Molti esponenti della nostra classe politica hanno rievocato, nei giorni seguiti alle devastazioni di Roma, l’ ombra lunga della violenza organizzata e, in qualche modo, sistematica degli anni del terrorismo. Senza dubbio, gli scontri che si consumavano martedì pomeriggio nella capitale rappresentano un atto estremamente grave e, ahimè, sui quali si è incredibilmente speculato. Le violenze incondizionate di questi giorni, infatti, sono state oggetto di strumentalizzazioni politiche condite con quel pizzico di qualunquismo tutto all’ italiana da parte di politici, commercianti e gente comune. Gli scontri di Roma rivelano, secondo il mio modesto punto di vista, un dato molto chiaro: ovvero che la violenza sprigionata da studenti, black block e altria sia una violenza fine a se stessa, nichilista direi. Una violenza finalizzata a generare altra violenza. Questo è il solo proposito di quella folla che ha messo a ferro e fuoco la Città Eterna. Parlare di terrorismo o di un potenziale ritorno alla stagione delle stragi, come è stato fatto, significa, in una qualche maniera, sopravvalutare i manifestanti. Renderli depositari di un progetto politico radicale ed estremista, basato sulla distruzione violenta. Invece molti di quei giovani ( anzi tutti) poco sanno di terrorismo, di strategia della tensione; poco sanno, in ultima analisi, della storia politica recente del paese. Tuttavia, è una violenza, quella scatenatasi per le vie di Roma, ancora più preoccupante di quella di marca terroristica. Perchè essa è senza controllo, esondata dagli argini della lotta politica organizzata. Ed è per questo anarchica, sfuggente, incontrollabile. L’ altro elemento che rende poco equiparabile questa violenza a quella degli anni di piombo è la base sociale dei manifestanti. A metà degli anni ‘ 70 ( ma anche prima del resto), il tessuto sociale dal quale il terrorismo attingeva le proprie leve era quello sindacalista-operaio, nonchè le università e, in minima parte, l’ universo della braccianteria agricola. Tra i manifestanti di Roma c’ erano studenti, ricercatori, molti black block; un’ armata brancaleone di difficile collocazione sociale, del tutto indistinta. Questo appiattimento sociale va nella stessa direzione della degradante sciatteria della politica che in quella piazza doveva farsi carico del malessere che ha acceso gli animi fino all’ irrimediabile. L’ elemento paradossale è che nessuna differenza intercorre tra i giovani manifestanti e i tromboni della politica che nelle ore degliscontri recitavano ( o meglio tentavano di farlo) il de produndiis al governo Berlusconi. Infatti, sono entrambi parti di un unico processo degenerativo in atto da almeno un ventennio nel paese. Verrebbe quasi da pensare, parafrasando il pensiero pasoliniano, che le violenze alle quali abbiamo assistito siano una sorta di “protezione” rivolta al potere o di un’ inconscia connivenza con esso.
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