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Vita da Espatriata: Una Visita Ginecologica tra Sari, Hijab e Niqab

Creato il 23 gennaio 2014 da Sunday @EliSundayAnne

visita ginecologica oman

Prima o poi la visita ginecologica in Oman mi sarebbe toccata, no? Conoscendovi (perchè siete come me), avrete già il prurito in bocca (E brava, lei! Noi qui a lavorare al freddo, lei a fare sesso droga e rock’n'roll con gli arabi!). Spiacenti, niente vita sregolata, qui: la mattina sveglia alle sei, la sera a letto alle nove, e i week-end a morire di noia. Quindi: continuate pure a lavorare al freddo e non lamentatevi, che c’è chi sta peggio di voi.

La giornata è cominciata con un topo che, simpatico, mi è entrato in casa dalla terrazza di prima mattina. Ero qui tranquilla che scrivevo al computer, quando ho visto il muso di un topo di piccole dimensioni – benchè con una coda lunghissima – osservare i miei movimenti da dietro il frigorifero. Vi lascio immaginare l’urlo, e il conseguente doppio spavento: il mio, che sono planata dritta sul letto in mezzo alla stanza (vivo in un monolocale), e il suo, che si è ritratto, sparendo nei meandri del retro-frigo. Cosa fare?

  1. Tattica numero uno: Ho chiuso immediatamente la porta per paura che ne entrasse un altro, ma è stato uno sbaglio: il signorino, spaventato, ha poi cercato di uscire ma, trovando la porta sbarrata, si è rifugiato dietro la mia valigia (orrore!);
  2. Tattica numero due: Ho aperto immediatamente la porta, e com’era ovvio non ha più cercato la via di fuga;
  3. Tattica numero tre: Ho preso mezza (ormai rafferma) baguette e l’ho sistemata fuori della porta, e poi sono stata immobile come una statua di cera. Il topino dalla coda lunga ha fatto un passo, poi è indietreggiato; ne ha fatti altri due; poi un altro; infine si è avventato sulla baguette come un leone sulla gazzella, e addio topino, nonchè addio baguette: dopo un’ora me la sono ritrovata vicino alla ringhiera, che dista metri più in là, tutta mangiucchiata. Aveva fame, il giovanotto.

pane

Ma che bell’inizio di giornata! Già mi ero svegliata di malumore: no, perchè crederete mica che io sia sempre too happy to be homesick, no? Oggi è una di quelle in cui sono, invece, molto homesick, in cui ho sognato tanto e mi sono svegliata male, e se siete espatriati, sapete di cosa parlo. E’ una di quelle mattine in cui mi chiedo cosa ci sto facendo qui, e perchè non sono di nuovo in Cambogia, e maledetto il giorno in cui ho rinunciato a quell’opportunità di lavorare in Iran, e perchè non faccio di nuovo la valigia e riparto per il Sud-Est Asiatico, e come mai…

Ecco: è uno di quei giorni. E proprio oggi mi tocca la visita dalla ginecologa indiana.

Ed eccomi qui, in questa clinica privata dall’aria finto chic. La prima cosa che mi è saltata all’occhio è la tripla sala d’aspetto: ci sono una male waiting room, una female waiting room e una waiting room mista, vicina al banco dell’accettazione. Butto un occhio nella sala d’aspetto per mariti e accompagnatori: sono tutti col cellulare in mano, intenti a messaggiare e controllare. Butto un occhio in quella femminile: sono tutte assorte nei loro pensieri. Decido di sedermi nella sala d’aspetto mista – un interessante punto di osservazione – munita di taccuino invisibile, ovvero la mia memoria. L’attesa è scandita dal passaggio di omanite accompagnate dal consorte, che puntualmente ha il cellulare in mano (che non smette di guardare nemmeno camminando), e trascina i sandali infradito alla maniera asiatica. Ovvero: non infila completamente i piedi nei sandali, lasciando il tallone sporgere all’infuori e cammina con i piedi da papera sotto il dishdasha immacolato.

Alla mia destra è seduta una donna con la tunica nera tipica delle donne mediorientali, l’abaya, con il bordo delle maniche stile Burberry, e un hijab nero sui capelli, con lo stesso motivo Burberry sul bordo; alla mia sinistra, una donna abbigliata col niqab, il velo nero che copre il viso lasciando scoperti solo gli occhi. Entrambe hanno il cellulare in mano, e sempre in movimento: scrivono e ricevono messaggi in continuazione, e la sala d’aspetto è tutta uno squillo: cinguettii, fischi e motivetti musicali misti (musica araba, rap e canzoni d’amore) mi rimbombano continuamente nelle orecchie, mentre tento (invano) di concentrarmi nella lettura del mio libro. La sala è un andirivieni di abaya e hijab neri svolazzanti, donne indiane in sari coloratissimi, uomini sciabattanti e qualche bambino annoiato.

Quando la ginecologa finisce di visitare una paziente, usa un campanello col cinguettio di un uccello per chiamare la prossima, che mi sembra di stare in una voliera. Quando l’assistente, dopo due ore di attesa, mi conduce in una stanzetta per chiedermi il motivo della visita, mi bisbiglia le domande che quasi non la sento, e così anche io le rispondo sussurrando, che mi sembra di stare in un confessionale.

Mi dice che dovrò attendere circa mezz’ora prima di essere visitata, così mi accomodo di nuovo nella voliera, chiudo il libro e attendo il mio turno, che avverrà dopo un’ora.

La ginecologa mi sta aspettando in sari e bindi tra le sopracciglia, e mi accoglie sorridente in una stanzetta che pare uno sgabuzzino, dove mi dice di appoggiare la gonna su una sedia di plastica bianca da giardino. Poi mi invita a sdraiarmi su un lettino striminzito, ricoperto da un telo in fantasia marrone che pare un foulard messo lì alla bell’e meglio, con sopra una striscia di carta. Infine mi copre le parti intime con un telo, e via con l’ispezione. Alle mie domande risponde sbrigativamente, ma tra una risposta e l’altra mi dice “L’Italia! Mi piace l’Italia! Io sono stata dappertutto, in Italia!”, e alla fine mi intima a comprare un paio di medicamenti nella farmacia annessa alla clinica (la sua),  e avanti un’altra.

Durata dell’attesa: tre ore.

Durata della visita: tre minuti.

Costo: 32 euro.

Per oggi è tutto. La prossima volta vi racconto com’è andata dal parrucchiere, invece: sono entrata per fare dei leggeri colpi di sole per dare luce al mio biondo topo, e sono uscita Donatella Versace.

Photo by: Maigh via Compfight cc


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