Anche la scelta del particolare in gouache, grafite e acquerello che campeggia in sopraccopertina non è casuale. Si tratta di un'opera di Carlos Schwabe dei primi del '900, e ritrae un angelo della Morte in sembianze femminili mentre si palesa ad un becchino che crede di prepararsi a seppellire un altro candidato al mondo dei più. Scrignòli concepisce in Vista sull'angelo un “racconto in versi” ch'è a tutti gli effetti una sorta di viaggio iniziatico senza meta e senza ritorno, una potente allegoria del ciclo della vita: «Da mille anni l'albero delle pagode | osserva l'Angelo e scolora | tutto il suo infinito.|| Così un'altra vita | subito dopo l'incontro | con la prima morte. […]»
L'albero del verso è il Ginkgo Biloba, di origini cinesi ma diffuso in Europa; può vivere fino a 1500 anni. In Estremo Oriente è un albero di culto, piantato nelle vicinanze dei templi e dei cimiteri. Principio e fine divengono il perno intorno a cui ruota la riflessione sul senso dell'esistere. La prospettiva è ribaltata a piacere e forse il percorso è a ritroso ma non importa: il tempo non è più una dimensione lineare; come in Heidegger è un luogo dove accadono gli eventi, non hic et nunc, qui e ora, ma neanche là e domani. Tutto è consegnato all'eternità e perciò sempre attuale alla meditazione, perché è ad essa e alla conservazione della memoria che il poeta richiama.
Non è agevole imbarcarsi con la spedizione organizzata da Scrignòli in Vista sull'Angelo: si deve necessariamente esser disposti a travalicare i confini dell'umano, «[...] trasumanar che rapisce la vista | e consola»; ogni cosa è al tempo stesso reale e in una dimensione di sogno. L'attualità della poesia di Scrignòli risiede nel suo sintonizzarsi sulle frequenze del mondo contemporaneo, col Male che sta dentro e intorno al pianeta e nella sua Storia. Il punto di partenza è chiaramente lo smarrimento di chi troppo vede e possiede ma non conosce: «La mente | non si avvede dei rapidi oggetti che passano | né la vista trattiene ciò che pure afferra».
L'invito è eloquente in apertura: «[...] per uscire dal mondo dovremo| intuire | decifrare | tradurre», verbi posti in sequenza e a cascata.
Sembra un manifesto programmatico, eppure è solo una delle facce del prisma. Nell'esercizio poetico di Scrignòli la contraddizione assunta come anima della dialettica, le aporie e le sostituzioni/inversioni sono spesso dietro l'angolo («E ai piedi delle foglie»; «Con l'inverno per cappotto») e anche il logos, varcato il limite del suo impiego logico, diviene un orpello. Il racconto/viaggio si snoda lungo cinque stazioni (Senza ritorno, Il cedimento di Dio, Del Sublime, Del Tempo e La Casa) ed ha la mirabile costruzione di un dipinto di Piero della Francesca: la stessa simmetria ed astrazione matematica, lo stesso languore e bellezza della verità che avvertiamo netta, senza bisogno di intermediazioni.
Attraversando la Storia umana, «Uomini | a cavaliere tra ceneri e guerre | è quanto si può vedere, è tutto | quello che si può vedere camminando | sul formicaio distrutto di Auschwitz»; perseguendo la ricerca del Sublime, «e poi tutto ciò che è terribile | è una fonte del sublime»; con l'azzeramento del tempo misurabile, «Il caos, forse, sarà l'unico rimedio | allo sgretolarsi di un'intera stirpe | di radici e terre», si giunge al confine di un mondo altro, dove la “civiltà” degli uomini è solo un pallido ricordo, spodestata da una Natura che si riappropria di quanto le spetta, estirpando strade piazze mura e biblioteche, in un processo di continua rigenerazione. L'enigma è il vincitore supremo: il mistero è l'ultima, definitiva consapevolezza della vita e della morte, prossimo all'ineffabile.
C'è in Scrignòli una inesausta ricerca della parola “esatta”, del segno che condensi suono, significato e ritmo. Non è lettura facile, l'ho già sottolineato, ma sorprende come le fonti e le frequentazioni illustri (Dante, Montale, Eliot, Pound, Rilke, Goethe) si amalgamino con naturalezza e fluidità nel dettato poetico, nella sua tensione morale, nella sua polivalenza espressiva e fortemente simbolica. Separare discriminare catalogare potrebbe rivelarsi un esercizio sterile; nella nostra nuova Casa «Il vento adesso è il confine». Molto meglio “sentire” per altra via, come si fruisce della bellezza materica di tanta arte figurativa contemporanea; o ascoltare, magari la musica di Mahler, assai gradita al poeta: «Cenere nebbia e musica | questo sta piovendo sulla strada in rovina. | E dal fuoco cade il nome | scuro di un Angelo. | Sembra | il canto in fuga di un viandante [...]»