Violenza sulle donne: perché una donna maltrattata non se ne va? E perché non denuncia?

Da Mariagraziapsi

Sono le domande che ci poniamo tutti immediatamente, quando ci troviamo a leggere dell’ennesimo caso di cronaca in cui una donna viene picchiata dal compagno, e non per la prima volta.

Anna vuole dei chiarimenti. Vuole sapere a chi Gianni ha regalato un costoso braccialetto, il cui scontrino era nella tasca della sua giacca. Già che c’è, gli chiede chi è che all’ora di cena continua a cercarlo con messaggi. Gianni reagisce. La graffia sul volto, urlandole che è una pazza, la insulta pesantemente. Le dice che si immagina tutto e che deve andare a farsi curare. Poi sbatte la porta, chiudendole dentro un dito. Quando lei urla per il dolore, i bambini, che sono presenti, iniziano a piangere. Gianni si infuria ulteriormente con Anna, dicendole che tutto questo accade per colpa sua. Di nuovo, un’altra volta, come sempre.”

Un osservatore esterno spesso fatica a comprendere come si possa vivere anni, addirittura decenni, accanto ad un uomo che ti maltratta.

Lundy Bancroft, consulente giudiziario americano con esperienza ventennale in ambito di maltrattamento domestico, ha cercato di dare risposta a questi interrogativi. Dalla sua esperienza a contatto sia con le vittime che con gli aguzzini di queste tragiche storie ha potuto osservare che non c’è un solo motivo che spinge donne vittime di abuso a non denunciare e non andarsene, ma la compresenza di diversi fattori:

  • il tentativo di plagio e manipolazione, ossia tentativi di influenzare il pensiero dell’altra persona, portandola a fare/pensare come desidera il partner maltrattante (ad esempio che qualche schiaffo è un comportamento normale in una coppia, oppure convincere la donna che i problemi di casa sono colpa sua). Manipolazione e plagio vengono effettuati allo scopo di isolare la vittima dal suo contesto sociale e poterla controllare meglio;
  • la struttura di personalità della vittima: le donne emotivamente fragili, o con personalità non ben strutturata o precedentemente traumatizzata sono più esposte a subire attacchi di compagni maltrattanti, poiché tendono a difendersi di meno;
  • la presenza di figli: per una donna è materialmente ed economicamente difficile intraprendere una separazione, poiché rimarrebbe da sola con il carico della prole e con l’incombenza di una separazione, spesso lunga, costosa e tormentata.
  • il sistema di credenze e giustificazioni che la donna utilizza per cercare di salvare la relazione e le giustificazioni stesse presentate dal maltrattante: egli, infatti, cerca di convincere la vittima e chi lo circonda di non avere responsabilità negli atti violenti che commette, ma si dichiara vittima egli stesso delle circostanze.

Bancroft ha raccolto queste giustificazioni, verificando come non solo corrispondano al reale, ma come la loro presenza possa condizionare la vittima nel non abbandonare la relazione. Lo stesso autore ha chiamato queste credenze “miti”. Dei diciassette da lui identificati, ne presentiamo quattro, fra i più ricorrenti:

MITO N. 1: il maltrattante ha avuto una partner che lo ha ferito terribilmente, per cui ora ha un rapporto problematico con le donne. “Io sono così perché altre donne mi hanno fatto del male, non è colpa mia”, sarebbe la scusa. Nella maggior parte dei casi, questa versione non corrisponde al vero e rappresentano vere e proprie bugie o alterazioni della realtà. Spesso, quando racconta dei maltrattamenti subiti, non fa altro che raccontare ciò che ha fatto lui stesso alla ex compagna. Al contrario, quando si è riusciti a raccogliere l’andamento delle storie precedenti, si è potuto osservare come egli maltrattasse la precedente partner come quella attuale. Si tratta, infatti, di un comportamento ripetuto in ogni relazione.

MITO N. 2: mi maltratta perché prova un sentimento fortissimo nei miei confronti. La frase tipica è “Nessuno è in grado di farmi saltare i nervi come lei, perché provo forti sentimenti nei suoi confronti”. L’uomo che abusa di violenza cerca di convincerci che sono i sentimenti di affetto e di amore a provocare la violenza. “Faccio così perché ti amo” è comunque una frase che può gettare in confusione una vittima che è ancora innamorata, poiché la spinge ad accettare la violenza come prova d’amore. In questo mito, purtroppo, le donne sono fortemente influenzate dalla pressione cinematografica (anche recente, come nel noto film “50 sfumature di grigio”) e musicale, che diffonde l’idea malsana secondo cui la violenza faccia parte dell’amore passionale: un prezzo da pagare per un coinvolgimento unico.

MITO N. 3: perde il controllo, va fuori di testa. E’ l’alibi degli impulsi incontrollabili, spesso chiamato in causa per giustificare, anche in sede giudiziaria, l’esplosione di rabbia a causa della quale la donna subisce violenza fisica e psicologica. Chi lavora con i maltrattanti sa bene come, al contrario, siano persone sempre molto lucide e riescano a modificare rapidamente il comportamento non appena la polizia bussa alla porta. Oppure come, durante una lite, egli rompa o danneggi solo oggetti appartenenti alla compagna, e nulla di suo. Bancroft osserva come l’uomo che agisce violenza si autorizzi a perdere il controllo sulla partner. Ulteriore indizio a favor di questa osservazione è il fatto che molto maltrattanti agiscano abusi fisici mirati, volti a creare paura e dolore, ma lasciando meno segni possibili.

MITO 4: odia le donne in genere, perché ha sofferto a causa loro. Anche questo non corrisponde al vero. Prova ne è il fatto che la maggior parte degli uomini maltrattanti, con le altre donne, ha un rapporto normale. Con la madre ha spesso un rapporto sereno, così come con le sorelle, che non sospettano di nulla. Molti lavorano con superiori donne, senza mostrare alcun problema. Anzi, tendono, socialmente, ad essere molto affascinanti, cortesi, cavalieri con le altre donne, al punto da costruirsi un’immagine sociale impeccabile. Infatti, il problema del maltrattamento è legato solo alla propria partner e nasce nel momento in cui la donna allaccia una relazione stabile con questa tipologia di uomini. Il legame, infatti, sancisce per l’uomo un rapporto di possesso che lo autorizza ad agire con regole differenti.

Tutto questo alone di giustificazioni e credenze sull’uomo che abusa di violenza, spinge la vittima a cercare la causa dei maltrattamenti in fattori esterni al compagno o, peggio ancora, in qualcosa che non va dentro sé stessa. Come spiega l’autore, la donna tende ad attribuire i tratti gentili del compagno a qualità personali, ma contemporaneamente attribuisce la sua violenza a cause esterne, tentando in tal modo di giustificare i suoi agiti. L’effetto psicologico è che la vittima farà di tutto (ed inutilmente) per aiutarlo, arrivando a sopportare per anni gesti estremi di maltrattamento sia fisico che psicologico, nella speranza che lui cambi.

M. F. Hirigoyen ha osservato come molte donne si siano progressivamente abituate all’imposizione della violenza, finendo per considerarla una normalità. Non si tratta di un atteggiamento masochistico, piuttosto di un condizionamento operato tramite vessazioni fisiche e psicologiche.

Se il mio partner mi tira uno schiaffo, mi trovo in una relazione violenta? Se mi spinge contro i mobili, è violento? A volte è difficile stabilire il confine fra il tollerabile e l’illecito.

Comprendere a fondo i miti dell’uomo maltrattante ed il quadro col quale si manifesta un comportamento d’abuso può essere un primo passo per molte donne che non riescono a dare un senso alla loro sofferenza.

Monica Bonsangue

Bibliografia

L. Bancroft, Uomini che maltrattano le donne, Vallardi

M.F. Hirigoyen, Sottomesse,

Norwood, R. , Donne che amano troppo, Feltrinelli



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