“Non c’è cancello, nessuna serratura, nessun bullone che potete regolare sulla libertà della mia mente“.
Adeline Virginia Woolf nasce a Stephen, (Londra) nel 1882 . Figlia di genitori entrambe vedovi alle seconde nozze. Il padre fu uno storico e critico letterario, sua mamma invece faceva la modella per diversi pittori.
Terzogenita di quattro figli. Virginia non potè frequentare alcun istituto scolastico perché secondo il rigido costume vittoriano, solo i figli maschi avevano diritto a un’istruzione pubblica, La madre si premurò di darle lezioni di latino e francese, ed il padre le consentì sempre di leggere i libri che teneva nella biblioteca del suo studio.
Virginia sentì forte il peso della discriminazione uomo-donna, e il non poter ricevere un’istruzione più approfondita assunse ai suoi occhi l’immagine di una grande ingiustizia, cosa che non perdonò mai ai suoi genitori.
Sin da piccola dimostrò molto interesse per la letteratura e la scrittura tanto da creare un giornale domestico con suo fratello Thoby l’ Hyde Park Gate News, una sorta di diario familiare, dove raccontavano anche le loro estati a Saint Ives in Cornovaglia , vacanze che influenzarono la scrittura del libro “Gite al faro”.
Nel racconto autobiografico “Momenti di essere e altri racconti” riportò che lei e la sorella Vanessa subirono abusi sessuali da parte dei fratellastri George e Gerald Duckworth.
Questo influì molto sui frequenti esaurimenti nervosi, sulle crisi depressive e sui forti sbalzi d’umore che hanno caratterizzato la sua malattia e che la porteranno, dopo diversi tentativi, al suicidio. Da una postuma diagnosi si presume soffrisse di disturbi bipolari e , negli ultimi anni, di una psicosi.
Dal 1985 inizia un periodo molto triste per Virginia, a soli tredici anni è colpita da un primo grave lutto: muore la madre. Il padre, anche lui duramente colpito dalla perdita, vende la casa al mare. Solo due anni dopo muore invece la sorellastra, Stella e nel 1904 il padre. Questi eventi la portano al primo serio crollo nervoso.
Dopo la morte del padre, si trasferì con la sorella a Bloomsbury, dove con lei diede vita al circolo intellettuale “Bloomsbury Group”. Nel Nel 1905 cominciò a scrivere per il supplemento letterario del “Times” e fa conoscenza con importanti intellettuali, tra cui Bertrand Russell, Edward Morgan Forster, Ludwig Wittgenstein e colui che successivamente diverrà suo marito Leonard Woolf, un teorico della politica.
Nascono così le “serate del giovedì”, riunioni alle quali partecipano intellettuali di alta posizione per discutere di politica, lettere e arte.
Virginia si sente viva ed entusiasta in quel clima intellettuale in cui era riuscita a far parte, inizia così a dare ripetizioni serali alle operaie in un collegio della periferia.
Nel 1913 dopo aver scritto il primo libro, cade nuovamente in depressione e tenta il suicidio.
Per farle trovare fiducia ed equilibrio il marito le propone e l’aiuta a fondare una casa editoriale. Nasce così la “Hogarth Press” che pubblicherà Katherine Mansfield, Italo Svevo, Sigmund Freud, Thomas Stearns Eliot, James Joyce e la stessa Virginia Woolf.
Nel 1919 pubblica il racconto “Kew Gardens”
Nel 1920 il romanzo “Notte e giorno”.
Virginia non sopportava le regole conformistiche dell’epoca vittoriana, considerava quelle imposizioni ingiuste, e l’idea che le donne dovessero esclusivamente essere relegate all’aria domestica, e che gli uomini scuotessero il capo ai suoi pensieri così rivoluzionari per l’epoca.
Prende così parte ai gruppi delle suffragette , è attivista all’interno di movimenti femministi per il suffragio delle donne e riflette più volte, nelle sue opere, sulla condizione femminile.
Nel 1929 infatti pubblica “In una stanza tutta per sé” dove tratta il tema della discriminazione del ruolo della donna ; riprenderà il tema in “Le tre ghinee” del 1938 dove approfondisce l’analisi della figura dominante dell’uomo nella storia contemporanea.
Il rapporto con la donna viene visto anche sul piano sentimentale dalla stessa Woolf che ebbe una storia d’amore con Vita Sackville-West che si rifletterà nel romanzo Orlando.
Nel 1940 pubblica l’ultima opera; “Tra un atto e l’altro”, mentre la Gran Bretagna è in guerra.
Proprio il clima della guerra alimenta le sue crisi depressive, Virginia ama circondarsi di persone ed ha tanti interessi ma quando è sola ricade nello stato d’ansia e di sbalzi d’umore tipici della malattia.
Il 28 marzo del 1941, si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare nel fiume Ouse, non lontano da casa, nei pressi di Rodmell. Lasciò una toccante lettera al marito che tanto aveva amato.
«Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai lo so. Vedi non riesco neanche a scrivere questo come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi».
(Immagini: qui qui )