Chi, per viaggiare, sceglie il treno, sa bene che può accadere davvero di tutto. Non si tratta solo di ritardi o contrattempi vari, ma delle persone amene che si incontrano, delle loro esperienze che vengono raccontate con gran facilità. Questo aprirsi e parlare con sconosciuti, ne sono convinto, è frutto della natura stessa del treno, specialmente quelli notturni, che mi capita sovente di prendere.
Trovarsi di fronte un perfetto sconosciuto (a volte fino a 5) in uno scompartimento di 1 metro per 2, può portare due conseguenze: chiudersi e attendere la fine del viaggio, o aprirsi per stabilire un contatto con lo sconosciuto di turno e vincere così la paura atavica dell’ignoto.
Mi succede spesso di trovare uomini e donne davvero particolari quanto a vissuto, che si aprono con me. Noi umani stabiliamo un contatto attraverso la parola allo stesso modo di due cani che si annusano il popò.
Nella più recente occasione, mi sono successi tre episodi strani in rapida successione, e ho deciso di parlarvene. Dividerò, per semplicità, il tutto in 3 parti.
PARTE 1 – Somalia-Italia solo andata
Solitamente, nei miei viaggi prendo due o più treni, con relativo cambio in stazione, il tutto nella fascia oraria notturna.
Quindi, eccomi qui. Dopo esser salito sul primo treno, cerco un posto, e lo trovo di fronte a un somalo. Non ho mai saputo il suo nome, ma la chiacchierata con lui è stata illuminante.
In pochi minuti, difatti, stavamo già parlando (complice la sua padronanza della nostra lingua) dell’Italia e del motivo che lo aveva spinto qui.
Mi è venuto da chiedergli perché molti somali non tornano nel paese natio ma si stabiliscono in altre nazioni.
“Noi abbiamo paura di tornare – mi ha risposto – perché non sappiamo cosa ci aspetta, cosa possiamo trovare lì. Io sono venuto con un permesso di studio, come molti altri somali, e una volta terminato sono rimasto. Studiavo informatica, ma ho preferito restare per lavorare. Da 20 anni in Somalia non c’è un governo vero. C’è un governo di facciata, che ha potere nella capitale, in un arco di 2-3 chilometri, poi ogni zona è gestita dal suo capo islamico. Il governo sa che non deve intromettersi altrimenti passa guai.”
Qualche piccola nota storica: da notare che la lunga dittatura (1969-1991) del generale Siad Barre, viene percepita da lui come governo stabile, mentre tutto quello che viene dopo, dalla missione ONU, fallita miseramente, in poi, non lo è più. Non sente più la sicurezza che gli dava nientemeno che un dittatore. La battaglia di Mogadiscio, la guerra lanciata ad al-Qaida, la tragedia umanitaria, sono senz’altro tutti sintomi di centralità del potere quasi assente, ma dovrebbe far riflettere che prima di questo, secondo i somali, il governo c’era e anche ben saldo.
“Da quando sono in Italia – ha poi continuato, parlando dell’integrazione nel nostro Paese – ho capito che bisogna conoscere gente per poter lavorare, fittare casa e tutto il resto. Io in 4 anni ho quasi sempre lavorato, perché conosco gente. Ho un amico al Nord che lavora con un contratto stabile, io al Sud pure lavoro, ma quasi mai legalmente. L’ultimo lavoro risale a 6 mesi fa, mettevo pannelli solari. Mi hanno fatto un contratto di 3 mesi, poi mi hanno pagato uguale ma dicendomi di stare tranquillo: ai controlli, avrebbero fatto vedere il contratto vecchio. Dopo 4 mesi che lavoravo lì però sono caduto da un’impalcatura e ho rischiato di spezzarmi il collo. Adesso mi sto riprendendo ma questo – indica una sorta di bubbone sul collo – non è andato via. Sono stato fortunato a sopravvivere.”
Sta andando in treno da un amico, per cercare impiego nella stessa azienda dove l’amico stesso già lavora da tempo. Quando gli ho detto che sono di Napoli, ha subito sorriso: ha vissuto a Napoli e la città gli piace.
“Bella la città, ma per il lavoro non c’è molto. Anche restando al Sud, nelle altre regioni trovi cose da fare, come il volantinaggio, il cameriere in un bar o in un ristorante. A Napoli no, ma non per gli italiani: lo scontro è tra noi dell’Africa orientale e i tunisini o i marocchini, presenti a Napoli più che altrove. Ma in generale, quelli della Tunisia o del Marocco fanno comunella, si aiutano tra loro, e quando ti vedono, chiedono di dove sei: se sei della Somalia, non ti accettano. E se non ti accettano loro, non trovi poi molto per lavorare o per prendere una casa.”
A questo punto, sono diventato molto curioso, in mente un bel po’ di domande da fargli, ma la sirena del treno ci ha distratti.
PARTE 2 – Treno batte auto 1-0
Se avesse avuto la lucidità necessaria (mi rendo conto che è difficile, ma James Bond ce l’avrebbe fatta) avrebbe potuto far manovra, col treno ancora lontano, e tuffarsi nello slargo di fianco ai binari, presente pochi metri più in là. Almeno ha avuto la freddezza necessaria per lasciare l’automobile al suo destino e mettersi in salvo.
Quando mi sono affacciato, ho visto l’automobile come la vedete voi nella foto che ho scattato. La ragazza era più in là, scossa. In pochi minuti c’è stato un dispiegamento di forze, tra carabinieri, polizia, polfer, curiosi e naturalmente giornalisti. Una testata nazionale l’ho avvertita io, conoscendo qualche giornalista che lavora in quella redazione, ma non faceva tanta differenza quanto a presenze totali.
Una volta appurato che la ragazza stava bene, l’auto assicurata, il treno non aveva subìto danni, siamo ripartiti. 50 minuti dopo, oramai con la mia coincidenza persa ampiamente.
Arrivato in stazione, attendo il treno successivo, salgo e trovo che il mio scompartimento è deserto. Notizia ottima in vista di un sonno rigenerante, ma durante la notte ho avuto visite.
PARTE 3 – I posti letto gratuiti nei treni notturni
A un certo punto mi sveglio e trovo il volto di un tunisino (credo) a pochi centimetri dal mio. Riesco ad appurare dall’alito che non ha bevuto, mentre non ha lesinato qualche sigaretta.
Inizia a parlare nella sua lingua, mentre io, tutto intontito, penso che per fortuna ho poche decine di euro in tasca. Non troppi soldi da far danno economico, non troppo pochi da rischiare che lui si alterasse dopo la rapina.
Gli dico che non lo capisco, e lui mi fa, in un italiano quantomeno decente: “Sei tu? Se non sei tu, dove si è messo?”
Perfetto, è un pazzoide, penso. Almeno dovrebbe essere innocuo, mi basta assecondarlo. Inizio a formulare una risposta rassicurante, quando sento la voce di qualcun altro nello scompartimento. Perfettamente sveglio, mi guardo in giro. Guardo i tre posti di fronte a me, e nello spazio sottostante, di solito utilizzato per i bagagli, vedo un tizio che si sta nascondendo, o cerca di dormire, o tutte e due.
Il primo, quello che mi fissava poco prima, si gira verso lui, poi si volta di nuovo verso di me e mi fa: “Scusa, io pensavo che tu fossi lui. Senti, posso mettermi a dormire sotto i tuoi sedili? Se passa il controllore non dire che io e il mio amico siamo qui, altrimenti ci fa pagare il biglietto.”
Lo rassicuro su questa cosa (in fondo ho salvato i miei averi da una rapina che non aveva intenzione di compiere) e gli dico di fare pure e stare tranquillo.
Sembra impossibile, ma mi riaddormento in breve tempo. Dopo tanti viaggi, ormai riconosco dagli occhi la pericolosità, o meno, dei miei compagni di viaggio. Loro due non rappresentano un pericolo.
La sveglia mi avverte che sono quasi arrivato alla mia stazione, e quando controllo se i due sono ancora sotto i sedili, non li trovo più. Il viaggio è quasi finito, non manca molto all’alba.