” Stanotte il cielo è scuro. La pioggia si avvicina spinta da nuvole grigie. Mi sono appena svegliato con il profumo del sale tra le labbra e i capelli. Si sente solo l’ infrangersi delle onde lungo la chiglia del nostro peschereccio. In lontananza, versi stridenti di uccelli marini. Sopra la mia testa, qualche stella soffocata dalle prime gocce di una pioggia amara. Questa notte. Da qualche ora la linea di costa del mio paese viene lentamente inghiottita dalla foschia schiumosa. Sono accovacciato sotto la prua. A malapena scorgo il profilo tetro del mare. Ho in tasca pochi soldi, un passaporto falso e un piccolo Corano. Ma mi è impossibile leggerlo.Soffro il mal di mare. E i conati di vomito estirpano dalle mie viscere anche l’ anima. Non mangio da due giorni. Ma la fame non è un problema. Piuttosto lo è il fetore, la sporcizia, il sangue riverso sul ponte dell’ imbarcazione di ferite infette. Cerco di sottrarmi all’ odore acre del sudore marcio portandomi alla bocca una bandana. Poco prima dell’ albia il nostro viaggio sarà finito. Ma non so quanti tra noi vedranno la luce della nuova terra. Di quelli che mi sono seduti di fianco molti sono contadini che non hanno mai visto il mare.
E più di me soffrono la nausea e il vomito. Le onde inzuppano i nostri vestiti, allontanando per un pò gli odori nauseabondi. Una volta avevo un lavoro: commerciavo datteri per i villaggi vicini al mio paese. Mi dava da vivere. Intrufolo la mano nella mia giacca sdrucita. Sfioro il contorno ruvido di un dattero rinsecchito. In quel momento, ho capito che non sarei più ritornato al mio passato, alla mia vita” <<continua>>