Violare le leggi paga politicamente?
Creato il 22 febbraio 2011 da Tnepd
Il Golia giapponese sconfitto
dal Davide ecologista.
La consapevolezza dell’impotenza di fronte alla dura realtà dello
sfruttamento degli animali, perseguito dagli uomini e codificato dalle leggi, e’
lo scoglio contro cui ho cozzato fin dall’inizio della mia “carriera” di
attivista per i diritti animali. Nel marzo del 1981 davo inizio all’attività
pubblica, organizzando la mia prima manifestazione contro l’uccellagione;
nell’ottobre del 1982 finivo già in prigione per azioni di sabotaggio contro
impianti per la cattura degli uccelli migratori. Indi, nel quarto di secolo
seguente, alternavo iniziative autorizzate e legali ad azioni clandestine non
autorizzate e illegali conoscendo il carcere in più occasioni. L’accettazione o
meno delle limitazioni imposte dalle leggi funge da spartiacque critico tra gli attivisti
che rispettano i limiti e quelli che non li rispettano. Nel primo caso è
difficile parlare di vero attivismo perché le leggi esistenti sono tutte a
favore dello sfruttamento degli animali mentre quelle protettive si occupano
solo del benessere di poche bestie privilegiate e lo fanno il più delle volte
in maniera ipocrita ed inefficace, similmente alle pluricitate grida
manzoniane.
Un militante di storiche associazioni
legaliste - come l’Ente Nazionale Protezione Animali - che riconoscono il
potere dello Stato di legiferare in materia è un militante monco, frustrato e
imbrigliato; un militante dell’Animal Liberation Front che infrange le leggi è,
a conti fatti, più coerente e libero nel suo agire. Il primo ha un ristretto
spazio di manovra, come un animale in un recinto, mentre il secondo può
concedersi di tanto in tanto qualche sortita al di fuori dei confini predisposti
dalle autorità. Anche quest’ultimo però si pone dei limiti, non perché lo dica
la legge scritta dei codici, ma perché glielo impone la sua coscienza: il
limite e’ di solito quello di non uccidere chi uccide gli animali né di
torturare coloro che torturano gli animali.
A ben vedere nessuno c’impedisce
d’immaginare una terza via, un diverso modus
operandi, un livello più alto, quello che si verifica in tutte le guerre “civili”
e che ha i suoi modelli nei partigiani e negli altri ribelli antigovernativi
che giungono al punto di uccidere militari e altri funzionari del governo
giudicato oppressivo e dunque nemico. Secondo le leggi della Storia, anche chi
uccide gli animali potrebbe teoricamente essere ucciso da chi gli animali li
difende, in base al vecchio principio giudaico dell’occhio per occhio, dente
per dente. Principio che non è solo giudaico ma che si trova in tutte le culture
umane basate sulle guerre e sui conflitti (praticamente tutte), ovvero sui
rapporti di forza. Nel caso in
questione, gli attivisti di Sea Shepherd avrebbero tutto il diritto,
stabilito da secoli di storia umana, di uccidere i pescatori giapponesi che cacciano
le balene. Se non lo fanno dev’essere per ragioni di opportunità politica ed
anche perché, presumibilmente, contrasta con la loro coscienza di bianchi
occidentali cresciuti in un contesto culturale cristiano. Oltre al fatto che,
se lo facessero, andrebbero incontro a severe sanzioni da parte della
magistratura giapponese.
Sea Shepherd nasce come costola
di Greenpeace, associazione più ambientalista che animalista, distinzione che
tradotta per i profani significa che Greenpeace ha di base una visione più olistica
che individualistica degli animali e, di conseguenza, dei doveri che l’uomo ha
nei loro confronti. Ovvero, Greenpeace
si pone come obiettivo la difesa delle specie in via d’estinzione e non tanto
il singolo esemplare, un po’ come fanno tutte le associazioni di gran
marchio come il WWF, la LIPU e Legambiente. I loro attivisti infatti non
disdegnano il consumo di carne, cosa che può essere presa come cartina al
tornasole per sapere se ci si è schierati dalla parte degli animali o da quella
della natura in generale, proteggendo certe specie solo incidentalmente.
Ovviamente la distinzione non è mai nitida e vi possono essere molte sfumature
individuali che rendono difficile collocare il singolo attivista da una parte o
dall’altra, ma quanto detto finora può essere preso come criterio generale.
All’inizio, quando
nacque Greenpeace, nella mente di David McTaggart, gli ideali erano netti e
precisi; poi con il tempo, come avviene a molti partiti e organizzazioni,
Greenpeace cominciò a dedicare piu’ sforzi ed energie alla raccolta di denaro e
ai tesseramenti mentre le azioni sul campo, per esempio in difesa dei cuccioli
di foca sui ghiacci del Canada, cominciarono a vedersi sempre di meno.
Greenpeace oggi sembra non volersi piu’ occupare, come faceva negli anni
Ottanta, di foche e balene. Da tempo ha spostato la mira sul problema dell’inquinamento
legato all’impiego dell’energia nucleare e di altre attività umane rischiose
per la specie umana. In un certo senso Greenpeace ha lasciato il testimone a
questo nuovo gruppo, Sea Shepherd,
nato nella mente di Paul
Watson. Se non sbaglio, la scissione non fu indolore e per un certo periodo
quest’ultimo fu considerato dagli attivisti di Greenpeace come una specie di disertore,
un esaltato, un fanatico, uno da cui stare alla larga. Non sappiamo se anche
Sea Shepherd farà la stessa fine delle altre associazioni, cioè se andrà
incontro a un destino di appiattimento e si siederà sugli allori, ma sembra che
la notizia di un abbandono della caccia alle balene da parte dei giapponesi, a
causa del continuo disturbo arrecato dagli ecologisti, sia notizia
vera.
Di certo il caso nipponico
avvalora la tesi secondo cui dai governi non ci si possono attendere vere
politiche di protezione dell’ambiente - ma solo promesse fumose e ipocrite destinate
a non essere mantenute - e ci porta a supporre che invece le azioni dirette,
possibilmente senza spargimento di sangue umano, paghino
in termini politici, cioè a volte ottengano i risultati sperati. Quella in
esame e’ in vero una situazione più unica che rara. Non si era mai visto un
governo, che in genere non guarda in faccia a nessuno e sputa sopra ai trattati
internazionali, arrendersi di fronte alle sceneggiate di quattro anglosassoni esaltati,
rappresentanti di quegli stessi anglosassoni che settanta anni fa, su suolo
giapponese, sganciarono due bombe atomiche. Se a far rientrare la flotta
baleniera nipponica sono state veramente le fastidiose azioni degli ecologisti,
se ne può dedurre che, applicando le
stesse tecniche anche in altre situazioni, si possono ottenere gli stessi
risultati. Ovvero, a forza di dài e dài, persino le istituzioni più tetragone
possono essere costrette a più miti consigli anche quando vi siano in gioco
notevoli interessi economici come nel caso della carne di balena la quale, per
stessa ammissione delle autorità nipponiche, dietro il paravento ipocrita degli studi scientifici, viene invece trattata, immessa sul mercato, cucinata
nei ristoranti e mangiata da un certo numero di sedicenti buongustai, fenomeno
che di scientifico non ha nulla.
La peculiarita’ delle azioni
eclatanti di Sea Shepherd e di A.L.F. , al di là della filosofia di base delle
due organizzazioni, consiste nel fatto che i
liberazionisti sono costretti ad agire di notte, per non farsi catturare
subito dalla polizia e veder stroncati sul nascere i propri sforzi. Ad A.L.F.
interessa sottrarre quanti più animali possibile da laboratori e allevamenti,
attuando nel contempo i maggiori danni possibili alle strutture che li
schiavizzano, mentre la Greenpeace delle origini e Sea Shepherd, lavorando in
stretta collaborazione con stampa e televisioni, puntano di più su azioni
giornalisticamente appetibili volte a sensibilizzare l’opinione pubblica e
quindi devono agire di giorno, sapendo che potrebbero anche finire in prigione
ed essere processati. Anche gli attivisti di A.L.F. finiscono prima o poi in
prigione, senza onore e senza gloria, accompagnati sovente dalla
disapprovazione sociale e tacciati di essere terroristi. Ciò dipende anche dal
fatto che, mentre gli ambientalisti da battaglia scelgono obiettivi che portano
in sé l’approvazione del pubblico e vengono accompagnati nelle loro imprese
dalla simpatia della gente persino quando vengono arrestati, gli animalisti di
A.L.F. non si preoccupano di cercare la pubblica approvazione e danno ascolto
unicamente alla loro coscienza. Ciò li porta spesso a compiere azioni che
susciteranno l’odio dei benpensanti, come per esempio il danneggiamento di
macellerie o di stabulari e laboratori per la ricerca scientifica. I
liberazionisti non se ne curano. Resta valido il principio fondamentale in base
a cui se un allevamento viene preso di mira reiteratamente, alla fine, come il
governo giapponese, deve dichiarare bancarotta e smettere di allevare animali.
Cio’ vale più per le strutture private che per quelle pubbliche dato che queste
ultime godono di finanziamenti statali pressoché illimitati. Vi sono diversi casi di successo della
linea “intransigente” che hanno portato alla chiusura di numerosi lager privati,
estenuati dalle numerose incursioni dell’ A.L.F., soprattutto in Gran Bretagna.
Il gioco quindi pare valere la
candela sul piano politico anche se parecchi attivisti sono costretti a trascorrere
parte della propria giovinezza in prigione. Ma per gli animali si fa questo ed
altro, se si crede in ciò che si fa.
Se la coscienza è tranquilla, qualsiasi carcere può
essere sopportato senza troppa fatica. Ne so qualcosa.
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