“La testa è così piena che non pensi più.”
Ripeteva continuamente questa strofa degli Afterhours.
“La testa è così piena che non pensi più.” Oppure penso troppo? – si chiese – forse talmente tanto da non riuscire a distinguere i miei pensieri.
Si interrogava su se stesso. Nuovamente.
E non trovava risposte. Nuovamente.
Continuò a camminare con il suo inseparabile mp3. Ormai era un oggetto superato e a breve sarebbe quasi diventato qualcosa di arcaico a vantaggio dell’iPod ma per lui restava insostituibile.
Le cuffie sparavano musica ad alto volume. A volte era come se non sentisse né le note né le parole, bensì i suoi pensieri.
Sentiva se stesso.
“La testa è così piena…”
Decise di cambiare canzone. Spostò il cursore in avanti e già dalle prime note la riconobbe e decise di lasciarla: Ligabue, Voglio volere.
Ascoltò in silenzio mentre tanti pensieri si sovrapponevano uno sull’altro. Ai pensieri, quindi, seguirono i ricordi, ovvero pensieri riguardanti il passato.
“Io voglio un mondo all’altezza dei sogni che ho.”
Dallo sguardo di un vecchietto che incrociò capì che, evidentemente, più che cantando stava urlando. Chissà se per via del volume alto della canzone o se indirettamente la sua era una richiesta fatta ad alta voce. A chi fosse destinata la richiesta non lo sapeva. Forse, per dirlo alla Ligabue, urlava contro il cielo.
“Ma quali sono i miei sogni?” Altro interrogativo. Stesso esito. Non sapeva darsi una risposta.
Pensò che fino a qualche anno fa avrebbe saputo darsi una risposta.
Fu svegliato dal torpore dei suoi pensieri dal clacson di un’auto e dall’imprecazione di chi la guidava. L’automobile era a pochi centimetri da lui. Aveva attraversato la strada senza curarsi di guardare.
Alzò una mano in segno di scusa e proseguì.
Non sapeva bene dove era diretto perché quella città gli era nuova e volutamente non si era portato una mappa. Avrebbe scoperto il suo tragitto passo dopo passo.
Era un buon metodo per visitare una città.
Era un buon metodo per riflettere.
Scelse di prendersi una birra anche per cercare di bloccare, o per lo meno rallentare, il flusso dei suoi pensieri. Entrò in un bar, la ordinò e se la bevve in tre lunghi sorsi.
Pagò alla cameriera che gli sorrise in modo malizioso e lui non poté fare a meno di notare il suo grazioso viso, incorniciato dai capelli biondi. Al collo portava una lunga collana con un ciondolo che si nascondeva nel generoso décolleté. Aveva letto da qualche parte che chi indossava quel tipo di collana, con un ciondolo che finiva proprio lì, voleva implicitamente far cadere l’occhio altrui sul proprio seno. A lui sembrò che in quel caso di implicito ci fosse ben poco.
In un’altra occasione avrebbe anche dato un seguito a quel sorriso per poter conoscere meglio la provocante cameriera. Ma non quel giorno. Quel giorno l’avrebbe dedicato solo a se stesso
Tuttavia si ripromise di prendersi un’altra birra in quel bar nei giorni seguenti, qualora fosse riuscito a ritrovare la strada. Scelse di lasciare fare al caso.
Prima di uscire notò che in quel bar deserto, oltre a lui, vi era un uomo sulla cinquantina. Era al bancone e beveva il suo bicchiere lentamente. Aveva un viso triste e poco curato che sembrava segnato dal dolore. È incredibile come il nostro viso possa parlare di noi e della nostra vita: può fornirci indicazione sul nostro stato d’animo, sulla nostra situazione economica, sul nostro modo di vivere, sulle nostre abitudini e talvolta anche sul tipo di persona che siamo.
“Non sono l’unico ad incantarmi tra i miei pensieri, allora” – pensò.
Appena uscito dal bar fu colpito da un corteo che, lentamente, si muoveva in lontananza.
Decise di avvicinarsi.
Non ci volle molto per rendersi conto che era un funerale. C’era gente di ogni età ma fu sorpreso dalla massiccia presente di ragazzi e ragazze. Erano davvero in tanti.
Sicuramente chi “viaggiava”, chiuso in una lucente bara, nella macchina che apriva il corteo, doveva avere la loro età. Se n’era andato un ragazzo o una ragazza.
Spense l’mp3, fu un gesto automatico: un po’ per un’insolita forma di rispetto, un po’ per “sentire” il silenzio che accompagnava il corteo.
Rimase fermo davanti al passaggio di quel corteo fatto di gente triste vestita di scuro che seguiva una macchina altrettanto scura e triste.
“La vita è imprevedibile e, a volte, altrettanto scura e triste” – pensò.
Tornò a concentrarsi sui suoi pensieri che lo tormentavano e finalmente riuscì a distinguerli.
Libertà. Futuro. Amore. Amicizia. Lealtà.
Su tutti questi pensieri trionfava sovrana l’incertezza e si rese conto che era questa incertezza a tormentarlo.
Alzò lo sguardo e rivide quel corteo funebre ormai in lontananza.
Quante cose si era negato in virtù dei suoi pensieri? Quanto tempo aveva tolto alla sua vita cercando di distinguerli, di analizzarli e ordinarli?
Tornò a quel bar in fondo alla strada e chiese un’altra birra al ragazzo annoiato che lo fissava da dietro il bancone. Non vide la cameriera; forse era a servire i tavoli fuori.
Versò la birra in un bicchiere e, rivolgendosi al malinconico signore ancora lì al bancone, propose :
– Un brindisi?
L’uomo sembrò svegliarsi da un sonno profondo.
Dopo essersi girato dall’altra parte, come per assicurarsi che non si stava rivolgendo a qualcun altro, abbozzò un mezzo sorriso e chiese:
–Volentieri. A cosa brindiamo?
– Alla vita – rispose.
Di Giulio Giglio