Vite sfogliate in camera oscura. Gli anni dentro

Creato il 10 maggio 2012 da Patriziabi (aspassotrailibri) @openars_libri

Oggi per le Vite sfogliate in camera oscura pubblichiamo non una biografia, ma un racconto di Sabrina M., perchè le vite possono essere anche quelle della propria fantasia.

Gli anni dentro

Emma aprì gli occhi, non prima di aver affondato ancora una volta il viso nel cuscino e tirato un respiro stanco. Doveva essere molto tardi, la luce filtrava dalle imposte semichiuse assieme al bussare della pioggia sul davanzale. Seduta, puntò le mani a pugno sul letto per tirarsi su, appoggiando il peso sulle ginocchia, che parevano dolere come se la notte vi fosse rimasta attaccata. Il rubinetto sgorgava l’acqua fredda e troppo rumorosa di una cascata fuori posto, Emma se ne riempì le mani e la rovesciò sul viso, in una liturgia di gesti lenti e ancora incatenati dal sonno.
Lo specchio sul lavandino le riconsegnò l’immagine del mattino, uguale a quella del pomeriggio e della sera ma aggravata dall’aria stanca e senza forze. Le rughe profonde ai lati della bocca e degli occhi, l’incarnato spento e abbandonato a se stesso, simile alla facciata di una casa con l’intonaco graffiato, il collo inanellato di solchi profondi, impronte lasciate dai passi del tempo; pensò che fosse possibile ricavare la sua età semplicemente contandoli, come si fa con gli alberi. Ma niente foglie nuove e tenere, niente fiori, nemmeno una traccia di primavera nella stagione senza sole di quel volto, così come rimaneva al buio la voglia di sorridere. Appoggiò le mani al bordo del lavello, ruotando lentamente a destra e sinistra, concedendo allo sguardo la prospettiva esauriente e cattiva di una conferma senza appello. Era vecchia, niente scuse, come se solo ora si fosse accorta di tutti i decenni transitati sulla pelle o sui capelli un tempo color del caffé; come se il corpo le avesse taciuto la sua lenta metamorfosi, raccontandogliela solo ora, comprensiva di un’espressione arrendevole, tutta in una volta e senza sconti. Bisogna imparare fin da giovani ad invecchiare, ad amarsi anche con indosso il vestito scomodo della vecchiaia, a spazzolare via la polvere dall’anima, affinché possa riconoscere la bellezza sempre. Emma non aveva mai imparato, la sua vita le sembrava adesso una sequenza di fotogrammi che scorrevano più veloci di lei e la saggezza non era mai stata il suo forte, nemmeno ora che l’età gliene accreditava il diritto. Abbassò lo sguardo sperando che lo specchio si rimangiasse le sue sembianze, facendole sfumare in nebbia da dimenticare, desiderando che riscrivesse i suoi anni e ancor di più gli insegnamenti mai imparati.

“La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai vecchio”. Franz Kafka

Emma aprì gli occhi, non prima di aver affondato ancora una volta il viso nel cuscino e tirato un respiro stanco. Doveva essere molto tardi, la luce del sole filtrava dalla imposte semichiuse assieme ai rumori del giorno sul davanzale. Seduta, puntò le mani a pugno sul letto per tirarsi su, appoggiando il peso sulle ginocchia che parevano portare il peso della notte.
Il rubinetto sgorgava l’acqua fredda e troppo rumorosa di una cascata fuori posto, Emma se ne riempì le mani e la rovesciò sul viso, in una liturgia di gesti lenti e ancora incatenati dal sonno. Dalla memoria scura della notte riaffiorava il suo viso, con la consistenza di un ologramma e il peso di un macigno, un’immagine che le pareva un severo errore di calcolo, una moltiplicazione sbagliata e angosciante sul suo corpo giovane e vitale, una beffa temporale. Alzò la testa di colpo, il segno di una sfida urgente e senza proroghe; trattenne il fiato mentre osservava la risposta inappellabile dello specchio; l’acqua scivolava, gocciolando dalle linee armoniose del viso come da una superficie liscia e compatta, soffermandosi in stille rotonde solo sulle ciglia lunghe e folte; soffiò fuori l’aria con sollievo appena appurata la freschezza inequivocabile dei suoi anni; lasciò sgorgare nello scarico l’incubo bugiardo di quella notte, trattenendone a lungo soltanto l’insegnamento.

Fotografia di Ekaterina Chausheva


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