All’interno di questo scenario, s’inserisce il Premio Immagini Amiche. Si chiama così l’iniziativa promossa dall’UDI (Unione Donne in Italia) e dall’Ufficio Italiano del Parlamento Europeo, con l’intento di premiare quanti, nel mondo dei media e della pubblicità, si sono spesi per proporre un’immagine femminile lontana dagli stereotipi che di solito vogliono la donna formosa, plastificata e ubbidiente. Il Premio, che si ispira alla Risoluzione del Parlamento Europeo Impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini (2008/2038(INI)) è giunto alla terza edizione e, quest’anno, i vincitori saranno decretati entro il 1 marzo 2013 sulla base dei voti ricevuti. La lista dei candidati è abbastanza varia, suddivisa in 5 categorie: Programmi televisivi, Pubblicità televisiva, Pubblicità stampata, Affissioni, Web. Tra i vincitori dell’anno scorso, ricordiamo Milena Gabanelli e Geppi Cucciari per la televisione; Kinder cereali per lo spot con Valentina Vezzali; Amref per la pubblicità sulla stampa e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni per la pubblicità sul web.
L’idea di fondo è quella di «valorizzare la comunicazione che veicola messaggi positivi, promuovendo una creatività innovativa in grado di proiettare immagini “amiche” delle donne», quasi a voler individuare la causa delle disuguaglianze di genere nella promozione degli stereotipi femminili propria della pubblicità.
Ci chiediamo, invece: e se i media, e la pubblicità che l’alimenta, non facessero altro che cogliere qualcosa di atavico, che risiede altrove e che li precede? Forse, il problema, prima ancora che di ordine comunicativo, è una questione sociologica. Ristabilire quest’ordine di priorità non potrebbe essere l’inizio di un percorso maggiormente mirato?
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