Vini migranti, Vino e migranti

Da Wineup

Come ha detto l’antropologa @alcheringia in un commento al post su #sottolequatore: il vino “così come un migrante che si spinge in terre che non gli appartengono, arrivando le cambia e esse cambiano lui… Io ci scriverei su questo parallelo vino migrante e uomini migranti!” Potevo lasciar cadere un invito così stimolante? E così eccomi a scrivere un post, come dire… diverso dal solito.  Sperando che vi piaccia.

Vigneti di barbera in Acampo, Mokelumne River AVA di Paul Cattrone (PDC Wines) qui con Hande (Vinoroma) Thanks to Hande Vinoroma per la foto

L’immigrazione non è un fenomeno nuovo, come a volte sembrerebbe leggendo i giornali o guardando la tv. In tutta la loro storia gli uomini si sono spostati, cercando di migliorare la propria esistenza. E portandosi dietro le cose che potevano, quelle che ritenevano più importanti per vivere. Fra cui naturalmente la vite.

Il vino è stato negli ultimi millenni presenza quotidiana sulla tavola e nei campi, il vigneto una delle coltivazioni più intimamente connesse all’uomo: costituisce una parte della nostra cultura (e per i cristiani della religione, o quantomeno di quello che la rappresenta), modifica il paesaggio, crea relazioni economiche.

E così i vini migrano, e, come gli uomini, cambiano quando raggiungono un diverso ambiente in cui vivere: ci si adattano e allo stesso tempo lo modificano con elementi nuovi, e nuove abitudini alimentari. Parlano altre lingue, e quando incontrano quelli della loro “famiglia” rimasti in patria, pur sapendosi riconoscere fra loro hanno un accento diverso. Tra parentesi, secondo me succederà proprio così a #barbera2, l’evento che tra pochi giorni farà incontrare in una degustazione incrociata vini barbera italiani e californiani: sarà interessante vedere come ognuno interpreta il vigneto originale…

Ma c’è un altro legame fra vino e migrazioni. Oggi in Italia il mondo del vino come lo conosciamo sarebbe impossibile senza il lavoro di tante persone che sono venute nel nostro paese e lavorano ai campi, alla vendemmia e così via, come ha ricordato una recente ricerca.

E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli, emigranti della risata con i chiodi negli occhi, finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere, fratello dei garofani e delle ragazze” cantava Fabrizio De Andrè ventisette anni fa, nella canzone in genovese Crêuza de mä, “mulattiera di mare”.

Le moderne migrazioni nascono dalla profonda disparità nella distribuzione della ricchezza per il nostro mondo: per ciò stesso sono una realtà dolorosa e difficile, e come troppo spesso sta accadendo nei nostri mari possono diventare una tragedia. Non possiamo però dimenticare che l’immigrazione è anche una grande occasione di incontro fra persone e culture, che può portare ad un arricchimento reciproco.

Prendiamoci il tempo di ascoltare questa bellissima poesia in musica che parla di mare, di incontri, di cose da bere e da mangiare: Crêuza de mä.


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