Riceviamo e volentieri pubblichiamo
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Quasi tre ore di confronto, diretto e schietto come gli uomini del vino sanno fare, che ha messo difronte idee, esperienza, vite professionali differenti di persone che hanno comunque fatto del vino una loro ragione di vita. Non sono mancati momenti di valutazioni molto dirette come quando Mario Pojer ha contestato le proposte dei saggi proposte dieci giorni fa a S.Michele e ha rilanciato l’idea di una nuova cooperazione per il vino. O quandoDipoli, che ha chiarito di parlare a titolo esclusivamente personale, non è andato sul leggero nel paragonare la produzione dell’Alto Adige a quella del Trentino. “Il vino trentino non entra più nella ristorazione medio-alta – ha detto senza giri di parole -. Quando i degustatori del Gambero Rosso vengono in Alto Adige, noi stendiamo tappeti rossi ed è una festa. Quando hanno finito di degustare i nostri vini, dicono adesso andiamo ad assaggiare le schifezze trentine.Per questo ai trentini dico: cominciate finalmente a fare il Trentino”.
Una sorta di peccato originale di cui ha parlato anche Giacomini. “Quando nel ‘78 ho iniziato a lavorare in Cavit (in una situzione finanziaria molto difficile, simile e quella che coinvolge oggi Lavis – ndr) ho cercato di innovare tutto il sistema introducendo il concetto di qualità – ha speigato -. A quei tempi persino l’Istituto di San Michele vendeva il vino in cestelli. In consiglio di amminustrazione spiegai che vi erano due strade: una in salita destinata a dare frutti nel tempo e una più semplice, commerciale, che avrebbe portato a buoni risultati finanziari per una decina di anni. Si è scelto la seconda e da questa visione è nata la Cavit di oggi”. E di conseguenza la visione commerciale del mondo cooperativo che commercuializza molto vino non prodotto in Trentino. E’ peraltro impossibile pensare oggi di bloccare tutto come taluni osservatori vorrebberop. “Quando lavori milioni di bottiglie non ti puoi fermare o rischi di mandare a cada centinaia di persone” ha chiarito Giacomini, che ha peraltro rimarcato il concetto di qualità come via di uscita per il futuro. Lo ha fatto ricordando come questo termine sia relativo: “Anche il Tavernello, che è il vino maggiormente venduto in Italia, nella sua categoria è di qualità – ha detto -. Il punto è di capire a quale livello di qualità ci vogliamo riferire”.
“Tutti devono tornare a fare il loro mestiere” è la ricetta di Angelo Rossi -: “Gli industriali gli industriali e i viticoltori i viticoltori: Cavìt e Mezzacorona continuino pure a fare attività industriale sui mercati mondiali, senza mettere di mezzo il brand Trentino, vignaioli e viticoltori cooperativi, invece, tornino a fare territorio e qualità. Poi è necessario affidare la regia della politica di settore ad un organismo a composizione paritetica come lo era il vecchio comitato vitivinicolo”.
Paolo Manfrini ha ricordato il ruolo di Trentino Marketing.“Noi siamo l’ultimo anello della filiera vino e non possiamo promuovere efficacemente un prodotto che non c’è. Solo se un prodotto esiste possiamo cercare di promuoverlo bene. Ora è arrivato il tempo in cui anche i viticoltori, come succede negli altri settori, dal formaggio alle mele, si assumano la loro responsabilità, anche economica. A noi compete promuovere un territorio non un singolo prodotto”.
E nel finale anche una battuta di Beppe Bertagnolli. “Per lavorare bene occorre cercare la specializzazione. Basta realtà che è producono tutto. E’ arrivato il momento delle scelte”.
BuonVinoTrentino si è chiuso dopo tre giorni di degustazioni con una grande successo. In passerella la produzione di venti Cantine con sfiziose produzioni gastronomiche – Formaggi “Latteria del sole” (Trento), la Salumeria dell’antica macelleria Cappelletti (Folgaria), i Prodotti ittici “Trota Oro” (Preore) l’Olio extravergine di oliva da agricoltura biologica Crisante (Planella di Pescara) – abbinate ai vini del Trentino, ai piatti del Gioco del Piacere, ai particolari tipi di riso della linea “Gli Aironi”, i dolci della pasticceria Filippi e Gardumi e al caffe Cibao.