Videogames, una storia d’amore.

Creato il 05 febbraio 2011 da Idiotecabologna


DISCLAIMER: a me piacciono i videogiochi; io gioco con i videogiochi. La redazione di Idioteca no, buona parte della redazione si crede troppo intelligente e chic per farlo: beh, si fotta.

Ieri sera ero a casa al pc, con la televisione in sala accesa su Rai News 24. Erano quasi le 21 e stava passando questo servizio, intitolato “Porto d’armi“. Uno dice, benissimo, si cercherà di seguire il numero e la produzione delle armi nel mondo, no? Vedere l’azione di lobbying delle multinazionali del settore per liberalizzare le leggi in materia (tip: in Italia l’abbiamo fatto a inizio 2006)? Vedere come in Europa ne cresca di anno in anno la produzione? No, il servizio era un assemblaggio puerile e disinformato di spezzoni di film e scene di gente che spara e che toccava un po’ di tutto: dal caso di Gabrielle Giffords, all’America cattivona dove tutti possono comprare armi, anche “i grassoni del Kentucky o i nazisti dell’Illinois” (sic), come se il problema fosse nell’esistenza del porto d’armi in sé e non nel fatto che le leggi di alcuni (non tutti: sono 50 leggi diverse) stati americani sono eccessivamente permissive.

"Scusi, lei ha passato l'esame, ma è un grassone del Kentucky, quindi niente porto d'armi"

A tutto ciò si aggiunga che quella che vorrebbe essere un’inchiesta era condotta interamente sul web: nulla di male, anzi, se non fosse che si premetteva ogni volta che “su internet c’è scritto che” e non si usava il web per trovare informazioni competenti, ma discorsi da bar. “Uuuuh, su un forum dicono che a Palermo vendono le armi al mercato nero!” Ok, allora preoccupiamoci del mercato nero, no? No. Poi c’è tutta una parte ridicola sulla Glock come se non fosse commercializzata da decenni e come se pressoché chiunque non ne abbia mai vista una, nemmeno al cinema.

Già qui mi ero alzato dalla scrivania e stavo sbraitando contro il televisore. Proprio però quando il servizio sembrava finire, parte uno spin-off del servizio sui videogiochi (siccome il video è in streaming, aspettate un 10 minuti e arriva). E lì si precipita. Viene presentato così: “ci sono tanti modi per alimentare il consumo di armi” -e si passa ai videogiochi. Bum.

Appare un signore corpulento sulla sessantina vestito come Philippe Daverio, che il sottopancia (…) qualifica come Gabriele di Matteo della redazione di Repubblica. Una rapida ricerca online permette di verificare che sì, ha scritto di web con amene banalità (per dire, scrive “Facebook”, tra virgolette) -e dal suo sito apprendiamo, oltre a foto imbarazzanti, che collabora a molte riviste e a Pixel di Rai3. Videogiochi, niente. Beh, allora chiediamo a lui!

Così il servizio va avanti stigmatizzando l’uso di armi leggere nei videogiochi, “che poi leggere non sono” (ha ragione: non pesano) perché eh, poi i ragazzi si abituano e non distinguono più, signora mia, quanta violenza c’è in giro. Perché notoriamente solo i ragazzini acquistano videogiochi -quando l’età media del videogiocatore italiano è ventotto anni. Si passa quindi a fare notare che “nei giochi” (ma quali?) ci sono armi di tutti i tipi: “c’è addirittura un sito che classifica le armi più straordinarie! La più gradita è un fucile d’assalto russo, l’AK74U“. Infatti qua fuori tutti abbiamo tutti fucili d’assalto, noi che giochiamo ai videogiochi.

Ma “chi protegge i minori dall’esposizione galattica a queste tonnellate di armi leggere (sic)?” E qui fa il tizio fa giustamente riferimento al sistema PEGI, ma fa anche notare come in effetti non si sia mai visto un negoziante che di fronte a un quattordicenne che si compra un gioco 17+ gli fa “no, non puoi”.

Ma che c’entra però tutto il resto? Chi l’ha detto che le armi nei videogiochi debbano portare all’acquisto di armi vere? Cioè, a parte gente che già stava fuori di melone prima, è mai successo? Anzi, semmai se ho voglia di menare il primo che incontro perché ho litigato col capufficio o con la fidanzata non è conveniente che me la prenda con un mob invece che con un passante? Che poi, se proprio vogliamo essere rigorosi, perché prendersela con chi progetta videogiochi invece che con chi vende armi? Beh, almeno a questo Riley Freeman ha una risposta di indubbio valore stringente.

E insomma, ero ancora incazzato per ‘sto fatto, che da quando ero pischello, da quando avevo la metà degli anni che ho sento fare questo discorso della violenza nei videogiochi, e tutte le volte sempre con i soliti psicologi prezzolati, la società del tutto e subito, e poi i gggiòvani che non mi distinguono più tra realtà e fantasia. Ed era il secolo scorso, e mi dicevo, passerà, col tempo passerà. Poi finisco sul blog di Bordone, con questo articolo e una bellissima immagine e mi risollevo molto. Ma molto. Dice tra l’altro così

«Sì,» mi dicevano, «ma i videogiochi non sono capaci di commuovere, di emozionare nel profondo, di lasciare un segno nella vita delle persone». E la cosa ancora oggi continua, con una società che spende per i videogiochi più di quanto non spenda per il cinema, intere generazioni che quotidianamente fanno riferimento a quel mondo come parte della loro cultura, e una genia di intellettuali che non li frequenta, li guarda come una sciocchezza salvo eccezioni, come facevano nei primi anni del secolo altri prima di loro nei confronti del cinema. Come facevano i loro nonni, quando i loro genitori cercavano di cambiare la società urlando i ritornelli delle canzoni.

Best T-shirt ever?

E poi, ripeto, continua qui. Dunque è con questo spirito rinnovato che, poco dopo, sul sito dell’ANSA, quindi la maggiore agenzia di stampa italiana, mica pizza e fichi, compare un boxino verde intitolato: DISAGIO GIOVANILE -ASSASSINI E SUICIDI TRA I RAGAZZI, così vedete che la mia non è una fisima. Con la onnipresente e vacua categoria di ‘disagio giovanile’ si dà la stura all’immancabile intervista allo psicoterapeuta che sforna frasi profonde come “C’è troppa rabbia tra i ragazzi” e “I bambini si sentono in credito e si comportano come se tutto fosse loro dovuto (si deve immaginare che invece lui a 10 anni fosse già fuori di casa)” e poi un altro articolo intitolato sobriamente VIDEOGIOCHI: QUANDO UN MITO DIVENTA UN’OSSESSIONE. Siccome ieri un pischello s’è sparato perché, pare, il babbo non lo faceva giocare alla Play, allora sono giustificate frasi come

a sedurre come Sirene bambini e adolescenti ci sono Nintendo, XBox, Wii e similari [...].

Tanto più che -orrore!

in loro compagnia – rivela un’indagine commissionata da Nextplora da Microsoft – i giovani maschi tra i 16 e i 24 anni trascorrono in media un’ora e 18 minuti al giorno

78 minuti al giorno, devo commentare? Poi:

Passioni e degenerazioni, quelle legate a videogiochi e affini, che attraversano il mondo: in Cile la scorsa primavera un ragazzo ha pugnalato a morte il fratello maggiore, di 18 anni, durante una vivace discussione per decidere chi avrebbe usato la playstation e a Mosca a settembre un giovane rapinatore si e’ lasciato stregare dalla playstation con cui giocava un ragazzino dimenticandosi che stava facendo il ”palo” a una rapina in casa. Ce n’è abbastanza per correre ai ripari. Anche ”ospedalizzando” le tecno-vittime. In Valle d’Aosta a marzo e’ stata inaugurata una clinica, la prima del suo genere in Italia, specializzata nella cura di fragilita’ adolescenziali che si trasformano in subdole dipendenze da videogiochi o da Internet e in pericolose patologie psichiatriche.

Un’emergenza planetaria! Addirittura 2 vittime, “c’è da correre ai ripari”! Ma siccome continuare a perculare degli articoli così confezionati non mi fa onore, cercherò di evidenziare un aspetto più serio: e cioè, che nonostante anni di alfabetizzazione digitale, videogiochi compresi, buona parte (non tutta, e comunque sempre meno) dell’informazione mainstream è tragicamente indietro sul piano di una corretta informazione in tal senso.

E sono anche scritto in Comic Sans

Intendo dire che essa si fa agente attivo della tenuta in stato di minorità dell’opinione pubblica: su certi temi il dibattito e la morale comune si sposterebbero piano piano in avanti, mentre per certi versi -ed è sicuramente il caso dei videogiochi e del web- sono tenuti ancorati all’opinione di psicoterapeuti settantenni, di sociologi improvvisati, di opinionisti da Maurizio Costanzo Show o da TV Sorrisi e Canzoni che non hanno MAI giocato a un videogioco in vita loro. Facciamo un parallelo: se io di economia non so un cazzo, nessuno viene da me a chiedermi un parere sui bond tedeschi. Perché tutto questo non vale per gli ambiti contrassegnati -a torto- come “giovanili” (web, videogiochi, fumetti, animazione)?

Soprattutto perché siamo già in un’era dove l’esperienza di gioco e la complessità delle trame sono già ampiamente a livello cinematografico. Parliamo di titoli come Metal Gear Solid 4, Dead Space, Assassin’s creed 2, Dead Rising 2, Heavy Rain: dico, Heavy Rain, imbecilli.

Per farvi capire che non esagero, articolo di Vittorino Andreoli sul Corriere:

Gli adolescenti di oggi sono degli empiristi e quindi agiscono senza progettare l’azione e senza nemmeno chiedersi quali ne siano il senso e le conseguenze;

La digital generation non ha radici;

In forma ancora più esplicita si tratta d’una generazione incapace di legami sentimentali;

Usando un videogioco del tipo «killer» , si può giungere a uccidere 900 sagome umane nei 3 minuti della sua durata e il punteggio record si lega proprio a quanti morti si sono fatti (esticaz….)

Altri succosi (si fa per dire) estratti dall’articolo in questione, con un po’ di commento, sono sul blog di Fabio Chiusi, da dove ho tratto le citazioni. Perché, non solo da tizi scrausi, ma sui principali quotidiani e in TV così spesso tutto quel che ha a che fare con internet o i videogiochi deve essere tacciato di causare violenza, senza che vi siano controprove nei fatti se non questo o quel caso di cronaca? Perché bisogna assistere a dibattiti assurdi e deliranti come questo (guardatelo, ché merita)? Anche perché non è una questione di età: internet, il web, la blogosfera, i videogiochi non diventano automaticamente qualcosa di esotico e sconosciuto per chi ha più di 50 anni, anzi: recenti studi dimostrano come semmai aiutino a “tenere dentro” quella fascia di popolazione rispetto al rischio dell’analfabetismo di ritorno.

Però no, l’internets è cattivo, i videogiochi fanno diventare violenti, i cartoni giapponesi e i fumetti di supereroi pure. Dovrei essere contento di avere l’età che ho per tutte le cose che posso ancora scegliere di fare, ma mi sento piuttosto spinto ad esserlo per poter godere del fatto che, se tutto va bene, potrò ballare sulle tombe di tutti i ridicoli pagliacci senza vergogna che ancora predicano queste cose indottrinando il popolino e vedere il giorno in cui quelle idee avranno lo stesso seguito che i predicatori di oscurantismo contro le nuove tecnologie finiscono per avere.

E sarà l’alba di un giorno luminoso, con nuove leggi e nuovi codici.

Osanna al Konami code!


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