Derby 2009: Seedorf si "affretta" a indossare le scarpette...
Quello della carta di identità dei giocatori della rosa del Milan è uno dei temi più caldi e discussi degli ultimi anni. Da qualche tempo a questa parte, ma soprattutto prima della svolta di Allegri e della società – che dalla famigerata estate 2009 ha deciso di puntare con più convinzione sul vivaio – quello dell’età media dei titolari rossoneri era considerato come la madre di tutti i problemi di una squadra che sembrava – dopo l’exploit del 2007 – non essere più competitiva con i cugini nerazzurri e con i top club europei.
E mentre i tifosi su questo argomento si sono sostanzialmente sempre schierati dalla parte di chi sollecitava una rapida inversione di tendenza c’era e c’è chi – nonostante le evidenze del campo – continuava e continua a sostenere che l’oggettivo invecchiamento della nostra rosa non fosse soltanto un problema secondario, ma un falso problema. Inventato, o meglio, costruito ad arte e fomentato, dal «complotto demoplutogiudaicomassonico» della stampa antimilanista che applicherebbe due pesi e due misure nei giudizi.
A sventolare questa bandiera è la stampa schierata, e in particolare quella che fa riferimento al canale ufficiale rossonero, primo fra tutti il suo direttore. «Avete l’abitudine di dare troppo presto per finiti i giocatori», ha sostenuto un giorno. «Se quel certo attaccante fosse venuto da noi avreste detto che era vecchio, mentre se lo prendono gli “altri” è un fiore», ha chiosato un’altra volta. Volessimo metterci a fare il giochino delle citazioni e sbobinare le varie trasmissioni del canale 230 della piattaforma Sky potremmo trovarne a centinaia di frasi come quelle che ho riportato. La sostanza del messaggio che la stampa ufficiale rossonera lancia costantemente ai tifosi è sostanzialmente questa: il Milan non ha un problema di età media della rosa, i senatori sono una risorsa e non un peso, chi li vorrebbe vedere lontano da Milanello pecca di scarsa riconoscenza e coloro i quali sostengono il contrario sono in malafede o, quantomeno, poco avveduti.
L’entusiasmo che si è scatenato per l’acquisto di Mark Van Bommel ha invece smentito – nei fatti – questo teorema. Già, perché se fosse vero quanto sostenuto dai «lealisti», dopo l’annuncio dell’acquisizione a titolo definitivo dell’ex capitano del Bayern Monaco (che ad aprile compirà 34 anni) si sarebbe dovuto scatenare il putiferio. Così come avrebbero dovuto scatenare l’inferno dopo l’arrivo di Mario Yepes, che è venuto al mondo nel 1975. Invece, al contrario, questi due innesti sono stati accolti dalla stragrande maggioranza dei tifosi con entusiasmo e simpatia. Certo, trattasi di due elementi destinati – salvo sorprese – a rientrare nella categoria dei rincalzi.
E a loro – alla voce arrivi – si sono aggiunti elementi di primo piano, campioni come Ibrahimovic e Robinho, giovani di prospettiva come Emanuelsson e Vilà. E questo forse ha addolcito la pillola. Però nessuno o quasi si è azzardato a bocciare pregiudizialmente i due nuovi over 30. La ragione è semplice, e nemmeno troppo difficile la comprendere. Perché la rabbia degli scontenti, il malcontento dei tifosi, non dipendeva e non dipende dal numerino scritto sulla carta di identità di alcuni nostri senatori, ma dalle prestazioni – imbarazzanti – che questi negli ultimi tempi ci hanno proposto. Se una grande fetta della tifoseria ne ha piene le scatole di vedere Seedorf in campo non è certamente perché il nostro ha ampiamente superato la trentina, ma per il fatto che in molti hanno notato che non azzecca più una partita da anni e che non ha più – se mai li ha avuti – ritmi e tempi compatibili con il calcio contemporaneo.
I fischi che piovevano su Oddo e Jankuloski non erano certo indirizzati ai loro certificati di nascita, ma motivati dal fatto che non riuscivano quasi mai a superare la metà campo e a imbroccare un cross. E gli sfottò a Kaladze erano esclusivamente da attribuire alle prestazioni gravemente insufficienti, sia quando veniva piazzato in mezzo alla difesa, sia quando provavano a schierarlo terzino. E se in tanti, tantissimi – al netto della sua innegabile classe – preferirebbero un Milan senza Pirlo non è certamente per l’età del giocatore, ma perché sono sempre di più coloro i quali sognano un Milan rapido, dinamico, portato alla verticalizzazione, lontano dalla squadra dei passaggini e passaggetti di ancelottiana memoria.
Alle ragioni tecniche di questo malcontento, si aggiunge anche il sospetto, suffragato da alcune situazioni anomale evidenziate soprattutto nella scorsa stagione, che la presenza di questi senatori possa condizionare, e non poco, le scelte del tecnico di turno. A nessuno è sfuggito, tanto per citare il caso più evidente, la situazione verificatasi nel disastroso derby di andata della scorsa stagione, quando è parso chiaro che alla radice della deriva della squadra in campo ci fossero le incomprensioni tra un allenatore che aveva una certa idea di formazione – magari sbagliata, ci mancherebbe – e chi, relegato in panchina, ha pensato bene di presentarsi in campo in ciabatte. E a nessuno è sfuggito che questa frattura, questa strisciante contrapposizione tra una parte importante dello spogliatoio e il tecnico si è risolta – guarda caso – quando Leonardo ha trovato un posto da titolare per il giocatore che indossa la maglietta numero dieci.
Nessuna ossessione per le carte di identità, quindi. La realtà, almeno a nostro giudizio è ben diversa. La verità è che chi ama il Milan, chi paga il biglietto per andare a San Siro, chi scuce ogni mese fior di quattrini per l’abbonamento a Sky o a Mediaset aspira di vedere la maglia rossonera indossata da giocatori freschi, dinamici, atletici, capaci di fare la differenza e di farci divertire, in grado di formare una squadra in grado di competere con chiunque. E, possibilmente, di vincere. E se van Bommel, Ambrosini, Nesta, tanto per citarne alcuni che proprio ragazzetti non sono, saranno in grado di garantire le qualità di cui sopra fino a 45 anni nessuno si permetterà mai di eccepire. Come non eccepiscono i cugini di fronte alle prestazioni di Javier Zanetti, che in barba ai suoi quasi 38 anni scorrazza per il prato verde come un ragazzetto.
Nessuna malafede. Nessuna irriconoscenza. Soltanto voglia di vedere un Milan nuovo, un Milan diverso. Un Milan in cui la meritocrazia – concetto spesso citato a sproposito, e non solo in campo sportivo – prevalga una volta per tutte sulle camarille, sulle chiesuole e sulle logiche di consorteria.