Per l'occasione era presente il responsabile bolognese di MSF a Bologna, Gian Paolo Giacobazzi, oltre a due medici senza frontiere che hanno raccontato le loro ultime esperienze. Valentina Farini è appena tornata dall'Haiti in cui aveva operato già nel 2011, al tempo della devastazione operata dal terremoto e dall'epidemia di colera. In parte soddisfatta per il relativo miglioramento della situazione (almeno ci sono ospedali con acqua ed elettricità, e sempre, ha sottolineato), è anche consapevole che molti degli aiuti umanitari affluiscono nelle casse di un governo corrotto. Pascal Duchemin è invece reduce dal Niger e dalla lotta contro un endemico HIV combattuto a forza di antiretrovirali. La battaglia contro l'AIDS è del resto uno dei punti di forza e d'onore di MSF. Due esperienze tra le tante di un'associazione (un)limited. Un limite molteplice, ora scivoloso e ambiguo, ora potenziale strumento di crescita, ora sfruttabile a proprio vantaggio.
Dan Sermand
Ma prima di arrivare a questa svolta, la storia è stata lunga. I primi tentativi di denuncia risalgono agli interventi nell'Etiopia degli anni '80 martoriata dalla carestia. Seguì l'espulsione degli operatori. Oggi, dopo un percorso di crescita e l'accumularsi di esperienze nei più vari luoghi del mondo, la scelta è presa: far conoscere. Perché «neutralità non significa neutralità di coscienza», citando le parole di Dan Sermand. Le stragi attuate col gas durante la guerra tra Iraq e Iran obbligarono, da questo punto di vista, a una profonda riflessione. C'è anche il limite imposto dalla necessità di proteggere gli operatori. Siamo nel Ruanda del 1994: si sta mettendo in atto un genocidio che costerà la vita a un milione di persone, tra cui 250 operatori di MSF. Che fare? Restare ancora, quando in un ospedale installato da MSF, dove vige il divieto di entrare con le armi, fanno irruzione guerriglieri hutu che di armi ne hanno e in abbondanza? Restare, quando agli hutu viene imposto di uccidere a colpi di fucile o di machete i tutsi presenti, pena la morte? C'era una donna incinta di sette mesi, in quel campo. Era hutu, ma moglie di un tutsi. «Sono hutu», dice lei per salvarsi. «Ma tuo figlio sarà tutsi», è la replica. Tutto ciò accadde il 23 aprile. 150 civili furono massacrati sotto gli occhi dei medici senza frontiere. Restare dunque? E, in ogni caso, come fare i conti con la propria impotenza?Christine Schmitz
Come agire nell'ex-Jugoslavia della pulizia etnica? Srebrenica 1995. MSF è presente in una delle enclaves che dovrebbero servire a proteggere i bosniaci musulmani. Arrivano i serbo-bosniaci. Ordinano di trasportare la popolazione alla sede O.N.U. Lì sarà garantita una maggiore tutela, si ipotizza. Gli operatori rimangono nell'enclave deserta con pochissimi pazienti. Che fare? Si va anche noi alla sede O.N.U., si dicono. E partono trasportando i pazienti sui loro mezzi. È Christine Schmitz a raccontare con gli occhi umidi cosa accadde. Le donne e i bambini furono separati dagli uomini, segregati in case in attesa dell'esecuzione. In una sede O.N.U. L'ex-Jugoslavia fu il momento della svolta. Bisognava denunciare, «pena la complicità». Così ancora Dan Sermand. Denunciare e non smettere di operare, anche se certe scene saranno impossibili da dimenticare. Perché, finché sei sul campo, l'energia da adrenalina ti soccorre. Ma poi è il momento dell'elaborazione di quello che hai visto e vissuto. Ed è tutt'altra questione. I MSF però la affrontano. Vanno avanti, nonostante e anche grazie ai limiti.MSF (UN)LIMITED non ci racconta insomma solo la storia di un'associazione umanitaria; anzi, insiste sui limiti di MSF (e di ogni organizzazione no profit fedele ai suoi principi programmatici). Ma, parlando di quei limiti, denuncia anche certi aspetti delle realtà in cui MSF ha operato. Così facendo, denuncia certi meccanismi propri del mondo degli aiuti umanitari e certi modi di fare guerra e politica.
Credo che MSF abbia ben capito come, con intelligenza ed eleganza, valorizzare la propria associazione e insieme denunciare. MSF ha ben capito come fare opera di testimonianza.