Visitare una riserva indiana negli Stati Uniti: intervista a Roberta

Creato il 30 aprile 2015 da Giovy

© Roberta Nicolò

Roberta Nicolò è un'amica svizzera e una brava professionista nel mondo della comunicazione. Si collabora con lei nell'ambito di FaiGirareLaCultura, il progetto e web-magazine per il quale scrivo la mia rubrica "Un Libro nello Zaino". La Roby, anni fa, ha fatto visita per motivi di studio a una riserva Navajo a Gallup, un luogo che si trova nel New Mexico (Stati Uniti), al confine con Arizona, Utah e Colorado. Leggete la sua esperienza in quella terra estrema, non di certo per raggiungibilità, ma sicuramente per caratteristiche sociali.
Giovy: Come mai hai scelto la Riserva Indiana Navajo di Gallup?
Roberta: L’ho scelta per motivi di studio.
All’Università avevo deciso di fare un lavoro di ricerca sul campo, per la tesi, e il ramo che stavo specializzando era quello dell’antropologia linguistica. La maggior parte delle reti di contatti aperte dai professori della mia facoltà erano con paesi come la Costa d’Avorio, l’India e Panama, ma io sono sempre stata affascinata dalle culture nativo-americane e parlando bene l’inglese mi sono orientata sul Nord America.
Volendo fare un’analisi della situazione linguistica, la scelta del Navajo è stata quasi obbligata.
Una lingua normata molto presto e che a quel tempo era data come una delle poche lingue indigene ancora floride.
Sono partita veramente all’avventura, un biglietto aereo per Tucson e tre notti in albergo. Nient’altro. Dopo i primi giorni passati alla biblioteca dell’Università dell’Arizona sono salita sul mitico autobus della Greyhound, che da Los Angeles arriva a New York city, io l’ho preso a Phoenix e sono scesa a Gallup, una cittadina sperduta nell’angolino a nord ovest del Nuovo Messico, proprio sul confine della Navajo Nation. Da li avrei organizzato la mia ricerca in territorio indiano ed è proprio a Gallup che ho scoperto un fenomeno interessantissimo per la mia ricerca.
Così per me Gallup è diventato il centro del mondo.
G: Cosa pensavi di trovare e cosa invece hai trovato?
R: Come studiosa pensavo di trovare una lingua navajo parlata e sana, invece ho scoperto che le cose non stavano proprio così. Prima di partire l’immagine che ci si fa, nonostante io fossi una studentessa di antropologia, è sempre un po’ naif. Immagini le comunità indigene quasi come quelle raccontate dai vecchi film e dai fumetti, la realtà è ben diversa.
A Gallup ho scoperto un fenomeno nuovo, ovvero la presenza di bande metropolitane in contesti non urbani. Il fatto è che queste bande non erano presenti solo a Gallup, ma anche all’interno della Riserva. Gruppi di giovani emarginati dalla società che vivevano in “branco”, spesso sotto effetti di droga o alcool e potenzialmente pericolosi. All’interno della riserva questi gruppi si dedicavano a rapinare turisti di passaggio. Il territorio vasto e desertico li favorisce molto.
Il contesto era talmente interessante anche da un punto di vista linguistico che la mia ricerca si è concentrata proprio qui, sull’analisi antropologica di questo fenomeno.
Un contesto duro e socialmente degradato quello che mi ha accolto.
Ogni sera per rientrare al Motel in cui alloggiavo, che credi esistere solo nei film, facevo una strada diversa e mi assicuravo di non essere seguita. Direi che no, nulla di quello che ho vissuto era come lo avevo immaginato, ma se devo valutarlo dal punto di vista professionale direi che per me è stato incredibile e anche umanamente mi ha arricchita molto.
Un paesaggio meraviglioso ed un contesto sociale da incubo. In quel momento affascinante come null’altro al mondo, ma se dovessi pensare ad un viaggio di relax, ad una vacanza, naturalmente mi recherei in tutt’altro luogo.
G: Cosa bisogna assolutamente sapere per andare da quelle parti. Pensi che visitare una riserva possa essere un'attività da considerare in un viaggio?
Difficile dare consigli, un viaggio è sempre un’esperienza talmente personale!
Sicuramente per non avere brutte sorprese nella terra dei Navajo è meglio non fare i cowboy, perché gli incidenti sono dietro l’angolo.
Visitare le riserve è un’attività da prendere in considerazione.
I panorami sono suggestivi e dal punto di vista naturalistico la maggior parte delle Riserve valgono il viaggio.
Va detto però che quello che ti fanno vedere della cultura indigena è la rivisitazione di un antico retaggio, una ricostruzione che non ha nulla di originale e che serve semplicemente ad animare i tanti turisti in cerca di un sogno. Credo occorra essere preparati più a livello psicologico, filosofico, culturale, che fisico. Della maestosità di quei popoli non è rimasto nulla.
G: A chi consiglieresti il viaggio e a chi lo sconsiglieresti
R: Lo consiglierei senza dubbio a chi ama i panorami mozzafiato e a chi ha una mente capace di cogliere e sopportare la cruda realtà, che spesso la società contemporanea ci offre. La Navajo Nation regala uno spettacolo incredibile sotto molti punti di vista, ma anche tanta desolazione umana.
Lo sconsiglierei a chi cerca una dimensione new age.
Diciamo che è un territorio che si presta a svariate letture.
Occorre scegliere qual è il grado di consapevolezza, il piano di realtà, che si è pronti ad affrontare. Lo si può attraversare in maniera più leggera, oppure si può scegliere di percorrerlo con gli occhi pronti a cogliere le disparità sociali. Dipende tutto dal viaggiatore che è in noi.
G: Racconta un momento indimenticabile del tuo viaggio
R: Il viaggio è stato indimenticabile in tutto.
Me lo porto tatuato addosso, e non è un modo di dire... ma se proprio devo raccontare un momento che mi è rimasto nel cuore direi che è questo: avevo incontrato un gruppetto di giovani parte di una banda, 5 ragazzetti di età compresa tra i 12 ed i 17 anni, incontrati in un parco skate della cittadina di Gallup per un’intervista. Classico atteggiamento da duri, un po’ strafottenti, linguaggio gregario, atteggiamento distaccato. Finita l’intervista sono andata al supermercato per comprarmi qualcosa da mangiare e li ho ritrovato il più piccolo del gruppo. Era solo e gli ho offerto una coca cola, siamo usciti dal negozio e ci siamo seduti su una panchina ed ecco che il duro della banda è tornato ad essere il bambino di 12 anni che era.
Curioso mi ha fatto mille domande sul mio paese d’origine, la Svizzera, su quello che pensavo di Gallup, su come si viveva lontano da li.
Sorrideva e i suoi occhi vivaci finalmente si sono illuminati, è stato solo un attimo, poi a ricalato il berretto sugli occhi e mi ha salutata in slang. Non lo dimenticherò mai!
Se siete curiosi di approfondire l'argomento, Roberta ha scritto un articolo scientifico sulla sua esperienza nella riserva Navajo. Leggetelo!
Qui sotto qualche immagine che Roberta ci ha mandato. Le foto non sono state scattate in digitale.

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