Buena Vista Social Club (di Sabrina M.)
Sarà la mia tendenza ad attribuire una personalità specifica anche alle cose apparentemente inanimate, ma trovo che ci siano luoghi che possiedono, così come per ogni essere vivente, una loro biografia, unica ed irripetibile. Una data di nascita, preceduta da idee in gestazione, un percorso personale e distinguibile, infine una dipartita biologica che ne trasforma ed evolve la materia, assicurandone la continuità. Si tratta spesso di piccole realtà, sconosciute o quasi, ma che accolgono mille storie da raccontare. Sono luoghi costruiti in uno spazio-tempo preciso, sono mura capaci di raccontarsi attraverso la grafia della memoria e somigliano ad una scatola ricolma di vecchie fotografie, che solo a sollevarne il coperchio pare si diffondano nell’aria suoni e voci, in una narrazione che non cessa con la fine di un’epoca, perché ne é percorso e viva testimonianza.
Nel 1962, dopo le svolte politiche e sociali legate alla rivoluzione di Fidel Castro, il club fu definitivamente chiuso, così come furono chiusi tutti i locali riservati ai singoli gruppi etnici in quanto ritenuti luoghi di decadenza, frutto di un passato da dimenticare.
Scavalcando il contesto storico di un territorio davvero complicato, il miracolo consiste nel fatto che, quasi quarant’anni dopo la sua chiusura, un gruppo di musicisti del famoso club, furono “riscoperti” da Ry Cooder (famoso musicista e autore di diverse colonne sonore) e, a dispetto dell’età, alcuni di loro si riunirono per incidere un disco che porta il nome del locale e ripropone i suoi pezzi storici. La sorpresa fu che incontrò un grandissimo successo tra gli appassionati di tutto il mondo, ottenendo per i musicisti ormai attempati, un trionfo insperato con decenni e decenni di ritardo.
Nel 1999, Wim Wenders filmò un documentario raccontando la storia del club e dei suoi fantastici protagonisti, portando così all’attenzione del grande pubblico i nomi di Compay Segundo, Ibrahim Ferrer, Rubén Gonzales e molti altri, il cui straordinario talento era rimasto sepolto tra le pieghe del tempo. Del resto non è mai troppo tardi per conoscere una storia, anche perché ci sono racconti che non ne vogliono sapere di finire.
“Non posso cantare se non bevo prima un po’ del mio rum, devo scaldare la voce” Compay Segundo (1907-2003)
“Sto vivendo adesso il sogno della mia giovinezza nel corpo di un vecchio” Ibrahim Ferrer (1927-2005)
Consiglio letterario:
Sogno all’Avana, (curatore) Vincent Messina
(ed. Einaudi, 2000, pp. 79, ISBN 9788806156176)