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Violazione degli obblighi di assistenza familiare: le condotte di inadempimento ex art. 3 L. 54/2006 costituiscono reato permanente

Da Daniela Conte @StudioAvvConte

violazione obblighi di assistenza familiare   Con la sentenza n. 5423 del 2015, depositata il 05.02.2015, la Corte di Cassazione ha introdotto un nuovo orientamento giurisprudenziale in materia di violazione degli obblghi di assistenza familiare, affermando il seguente principio di dirittto : “… le condotte di inadempimento ex art. 3 legge 54/2006 costituiscono un unico reato permanente, la cui consumazione termina con l’adempimento integrale dell’obbligo ovvero con la data di deliberazione della sentenza di primo grado, quando dal giudizio emerga espressamente che l’omissione si è protratta anche dopo l’emissione del decreto di citazione a giudizio”.

L’art. 3 della L. 54/2006 stabilisce che “ In caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’articolo 12-sexies della legge 1º dicembre 1970, n. 898 “, a norma del quale ” Al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall’art. 570 del codice penale “.

Nel caso oggetto della sentenza in commento, Tizio fa mancare al figlio minore Tizietto i mezzi di sussistenza, non contribuendo al suo mantenimento e omettendo di pagare anche la somma mensile di € 300,00 fissata dal Tribunale dei Minorenni.

Di conseguenza Caia, la madre di Tizietto, si vede costretta a ricorrere all’aiuto dei servizi sociali.

Imputato per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, in primo grado Tizio viene riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 570, 2^ comma, c.p. e condannato alla pena di mesi 10 di reclusione, nonchè al pagamento di una multa pari a € 1.000,00.

In secondo grado, tuttavia, la Corte d’Appello riqualifica il reato ai sensi dell’art. 12 – sexies della L. 898/1970 e dell’art. 3 L. 54/2006, dichiarando prescritti i fatti anteriori al 25.08.2006 e rideterminando la pena in mesi 6 di reclusione.

L’imputato e la parte pubblica propongono ricorso presso la Corte di Cassazione.

I Giudici di legittimità evidenziano, preliminarmente, il contrasto giurisprudenziale relativamente ai rapporti tra l’art. 570.2 n. 2 c.p. e l’art. 3 L. 54/2006 (cui va aggiunto l’art. 12 – sexies L. 898/1970, che presenta una problematica analoga).

Secondo alcune sentenze di legittimità, infatti, vi è concorso formale eterogeneo tra le norme sopra citate (la Corte di Cassazione cita le sentenze n. 12307/2012, n. 34736/2011, n. 32540/2005 della 6^ Sezione).

Secondo altre sentenze di legittimità, al contrario, si parla di assorbimento (la Corte di Cassazione cita, in proposito, la sentenza n. 44629/2013 della 6^ Sezione).

A proposito di quest’ultimo orientamento, tuttavia, gli ermellini precisano che “… in presenza dell’evento: “aver fatto mancare i mezzi di sussistenza”, il reato ex art. 570.2 n. 2 c.p. o concorre o assorbe, mai può essere assorbito…” (a sostegno di tale affermazione vengono citate, tra le altre, le sentenze n. 12307/2012 e n. 44629/2013).

Alla luce di quanto sopra descritto, a parere della Corte di Cassazione la Corte d’Appello avrebbe considerato un’imputazione diversa da quella letterale, poichè la contestazione riguarda anche la condotta dell’imputato nel periodo antecedente alla fissazione della somma per il mantenimento di Tizietto da parte del Tribunale dei Minorenni (Tizio, infatti, viene accusato di non avere mai contribuito al mantenimento del figlio minore e, successivamente, di non avere versato la somma mensile fissata da Tribunale).

 Ancora, i Giudici della Suprema Corte rilevano che la Corte d’Appello, una volta riqualificato il fatto originariamente contestato, avrebbe dovuto tenere conto dell’intero periodo nel quale Tizio aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio minore Tizietto (Tizio, infatti, nel 2006 era stato arrestato e era rimasto in carcere, ma comunque i suoi familiari avrebbero potuto provvedere in sua vece a garantire i mezzi di sussistenza al figlio minore), e non soltanto di una parte.

In merito alla natura del reato, la Corte di Cassazione precisa che, secondo la propria giurisprudenza in tema di violazione di obbblighi di assistenza familiare (anche economica), si è in presenza di reato permanente nelle ipotesi in cui la condotta è contestata con l’individuazione soltanto della data di inizio, mentre la prescrizione decorre dalla data della sentenza di primo grado.

In merito alla concreta applicazione del principio di diritto sopra citato, la Suprema Corte aggiunge che “… la consumazione deve essere contestata come in atto… e che questa regola ha valore meramente processuale, non determinando alcun’inversione dell’onere della prova che sempre grava sull’accusa … “.

I Giudici con l’ermellino, affermano, poi, che – secondo consolidata giurisprudenza della Suprema Corte in merito all’omessa prestazione di mezzi di sussistenza, contemplata dall’art. 570.2 n. 2 c.p. – il mancato adempimento dell’obbligo di contribuire economicamente al mantenimento che graa sul singolo genitore deve essere valutato nel suo complesso; di conseguenza, la condotta penalmente rilevante ha natura di reato permanente e la consumazione del medesimo “… inizia con la prima condotta che determina l’evento proprio delle fattispecie incriminatrici e cessa con l’ultima “.

L’esperienza giudiziaria ha messo in evidenza che la condotta abituale dell’imputato di reato ex art. 570.2 n. 2 c.p. è “… proprio quella di non aver corrisposto con regolarità la somma deliberata dal giudice della separazione, in contesti di fatto nei quali, ovviamente, quella mancata tempestiva corresponsione, totale o parziale, abbia determinato l’effettivo venir meno dei mezzi di sussistenza … ” (cui si collega lo stato di bisogno dei minori che non hanno un reddito autonomo – in proposito si veda Cass. civ.. Sez. 6^, n. 23599/2013 -) e la giurisprudenza penale, dal canto suo, ha affermato che – anche se l’autonomo inadempimento dell’obbligo sopra citato si verifica mensilmente – le plurime condotte penalmente rilevanti ai fini penali vanno considerate unitariamente (reato permanente ; tra le sentenze sull’argomento, la Cassazione cita la n. 51499/2013, n. 2241/2011, n.22219/2010, n. 7321/2009, n. 43793/2008, n. 7791/2003, tutte della Sez. 6^).

La Suprema Corte aggiunge che, per poter parlare di reato permanente, è importante che vi sia “… continità della condotta illecita fino alla sua cessazione…“.

I Giudici con l’ermellino citano la sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 23866/2013, che ha “… qualificato il reato ex art. 12 – sexies legge 898/1970 quale reato omissivo proprio, di carattere formale, il cui soggetto attivo può essee solo chi è tenuto alla prestazione dell’assegno di divorzio e la cui condotta consiste nell’inadempimento dell’obbligo economico stabilito dal provvedimento del giudice… Tale assegno periodico ha, per giurisprudenza anche civile, natura (esclusivamente) assistenziale e questa è la ragione fondamentale indicata dalle Sezioni unite per la conclusione dell’applicazione della sanzione prevista dal primo comma dell’art. 570 c.p. Si tratta di argomentazioni sostanzialmente pertinenti anche alla corrispondente struttura della discipilina prevista dal’art. 3 della legge 54/2006, in effetti pure richiamata nella medesima sentenza. Si noti che proprio la diversità tra il concetto di “assistenza” e quello di “sostentamento” è in concreto la fonte della questione derl rapporto (concorso formale o consunzione) tra tali due norme (di natura formale, in relazione al mancato pagamento della somma/assistenziale) e il capoverso n. 2 dell’art. 570 c.p. (che riguarda invece solo il più ristretto ambito della sussstenza)….Chiaro è il principio di diritto poi affermato dalle Sezioni unite, secondo cui la violazione dei doveri di assistenza materiale di coniuge e genitore, previsti dalle norme del codice civile rientra tendenzialmente nella tutela penale del primo comma dell’art. 570 c.p. per l’individuazione del trattamento sanzionatorio, nelle due fattispecie incriminatrici speciali va applicata la pena alternativa prevista da tale primo comma. Orbene, proprio la comune natura assistenziale degli obblighi civili che sorgono dale leggi 898/1970 e 54/2006, e la loro ricordata “affinità sistematica e strutturale” allle fattispecie oggetto dei due commi dell’art. 570 c.p., spiega la natura permanente della eventuale pluralità di loro violazioni in un contesto unitario”.

In sostanza, la Suprema Corte ha voluto affermare che, in presenza di plurime e continuate violazioni dell’obbligo di mantenimento e assistenza, non si deve considerare una pluralità di inadempimenti singoli, ma un unico inadempimento (un reato permanente, appunto) protrattosi dalla prima condotta illecita all’ultima.

Alla luce di quanto sopra descritto, pertanto, i Giudici di legittimità hanno affermato, sulla base del caso di specie, il principio di diritto enunciato al principio dell’articolo.

A sostegno di p talerincipio di diritto, la Suprema Corte richiama, infine, la dottrina secondo cui, se si desse autonoma importanza al singolo inadempimento (reato continuato e non reato permanente) – con la conseguenza che la pena comminata non potrebbe essere superiore al triplo rispetto a quella determinata per il primo episodio -, si arriverebbe all’inaccettabile conseguenza di una “… sorta di “licenza a delinquere” per i comportamenti ulteriori…”.

Alla luce di quanto affermato, la Corte di Cassazione ha accolto i ricorsi delle parti, annullando la sentenza impugnata e rinviando ad altra Sezione della Corte d’appello per un nuovo giudizio.

Roma, 08.02.2015

Avv. Daniela Conte

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