Vincent di Leonardo Losavio. T.Millelire, 17-29 settembre. Recensione

Da Riflessialmargine
Il momento migliore per scrivere una recensione crediamo sia il giorno dopo. Dopo le prime impressioni, lo spettacolo va metabolizzato, i vari attimi si vanno depositando e l'impressione a caldo va sfumando in una più convincente analisi a freddo. Raramente ci capita di scrivere di getto, frenetici, per paura di non saper raccogliere quelle sensazioni. Questa volta di giorni ne son passati sei, le immagini di Vincent, in scena al T.Millelire fino al 29 settembre vanno mescolandosi con le immagini della vita reale, coi tanti impegni e serve uno sforzo maggiore per mettere da parte una settimana di vita. Il foglio bianco, il foglio bianco da riempire procedendo a ritroso, come una seduta d'ipnosi regressiva: cosa ricordi? Bianco su bianco. Il bianco che è il nostro primo ricordo entrati nel teatro. Un colpo d'occhio di purezza o d'inesistente, bianco è il colore della tela prima di ospitare la vita più intima di un pittore. Tre cornici pendono dal soffitto, bianche; una poltrona e altri oggetti di scena, tutto rigorosamente bianco. E capiamo già che quel bianco è sintomo di qualcosa di più grande, un qualcosa che è da colorare con la voce, il corpo, le emozioni e tanto basta a catturare l'attenzione. Poi le luci calano, un'ombra raggiunge il centro, poi un fiammifero che avvolge momentaneamente il volto di un uomo: Vincent Willem Van Gogh. O una sua ipotesi. Inizia così Vincent, spettacolo scritto e interpretato da Leonardo Losavio per la regia di Roberto Galano, incentrato sulla figura celebre e misteriosa del pittore olandese. Ma come già era accaduto con Bukowski, dove si mostrò tutto un altro personaggio rispetto a quello ormai a metà tra lo stereotipo e il mito, si è tentato di oltrepassare l'artista e di entrare in uno dei suoi tanti autoritratti, provando ad estrapolare l'altro Vincent, quello che raramente viene raccontato, quello umano, quello che sta fuori la tela, delle vicende familiari, della vocazione spirituale autoimposta, dell'amore non corrisposto per una prostituta, di ciò che lo rende simile a noi, ovvero i suoi sentimenti; una biografia dell'artista è proprio l'ultimo degli obiettivi di Losavio e Galano. 
Ne è venuto fuori un lavoro interessante, il quale colloca Vincent in una sorta di limbo cerebrale, una bianca gabbia di ricordi, dalla quale è impossibile allontanarsi o uscire, al cui interno si ode l'eco di voci fuori campo che ammoniscono, ricordano quanto sia solo e abbandonato da tutti. C'è soprattutto uno spettro, il quale ha forse contribuito in maniera irreversibile a macchiare la vita di Van Gogh e dei suoi fratelli e sorelle: il primo Vincent, primogenito di Theodorus van Gogh e Anna Cornelia Carbentus, nato morto il 30 marzo 1852, esattamente un anno prima della nascita del secondo Vincent. Un'infanzia e una vita interiore forse devastata da quella tragica fatalità che ha voluto non solo che portasse il nome di un fratello morto, ma anche, per un'ironia sadica del destino, che ogni anno si festeggiasse il compleanno e l'anniversario di una morte nello stesso giorno. È il punto di partenza, poi vengono i colori, sul volto e nella voce di Losavio, il quale attraversa la tavolozza scenica, mescolando e mescolandosi con ritmo e colore, spesso con una vaga nota di surreale autoironia, qualche momento di toccante commozione. Qualche punta stonata viene rinvenuta nella forzata artificiosità in alcuni punti, i cui toni bassi e ampollosi - quasi caricaturale - hanno sottratto smalto all'intepretazione. Errore? Difetto interpretativo? No, trattasi di una scelta ben precisa (sebbene quei momenti fossero, per noi, molto meno comunicativi). Già, perché va detto a tutti quelli che sperano di vedere Van Gogh in carne ed ossa, che non vedranno nulla del genere; nessun attore, per quanto bravo, può riuscire a riesumarlo e piazzarlo al centro di un palco. E lo stesso dicasi dei suoi quadri: chi può dire, alla descrizione di un quadro di Van Gogh, di immaginarselo tale e quale egli lo ha dipinto? Ognuno immaginerà una diversa forma, una diversa sfumatura di colore, ognuno può vederlo a suo modo. A dirla veramente tutta, non è nemmeno uno spettacolo su Van Gogh, è l'opera stessa a suggerirlo: Vincent. Dunque ognuno sia libero di vedere ciò che vuole, come ci spiega Galano. Poi si può essere d'accordo o in disaccordo con la scelta, delusi o soddisfatti, si può applaudire o contestare, crederci o non crederci, e poco a poco ci si avvicina al nocciolo più profondo, all'essenza del teatro, dove non esistono verità assolute, ma soltanto letture. E questa possibile dualità di giudizio, questo possibile attrito fa sì che il pubblico esca non con delle certezze, ma con delle domande. Questo infine, è ciò che ti fa dire: è uno spettacolo riuscito. A.A.
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VINCENT - vita, colori e morte di una folliadi Leonardo Losavioregia di Roberto Galanocompagnia: Teatro dei Limoni di Foggia 
dal 17 al 29 settembre presso
TEATRO MILLELIREVia Ruggero de Lauria 22- Romatel. 0639751063 – 3332911132Biglietti: €12 -  Atrapalo: €6.50 (prenota)