Vietato in nome di Allah

Da Jolandaguardi

V. Colombo, Vietato in nome di Allah. Libri e intellettuali messi al bando nel mondo islamico, Lindau, Torino 2010

Lo dico chiaramente: io Valentina Colombo la leggo. Non sempre condivido le sue opinioni, ma, in primo luogo ha scritto anche cose molto interessanti, in secondo luogo non condivido l’embargo a priori, senza conoscere. La trovo oltretutto una persona simpatica e intelligente, qualità entrambe che mancano completamente ad alcuni dei suoi detrattori.

Il titolo non mi piace granché, perché è d’effetto e in parte fuorviante, ma si sa, questo cercano gli editori. In ogni caso il volume presenta diversi casi di censura in diversi paesi musulmani perpetrati (è il caso di dirlo se la censura istiga all’omicidio) nel nome dell’Islàm. Casi reali, alcuni dei quali tutti conosciamo per averne sentito parlare, averne letto e discusso come quello di Nasr abu Zayd, piuttosto che Theo van Gogh (io il suo film l’ho visto e l’ho trovato geniale) o Naguib Mahfuz, piuttosto che Mahmud Taha o Layla al-’Uthmàn.

Al di là del tono generale del volume che non sempre condivido, il pregio di Vietato in nome di Allah è quello di spingere la società occidentale – ma io direi quella italiana soprattutto – a dar voce ad altri musulmani che non siano i rappresentanti delle fazioni religiose più estreme (mi vengono  in mente, per quello di cui mi occupo, i rappresentanti del FIS in Algeria anni fa). Il punto, per come la vedo io, non è tanto eliminare questi ultimi dal dibattito politico, ma far sì che essi non siano i soli interlocutori come spesso purtroppo accade (basterebbe far riferimento ad alcuni pensatori che vivono in Francia e che purtroppo assai raramente vengono invitati ai convegni, come Malek Chebel, ma anche a Youssef Siddik) in modo che gli altri siano costretti a rientrare in un dibattito democratico e non violento, posto che eliminare gli estremismi è impossibile.

Così, alle visioni apocalittiche cui siamo abituati, se ne affiancherebbero altre che potrebbero stimolare quella “voglia di Islam” che Assia Djebar auspicava nella prefazione a Lontano da Medina.


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