Per l’occasione ci spostiamo in Corea del Sud, uno dei paesi più prolifici per quanto riguarda la nuova frontiera dell’horror cinematografico. Un cinema, quello coreano, che deve sicuramente molto alla più antica tradizione horror giapponese, ma che tuttavia, negli ultimi dieci anni, ha saputo differenziarsi concentrandosi sulla sofferenza e sull'angoscia dei personaggi piuttosto che sull’ormai sdoganato cliché del fantasma vendicativo vestito di bianco e dai lunghi capelli corvini.
Prima che qualcuno me lo faccia notare, mi affretto a precisare che un fantasma vendicativo, vestito di bianco e dai lunghi capelli corvini, lo troviamo anche in questo “Cello” (첼로), e ci regala delle sequenze da brivido, alcune perfino abbastanza originali, ma, come vedremo tra poco, non è questo il punto.
Film datato 2005 ma giunto in Occidente solo due anni più tardi, a seguito del premio che venne assegnato alla protagonista Hyeon-a Seong nel corso della rassegna Málaga International Week of Fantastic Cinema, "Cello" è innanzitutto un film psicologico, che si interroga sulle conseguenze devastanti che i sensi di colpa possono assestare all’animo umano. Quanto può perdurare un senso di colpa? Quanto può essere in grado di influire sulle nostre vite? Quanto può incidere sulle nostre azioni il ricordo di un attimo che avrebbe potuto essere diverso? Se un passaggio nella vita di qualcuno è stato modificato da una nostra azione, possiamo (o dobbiamo) sentirci responsabili? Oppure possiamo considerarci solo delle pedine in un disegno molto più grande?
Si dice poi che l’invidia sia uno dei sette vizi capitali. Quanti di noi non hanno mai provato, anche solo per una volta, invidia verso qualcuno? Non abbiamo forse mai invidiato la bellezza? Non abbiamo forse mai invidiato il successo e la ricchezza? Sarò forse un tantino esagerato, ma credo che non passi giorno senza che invidiamo qualcosa a qualcuno, ignari forse che quel qualcuno, in quello stesso momento, sta invidiando qualcosa di noi. Nel saggio “Umano, troppo umano“, Nietzsche affermava che l’invidia è il frutto di un desiderio che non può essere soddisfatto, o meglio, utilizzando le parole del grande filosofo tedesco: “L’invidia nasce quando uno è desideroso, ma non ha prospettive”. Ma è davvero così? Quanta della nostra invidia è sprecata nell’idea, spesso sbagliata, che non vi siano prospettive? Nell’immagine di qualcuno che, diversamente da noi, ha raggiunto successo e ricchezza potremmo benissimo trovare uno stimolo per raggiungere lo stesso traguardo. Oppure potremmo mandare tutto a puttane distruggendo tutto, incluse le nostre possibilità.
La scena di apertura di “Cello” è folgorante ed è il trailer perfetto di ciò che ci aspetta nell’ora e mezza che segue: una ragazza di cui non distinguiamo il volto, ma che intuiamo essere di una bellezza eterea, suona una melodia dolcissima con il violoncello nella propria camera da letto. La macchina da presa si muove all’interno della stanza, talvolta soffermandosi sui dettagli, talvolta dedicandosi alla visione d’insieme. Improvvisamente tutto cambia: come se avessimo ricevuto un pugno nello stomaco ci ritroviamo all’interno di un pronto soccorso, dove è appena giunta la vittima di un incidente stradale. L’inquadratura si sofferma sul volto di una ragazza completamente coperto di sangue, al punto che, come è stato per la violoncellista pochi attimi prima, nemmeno di lei distinguiamo i tratti somatici. Tutt’attorno medici indaffarati e disperati di poterla salvare dal suo destino ormai scritto.
Un inizio che davvero ci spiazza e che mette immediatamente sul piatto il talento registico di Lee Woo-cheol, il quale, nel corso del film, ci regalerà ancora diverse inquadrature da capogiro (una su tutte un “effetto vertigo” degno del miglior Hitchcock). Ma ancora una volta la realtà non è come sembra: Lee Woo-cheol è tutt’altro che un regista navigato e “Cello”, girato ormai quasi dieci anni fa, rimane oggi il suo primo e unico lavoro.