Violoncello

Creato il 31 ottobre 2014 da Theobsidianmirror
Il destino ha due modi per distruggerci, negare i nostri desideri o realizzarli. (Henri-Frédéric Amiel) 
Nell’attesa che le prime ombre della sera si allunghino sulla città, nell’attesa che la notte più spaventosa dell’anno scenda e colga in fallo voi ignari lettori del blog, il vostro Obsidian Mirror tamburella freneticamente le dita sulla tastiera del computer per proporre il proprio menù di Halloween. Davvero pensavate che me ne fossi dimenticato quando avete letto il titolo del post di oggi nel vostro blogroll? Ebbene spero che adesso siate sollevati, perché “violoncello” è la mia proposta odierna per trascorrere in “pace” e “serenità” la vigilia di Ognissanti.
Per l’occasione ci spostiamo in Corea del Sud, uno dei paesi più prolifici per quanto riguarda la nuova frontiera dell’horror cinematografico. Un cinema, quello coreano, che deve sicuramente molto alla più antica tradizione horror giapponese, ma che tuttavia, negli ultimi dieci anni, ha saputo differenziarsi concentrandosi sulla sofferenza e sull'angoscia dei personaggi piuttosto che sull’ormai sdoganato cliché del fantasma vendicativo vestito di bianco e dai lunghi capelli corvini.
Prima che qualcuno me lo faccia notare, mi affretto a precisare che un fantasma vendicativo, vestito di bianco e dai lunghi capelli corvini, lo troviamo anche in questo “Cello” (첼로), e ci regala delle sequenze da brivido, alcune perfino abbastanza originali, ma, come vedremo tra poco, non è questo il punto.
Film datato 2005 ma giunto in Occidente solo due anni più tardi, a seguito del premio che venne assegnato alla protagonista Hyeon-a Seong nel corso della rassegna Málaga International Week of Fantastic Cinema, "Cello" è innanzitutto un film psicologico, che si interroga sulle conseguenze devastanti che i sensi di colpa possono assestare all’animo umano. Quanto può perdurare un senso di colpa? Quanto può essere in grado di influire sulle nostre vite? Quanto può incidere sulle nostre azioni il ricordo di un attimo che avrebbe potuto essere diverso? Se un passaggio nella vita di qualcuno è stato modificato da una nostra azione, possiamo (o dobbiamo) sentirci responsabili? Oppure possiamo considerarci solo delle pedine in un disegno molto più grande?
Si dice poi che l’invidia sia uno dei sette vizi capitali. Quanti di noi non hanno mai provato, anche solo per una volta, invidia verso qualcuno? Non abbiamo forse mai invidiato la bellezza? Non abbiamo forse mai invidiato il successo e la ricchezza? Sarò forse un tantino esagerato, ma credo che non passi giorno senza che invidiamo qualcosa a qualcuno, ignari forse che quel qualcuno, in quello stesso momento, sta invidiando qualcosa di noi. Nel saggio “Umano, troppo umano“, Nietzsche affermava che l’invidia è il frutto di un desiderio che non può essere soddisfatto, o meglio, utilizzando le parole del grande filosofo tedesco: “L’invidia nasce quando uno è desideroso, ma non ha prospettive”. Ma è davvero così? Quanta della nostra invidia è sprecata nell’idea, spesso sbagliata, che non vi siano prospettive? Nell’immagine di qualcuno che, diversamente da noi, ha raggiunto successo e ricchezza potremmo benissimo trovare uno stimolo per raggiungere lo stesso traguardo. Oppure potremmo mandare tutto a puttane distruggendo tutto, incluse le nostre possibilità.
In Cello si racconta di una studentessa di violoncello la cui compagna ha ottenuto inaspettatamente quel riconoscimento che lei tanto desiderava. Nasce inevitabilmente l’invidia. Nasce e comincia a crescere dentro di lei l’invidia negativa, quella distruttiva. La compagna non rappresenta un esempio da seguire, bensì un nemico da distruggere. E quell’amicizia, che avrebbe potuto avere un seguito importante, si disgrega rapidamente e lascia il posto al gelo. Un giorno una delle due (non importa chi) muore in un incidente stradale, mentre l’altra, seduta al suo fianco, sopravvive. Ed ecco sopraggiungere nella sopravvissuta il senso di colpa. Il senso di colpa per un’amicizia che era andata ormai a rotoli. C’è una frase bellissima pronunciata in Cello che dice: “She said that maybe if one of us didn't play the cello, we could've been great friends. She told me that she hated herself for being in my shadow all the time. And... because of that, she wished I would just disappear.” A mio parere sta tutto in quell’“Avremmo forse potuto essere grandi amiche se solo una di noi non avesse suonato il violoncello” lo spirito del film. È molto più facile invidiare le piccole cose nelle persone che amiamo piuttosto che le grandi cose nelle persone che riteniamo irraggiungibili. E poi sopraggiunge il senso di colpa, un senso di colpa talmente intenso che è addirittura in grado di riportare in vita il fantasma dell’altra, un fantasma desideroso di vendetta, ma anche un fantasma che invidia la vita.
Avrete notato che non ho ancora minimamente accennato alla trama di “Cello”. Non si tratta di un caso o di una dimenticanza: non racconterò nulla di più di quanto abbia già detto, perché uno dei punti di forza di “Cello” è proprio la complessità dell’intreccio, il continuo susseguirsi di colpi di scena, di svolte, di cambiamenti di prospettiva, in una narrazione che volutamente, in molte sequenze, è cadenzata da un ritmo lento. Quello che osserviamo all’inizio non è reale e, quando tutti i pezzi del puzzle sembrano convergere su una soluzione, rimarrà sempre escluso un dettaglio in grado di rovesciare tutto. Nemmeno la vita e la morte sono certezze. Chi è vivo? Chi è morto? Non lo sapremo che alla fine e, anzi, forse nemmeno alla fine. La realtà ha molte facce e il giovane regista Lee Woo-cheol è stato in grado di mostrarcele tutte, componendo una sinfonia perfetta, dove tutti gli strumenti interagiscono perfettamente tra loro e, sebbene indistinguibili, ne sono parte essenziale.
La scena di apertura di “Cello” è folgorante ed è il trailer perfetto di ciò che ci aspetta nell’ora e mezza che segue: una ragazza di cui non distinguiamo il volto, ma che intuiamo essere di una bellezza eterea, suona una melodia dolcissima con il violoncello nella propria camera da letto. La macchina da presa si muove all’interno della stanza, talvolta soffermandosi sui dettagli, talvolta dedicandosi alla visione d’insieme. Improvvisamente tutto cambia: come se avessimo ricevuto un pugno nello stomaco ci ritroviamo all’interno di un pronto soccorso, dove è appena giunta la vittima di un incidente stradale. L’inquadratura si sofferma sul volto di una ragazza completamente coperto di sangue, al punto che, come è stato per la violoncellista pochi attimi prima, nemmeno di lei distinguiamo i tratti somatici. Tutt’attorno medici indaffarati e disperati di poterla salvare dal suo destino ormai scritto.
Un inizio che davvero ci spiazza e che mette immediatamente sul piatto il talento registico di Lee Woo-cheol, il quale, nel corso del film, ci regalerà ancora diverse inquadrature da capogiro (una su tutte un “effetto vertigo” degno del miglior Hitchcock). Ma ancora una volta la realtà non è come sembra: Lee Woo-cheol è tutt’altro che un regista navigato e “Cello”, girato ormai quasi dieci anni fa, rimane oggi il suo primo e unico lavoro.
Il presente articolo si inserisce in un più ampio discorso che in questo preciso momento vede la luce contemporaneamente su altri quindici blog cinefili. Un’idea abbozzata solo qualche settimana fa trova finalmente la sua emanazione oggi nello speciale “Ghosts of Halloween”, una serie di post dedicati ai fantasmi visti con l’occhio della macchina da presa (ma non necessariamente spaventosi). Qui di seguito l’elenco dei film inclusi in questo speciale, con i collegamenti diretti ai blog che li ospitano: 1408, Amityville Horror, Casper, Gli invasati, High Spirits, Il corvo, Insidious, Insidious 2, La casa 3, Les Revenants, Shutter, Sinister, Suspense, The Others, The Ring, The Sentinel, Two Sisters.

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