Vita da spermatozoo

Creato il 17 dicembre 2012 da Tnepd

Se non ricordo male, il Dio Enlil, il più antipatico dei due fratellastri, sapeva che la Terra si sarebbe posizionata in allineamento con altri pianeti in modo pernicioso per la sua stabilità e non ha fatto niente per impedirlo – ammesso che avesse avuto la possibilità di farlo. Lui non vedeva di buon occhio la “creazione” di suo fratello Enki e della sorellastra Ninharsag e avrebbe voluto distruggere la razza umana fin dall’inizio, ma ha aspettato il nefasto allineamento, circa 13.000 anni fa, per eliminare un buon numero d’esseri umani, in quello che è passato alla storia come il diluvio universale e che ha coinvolto anche Atlantide. Da quell’epoca si è fatta strada nella mente dei superstiti, che poi hanno ricominciato a riprodursi in modo esponenziale, che gli Dei di tanto in tanto perdono la pazienza e si arrabbiano con le loro creature umane. Così abbiamo uno Zeus collerico chescaglia fulmini a destra e a manca, e altre divinità la cui ira deve essere placata con sacrifici animali e umani. Per non parlare di quel Dio vendicativo e spietato che va sotto il nome di Yahweh. In tempi più recenti, il timore di scomparire come razza, a causa dei nostri peccati, ha preso il nome di millenarismo. Ora, fra pochi giorni, avremo una di tali scadenze, molto più propagandata di quella, per esempio, del 1975. C’è da chiedersi perché sia così pubblicizzata. Ma, lasciamo stare. Facciamo un passo indietro e tralasciamo queste sovrastrutture culturali per concentrare la nostra attenzione sulle leggi di natura. Facendone parte, anche noi potremmo sottostare alle stesse leggi della predazione e da predatori trasformarci in prede. Non è proprio così, perché se i roditori, prede per eccellenza nella piramide trofica, suppliscono alle grandi perdite dei loro membri con la fertilità, noi non siamo roditori e per crescere un figlio ci mettiamo almeno 14 anni, nei paesi del Terzo Mondo, venti nel nostro, anche se l’età dello “svezzamento” della prole, per motivi di tipo sociale, da noi si è molto allungata.  Ho fatto l’esempio dei roditori, assai prolifici per contrastare la grande predazione che subiscono, ma avrei potuto citare i pesci e gli anfibi, che depongono centinaia di uova, se non addirittura gli organismi marini invertebrati, che ne depongono a milioni. Se poi andiamo a vedere le piante, assistiamo alla dispersione di polline nell’ordine dei miliardi. Noi siamo scimmie e ci mettiamo molta energia per tirar su un figlio, a volte due o tre in un colpo solo, anche se più spesso scaglionati in diversi anni. Ma a livello di gameti abbiamo la riproposizione degli schemi più bassi della scala evolutiva, con centinaia di spermatozoi che danno l’assalto a una sola cellula uovo. E’ l’unico caso – che ci riguarda – in cui la natura si fa generosa e non bada a spese. E’ la lotta per la vita, chiamata anche selezione del più forte. Se la lotta dello spermatozoo più in forma esemplifica la lotta per l’esistenza, non significa che tale legge debba essere valida anche nella vita di tutti i giorni, ovvero che debba regolare i rapporti interpersonali. Purtroppo succede, anche se non dovrebbe. Succede per esempio quando da individui con nome e cognome diventiamo un numero, negli ospedali o nelle carceri, ma succede anche quando ci sono da affrontare concorsi pubblici come quello a cui ho partecipato lunedì 17 dicembre. Era il secondo turno della giornata e la mia prova ha avuto inizio alle 11.30. Ci hanno identificato mediante carta d’identità e codice fiscale (io nel frattempo pensavo a quando avremo il microchip sottopelle); ci hanno assegnato una postazione davanti ad un computer e hanno dato semplici istruzioni che conoscevamo già. Poi hanno fatto partire il timer. Cinquanta minuti per rispondere a cinquanta domande. Ogni domanda a risposta multipla aveva quattro opzioni: o si sapeva la risposta o era meglio non rispondere, giacché la risposta sbagliata sarebbe stata conteggiata con un punteggio peggiore di quella non data. Il luogo dove ho svolto la prova preselettiva del concorso per insegnanti è stato il liceo scientifico Giovanni Marinelli di Udine. In tutta Italia c’erano 321.000 candidati, che spaziavano dalle scuole materne alle superiori, per 11.000 posti d’insegnante da spalmare in due anni. La cosa paradossale, nel mio caso, è che ho insegnato per ventitré anni, prima di decidere di licenziarmi nel 2003 e ora ho voluto ricominciare daccapo. Il concorso che vinsi nel 1982 non prevedeva una selezione tramite quiz telematico perché i computer ancora non avevano invaso la società e tutto si faceva “alla vecia”, come dicono a Trieste: tema scritto e, passato quello, colloquio orale.  Oggi è tutto più difficile. Oggi siamo in sette miliardi, non so se Enlil è ancora vivo o se anche lui è passato a miglior vita, ma se fosse vivo tramerebbe sicuramente per sfoltire un po’ di popolazione. E’ così che mi sono sentito: sfoltito. Un ramo secco da potare. Erba invadente da tagliare per far crescere i giovani virgulti. Su 321.000 candidati – diceva il telegiornale – più di duemila erano over55 anni. Io sono poco al di sotto della categoria, ma in aula ero il più anziano. In Informatica 4, infatti, nei sotterranei della scuola, a parte due ragazzi il resto erano donzelle. Età media venticinque anni. Quando il tecnico, alla fine dei cinquanta minuti, è passato ad abilitare computer dopo computer, mentre noi restavano seduti al nostro posto, sul mio display è apparsa la scritta, in rosso: “Risposte corrette 30, risposte sbagliate 8, risposte non date 8, punteggio 30. L’esame non è stato superato”. Alla mia vicina di postazione è apparsa la scritta, in verde: “Risposte corrette 41, [omissis], punteggio 40. L’esame è stato superato”. Mi sono subito congratulato con lei, che all’apparizione della scritta aveva fatto lo stesso gesto dei calciatori quando segnano il goal. “Il peggio viene adesso”, ha commentato. Mi sono guardato in giro, aspettando che i preposti ci dessero segnale verde per uscire e ho visto diverse espressioni di delusione sui volti delle potenziali maestrine. O professoresse. Io sapevo che non ce l’avrei fatta e non ero per niente deluso. Potrei dire, se volessi abusare di una battuta scontata, “io speriamo che me la cavo”, ma non lo dico perché finora me la sono sempre cavata, anche dopo essermi licenziato nel 2003. Un po’ usufruendo dei risparmi, un po’ lavoricchiando e soprattutto approfittando della pensione materna, finora non mi sono ancora ridotto a chiedere l’elemosina, anche se mi sono registrato presso la Caritas tramite l’assistente sociale e sto ancora spettando che mi chiamino per un colloquio, per stabilire se sono degno di ricevere cibo e vestiario della pubblica carità. I tiggì di lunedì hanno intervistato alcuni candidati all’uscita dalla scuola: tutti concordavano sul fatto che le domande erano troppo difficili, che per poter rispondere sarebbe stato meglio essere laureati in ingegneria, in fisica o in matematica. Una candidata si lamentava del fatto che mettere maestre d’asilo a fare esami insieme a professori delle superiori non è molto ragionevole, e per quanto riguarda la difficoltà, almeno per me, delle domande, non c’è niente di meglio che riportarne tre esempi, così che possiate giudicare da voi. Posto che sette domande vertevano sulle competenze digitali, sette sulla lingua inglese e tutte le altre su logica-matematica e comprensione del testo, eccone tre prese a caso: 1)   Un primo muratore chiede un compenso di 50 euro per ora di lavoro mentre un secondo chiede 150 euro di spese fisse più un compenso di 35 euro per ora di lavoro. A quale conviene affidare il lavoro?     (non ho trascritto le quattro opzioni). 2)   Giuseppe, Hans e Johnny, sospettati di un omicidio, fanno rispettivamente le seguenti dichiarazioni: “Non sono stato io”, “L’assassino è Johnny”, “Lo ha ucciso Giuseppe”. L’ispettore Rock sa per certo che due di essi mentono, mentre il terzo ha detto il vero. Che cosa si può affermare?     () Non è possibile stabilire chi dei tre sia colpevole o innocente    () Johnny è colpevole    () Giuseppe è colpevole    () Johnny è innocente 3)   Completare correttamente la seguente successione numerica: 44; 67; 98; ?; ?; 130; 108; 131 () 99; 76 () 72; 97 () 76; 99 () 79; 101 Non so se in ventitrè anni d’insegnamento alle elementari sono stato un buon insegnante. So solo che non ero ben accetto dai genitori degli alunni. In alcuni casi mi vedevano come un pericolo per i loro pargoli: forse, senza saperlo, ero portatore del virus dell’eversione. O forse ero solo un bastian contrario che non accettava di allinearsi alla cultura dominante. Fatto sta che la mia carriera è stata un supplizio per me, una delusione per mio padre, buonanima, e un motivo di subbuglio e di preoccupazione per molti genitori, oltre che di fastidio per le colleghe. Quando dal liceo scientifico me ne sono tornato a piedi verso la stazione di Udine, ho tirato un sospiro di sollievo. In fondo, se è vero che nulla avviene per caso, è stato meglio così. La scuola pubblica non fa per me. Non so se succederà, e non è per me motivo di rivalsa nel caso succedesse, ma l’avvocato Paolo Franceschetti dice che questo concorso molto probabilmente verrà impugnato presso la Corte Costituzionale da quegli insegnanti che nominalmente sono già passati di ruolo ma che stanno ancora spettando di avere una loro cattedra, come sarebbe loro diritto. Lo stesso Franceschetti dice che il ministro Profumo ha tenuto un comportamento contrastante perché da una parte indice un nuovo concorso, dopo tredici anni dall’ultimo, e dall’altra taglia il personale obbligando i “superstiti” a fare ore in più e non si capisce questi nuovi 11.000 assunti dove verranno messi a lavorare. Dice Franceschetti che si tratta dell’ennesima manovra per far scatenare guerre fra poveri, creando ancora più caos sociale di quello che c’è già. Lo scopriremo solo vivendo. E uno su mille ce la fa, tanto per restare nel campo della musica leggera. Non è ancora giunto il momento della mietitura finale, ma intanto ci sfoltiscono alla spicciolata, così, per farci provare l’ebbrezza dell’esclusione. Del rifiuto. Non sei abbastanza intelligente, quindi resta nei posti bassi della società e togliti dalla testa ogni pretesa di salire la scala sociale. Questa è la morale competitiva che viene insegnata ai bambini fin dai banchi di scuola e nel caso delle migliaia di esclusi odierni, si può dire che……chi la fa, l’aspetti. Oppure che Saturno mangia i suoi figli. Maestre che già insegnano, ma che non vincono la prova selettiva perché non sono laureate in ingegneria. O in matematica. Anche se non sono rimasto particolarmente deluso – e la vita continua – non mi sono neanche mai sentito uno spermatozoo come oggi, lunedì 17 dicembre. Domani è un altro giorno.

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