millenni praticamente indenne e se non fosse per i riflettori e alcune transenne l’illusione che cerco sarebbe completa. Il teatro è ancora usato ed è giusto e bellissimo così: quando è possibile la storia non va chiusa in una teca, ma fatta vivere. Restiamo seduti in silenzio sulle pietre ancora fredde e resistiamo per un po’ alla tentazione di provare la famosa acustica, prima di lanciarci anche noi. Il piccolo trucco va in scena innumerevoli volte ogni giorno – messo in atto dalle guide con i gruppi di turisti – e non smette comunque di stupire: una parola pronunciata dal centro dell’orchestra si sente distintamente fino all’ultima fila.

Il teatro di Epidauro (foto di Patrick Colgan, 2012)

Il teatro di Epidauro (foto di Patrick Colgan, 2012)

Il teatro di Epidauro e il verdissimo bosco che lo circonda (foto di Patrick Colgan, 2012)

Spesso però, fino a quando non si arriva qui, ci si dimentica dell’Asclepion. Il teatro è, infatti, solo una parte di questo grande complesso archeologico, sacro al Dio Asclepio, figlio di Apollo e in grado di curare gli ammalati. E grazie a questo – nessuna guarigione avveniva, naturalmente, prima di aver fatto generose offerte – la zona ebbe uno sviluppo impetuoso, già nell’antichità, con mense, templi, alloggi costruiti su una vasta area. Un business imponente. Le persone da curare, possiamo solo immaginare in che condizioni a quel tempo, passavano una notte in un edificio chiamato abaton, impenetrabile. Il Dio appariva in sogno e indicava i passi da compiere per guarire, oppure interveniva direttamente. Sarebbe facile guardare con scetticismo o dileggio questo ospedale dell’antichità. E invece c’è qualcosa di più profondo e interessante da scoprire e su cui riflettere e che riguarda il dolore, la speranza e il rapporto con l’ultraterreno: il piccolo museo ai margini dell’area archeologica è toccante. E’ pieno di statue, capitelli, pezzi di colonne, ma soprattutto di pezzi di corpo umano riprodotti: mani, gambe, teste, qualcosa di simile agli ex voto.

Sono tanti frammenti di vite che sento improvvisamente vicine.

Il restauro ricostruttivo sembra essere ‘di moda’ in Grecia. Ma in questo caso, limitato a una piccola porzione di edificio contribuisce a far capire cosa si ha di fronte (foto di Patrick Colgan, 2012)

L’abaton di Epidauro

Corinto e l’Acrocorinto

Tempio di Apollo e Acrocorinto, da Wikimedia Commons

Vorremmo arrivare fino a Delfi, ma non abbiamo tempo. Però decidiamo di fare una piccola deviazione per andare a vedere un posto meno visitato, l’Acrocorinto, a circa 50 minuti d’auto da Epidauro. La Grecia ha una costante, che spiega anche la smania di ricostruire che si percepisce nei siti archeologici: di diversi luoghi grandi nell’antichità è rimasto pochissimo. Micene era già dimenticata ai tempi di Pericle. Ma anche di Sparta, Tebe, Argo, per esempio, non c’è quasi più nulla: in parte è colpa di invasioni e distruzioni, in parte è perché marmo e pietra sono stati riutilizzati e dispersi nei secoli. E’ così anche per Corinto, un tempo città ricca e popolosa, al centro della storia e del mito, fu rasa al suolo già nel 146 A.C. (dai romani, nelle Guerre Macedoniche). Della città antica sono rimaste alcune colonne del tempio di Apollo. La città moderna è ad alcuni chilometri di distanza, mentre dove sorgeva la città antica c’erano fino a un paio di secoli fa alcune case. Ma anche questa memoria sbiadita dell’antica grande città fu distrutta da un terremoto a metà dell’Ottocento. C’è però qualcosa che ha superato i millenni: l’acropoli.

Siamo un po’ impreparati quando ci si presenta davanti un poderoso, impressionante, gigantesco masso di pietra piantato assurdamente, forse da un Dio dell’Olimpo o da un Titano, in mezzo alla pianura rovente. E’ incastrato nella terra. Una vista pazzesca, come se Zeus avesse voluto schiacciare per sempre un ciclope sotto a questo peso. Ma sorprendentemente non trovo traccia di miti del genere. Semplicemente Elio, il sole, e Poseidone si spartirono questo monte e l’Istmo. E attribuzione non poteva essere più appropriata: il sole di luglio, qui, arroventa le piante e le pietre che sembrano a un passo dal prendere fuoco. In cinque anni di liceo classico nessuno, a memoria, mi aveva raccontato quanto può divenire calda, bruciante l’estate in Grecia. Non avevo mai immaginato Socrate o Alcibiade grondanti di sudore in questi mesi feroci, quando scappare sulla costa diventa un’urgenza.

Questa grande pietra che domina l’istmo è stata abitata e ritenuta sacra fin dai tempi da arcaici, poi è  divenuta una fortezza nel medioevo, funzione rimasta, fra alterne fortune, fino al secolo scorso. L’Acrocorinto è un singolare frullato della tormentata storia greca, che si ritrova disposta caoticamente sul monte, come se fosse un puzzle da ricomporre. Si mescolano fortificazioni bizantine, veneziane, ottomane, mentre all’interno si scoprono resti di chiese, moschee, rovine greche e romane. Vorremmo arrivare al famoso tempio di Afrodite (dove, secondo alcune fonti, le sacerdotesse praticavano la ‘prostituzione sacra’), sul punto più alto di questa roccia. Sono rimaste poche colonne, ma la vista dovrebbe essere eccezionale. Proviamo a inerpicarci lungo il sentiero bollente che sale in mezzo all’erba alta e giallastra, ma il caldo di mezzogiorno è intollerabile e capiamo anche perché qui il sito chiuda alle 15: il pomeriggio si rischierebbe probabilmente di ardere vivi.

Anche noi ci rendiamo conto che non riusciremo mai a resistere con questi 40 gradi:  per arrivare al tempio ci vuole un’ora per salire e altrettanto per scendere. Desistiamo, non prima di esserci goduti il panorama dalle mura: non sarà quello del tempio di Afrodite, ma anche da qui è impagabile.

Il consiglio, insomma è di arrivare alle otto di mattina.

Dall’Acrocorinto si vede il mare
(foto di Patrick Colgan, 2012)

Sull’Acrocorinto

Sull’Acrocorinto (foto di Patrick Colgan, 2012)

Dove mangiare a Corinto

Scendiamo, affamati e distrutti che è l’una passata, con l’obiettivo di mangiare. Sulla tortuosa strada dell’acrocorinto incrociamo bettole fumose e sonnolente, taverne chiuse o semideserte e di dubbia natura. Nemmeno la fame è sufficiente per farci fermare in questi posti: sembra di guidare nel deserto. Così decidiamo di fidarci della guida e arriviamo a Marinos rooms, un albergo/guesthouse con ristorante. Sembra non ci sia nessuno e siamo un po’ dubbiosi. Gli stessi gestori sembrano molto sorpresi di ritrovarsi di fronte due italiani semi-disidratati. Ma il tavolo ci viene preparato in pochi minuti e questo posto si rivelerà una sorpresa splendida, un’oasi nel deserto: nessun menù, come spesso capita nei posti migliori, e subito arrivano ottimi, gustosi antipasti e insalate fatte in casa. Questa guesthouse è davvero una piccola gemma, insospettabile (grazie, Guida Routard).

Così anche questa parte del viaggio sta finendo, attraversato l’istmo, dove ci fermiamo alcuni minuti per guardare il canale, Atene sembra quasi a un passo: sono solo 80 chilometri e se non c’è traffico ci vorrà meno di un’ora (ma è quasi certo, quando ci avvicineremo ad Atene). Da lì, poi, prenderemo la via del mare (per Naxos).

Il profondo canale di Corinto è lungo 6 chilometri collega Mar Ionio e Mar Egeo

Link:

Il capitolo precedente: Atene, Capo Sounion, Micene e Nauplia


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