La bandiera della città di Belgrado (Foto Xevi V/Flickr)
Secondo Le Corbusier “di tutte le capitali situate in una posizione splendida, Belgrado è la più brutta”. L’affermazione dell’architetto svizzero è troppo drastica, ma ha un fondo di verità. In effetti la posizione geografica della capitale serba è invidiabile: il nucleo originario della città venne realizzato su una collina ai cui piedi la Sava affluisce nel Danubio e da cui, in particolare dalla fortezza di Kalemegdan, si gode il panorama di una pianura che si estende a perdita d’occhio. Non sono altrettanto apprezzabili, purtroppo, né l impianto urbanistico, né lo stile architettonico della città. Infatti alla impostazione urbanistica degli Ottomani si sovrappose quella dei Karadjordjevic ed a questa quella di stampo comunista del periodo titino: alla disorganicità derivante dalla sovrapposizione di tali idee urbanistiche profondamente diverse l’una dall'altra si aggiunsero, nel momento in cui la città si estese oltre la Sava ed il Danubio, i problemi di una rete viaria che si intasava spesso e volentieri in prossimità dei pochi ponti che collegavano il centro con Zemun, Novi Beograd e le altre nuove zone costruite oltre i fiumi. Ma se la struttura urbanistica di Belgrado non è entusiasmante, è altrettanto vero che il viaggiatore che arriva nella capitale balcanica è colpito dall’atmosfera tutta particolare che vi si vive: nelle strade di Belgrado vibra l’anima del popolo serbo, batte il “srpsko srce”, il cuore serbo. La città ha sempre vissuto con grande partecipazione le vicende nazionali, senza mai appiattirsi sui mantra dettati dal potere costituito, ma tenendo invece spesso un atteggiamento critico e disincantato nei confronti dei vari regimi che dal dopoguerra ad oggi si sono avvicendati alla guida del paese. In questo scritto il rapporto tra la città di Belgrado e la politica prima jugoslava e poi serba viene analizzato con riferimento diversi periodi storici, dal dopoguerra fino alla morte del Maresciallo Tito, dal periodo del regime di Slobodan Milosevic alla sua caduta, fino ai nostri giorni.Riccardo De Mutiis [*]
La Belgrado di oggi / 2
Nella Belgrado di oggi anche la toponomastica, e questa è una abitudine tutta serba, è cambiata. Una delle strade più importanti di Belgrado, quella che dall’Hotel Slavija conduce alla pedonale Knez Mihajlova, ha cambiato per tre volte nome nell’arco di trent'anni, passando dalla ovvia intitolazione a Tito a quella, nel periodo di Milosevic, di Ulica Srpski Vladara(“Corso Prìncipi Serbi”, in linea con l’esaltazione dell'etnia nazionale che ha caratterizzato quel periodo), per passare a quella attuale di Ulica Kralja Milana, che ricorda Milan Obrenovic, principe e re della Serbia nella seconda metà dell’Ottocento. Ma l’esempio più eclatante della facilità con cui a Belgrado la toponomastica viene modificata è rappresentato dall'importante arteria Decanska, che sbocca in Trg Republike, che ha cambiato ben cinque volte la sua denominazione.
Se la città è profondamente mutata per tanti aspetti, ve ne sono degli altri che sono rimasti intatti e che continuano a caratterizzarla, nonostante il passare del tempo. Il più evidente, forse, è il disordine urbanistico. Il traffico, nonostante l’apertura del nuovo ponte Gazela sulla Sava, continua ad essere caotico. Ma quello che stupisce, in senso negativo, è il permanere di quelle baraccopoli sorte negli anni delle guerre in cui si insediarono i profughi provenienti dalla Bosnia , dalla Croazia e dal Kosovo: poco o nulla è stato fatto per offrire una sistemazione adeguata a questa gente. Il più grave problema urbanistico della città è rappresentato dal fatto che gran parte delle abitazioni (qualcuno parla addirittura del 50 %) sono state costruite in assenza di concessioni edilizie e quindi sono del tutto avulse da un qualsiasi piano di sviluppo urbanistico.
Altro carattere tipico di Belgrado e di tutta la Serbia, rimasto intatto nel corso degli anni, è quello del fumo. I serbi sono fumatori incalliti ed i belgradesi non lo sono da meno: non a caso il genere più contrabbandato, da sempre, è la sigaretta. Il divieto di fumare nei locali pubblici, introdotto un paio d’anni fa, è stato bypassato con una astuzia tutta balcanica: l’area riservata ai fumatori e quella per i non fumatori, che in tutti gli altri Paesi sono collocate in ambienti e cioè in camere diverse, nei locali di Belgrado sono ricavati all’interno dello stesso ambiente, così è del tutto normale che un tavolo riservato ai non fumatori sia affiancato, a qualche centimetro di distanza, da un tavolo per i fumatori, con i primi che respirano tutto il fumo prodotto dai secondi.
La borghesia belgradese che aveva spesso avversato la politica di Milosevic è quasi evaporata: imprenditori ed intellettuali abbandonarono in gran parte Belgrado al tempo della guerra per il Kosovo e da allora non sono più rientrati, gli studenti che si sono laureati all’inizio del millennio sono emigrati all’estero, a causa della scarsità di impieghi adatti alle loro competenze e della insufficienza delle retribuzioni. Il posto di questa borghesia colta è stato preso dai serbi provenienti dalle zone rurali e dai profughi delle guerre: un campionario umano sicuramente meno acculturato di quello precedente. Il fenomeno è approfondito da Paolo Rumiz nel suo “Maschere per un massacro”, che parla di sostituzione della borghesia con il sottoproletariato e di conseguente imbarbarimento della città.
La chiusura di quei punti di ritrovo tipicamente belgradesi si spiega anche e soprattutto con l’abbandono della città da parte di coloro, la classe media, che erano soliti frequentare quei ritrovi, si trattasse del Ruski car o di un'altra kafana sulla Knez Mihajlova. Il professore che ha abbandonato Belgrado un decennio fa e vi torna solo per festeggiare il Srpska nova godina, il capodanno serbo che cade il 13 gennaio, non riconosce la città in cui aveva vissuto; lo studente che si è laureato all’università cittadina e poi ha trovato lavoro all’estero quando torna per le vacanze estive si sente estraneo al nuovo contesto sociale belgradese. Manca, attualmente, una classe media, e ci vorrà circa una generazione per riformarla. Ed alla fine di questo viaggio nella città bianca l’impressione è che quell’atmosfera particolare che si viveva nelle strade, tipicamente serba, che affascinava i visitatori, è scomparsa perché è scomparsa quella compagine sociale, la borghesia belgradese, che animava quei luoghi in cui quella atmosfera, il Srpsko srce, era palpabile e viva.[5 - Fine]
[*] Riccardo De Mutiis, esperto di relazioni internazionali, conoscitore della realtà balcanica anche per aver partecipato a diverse missioni patrocinate da istituzioni internazionali. Passaggio a Sud Est ha già pubblicato diversi suoi pezzi: per ritrovarli clicca qui.