Un tempo Viterbo poteva considerarsi uno dei crocevia dell'Europa medioevale.
Era sede papale e i passi dei miei antichi concittadini, artigiani, contadini e piccoli mercanti, si incrociavano con quelli dei potenti dell'epoca. Cardinali, re e principi.
Enrico di Cornovaglia era uno di questi. Faceva parte del corteo funebre che riportava in Francia il corpo del re crociato Luigi IX di Francia, detto "il Santo". Un personaggio che ritroviamo nel film, per me bellissimo, di Pupi Avati "I cavalieri che fecero l'impresa". A guidare questo corteo era il re di Francia Filippo III. Enrico di Cornovaglia venerdì 13 marzo 1271 assisteva alla messa nella chiesa di San Silvestro, situata nell'odierna piazza del Gesù, nel cuore del centro storico, presenti Carlo I d'Angio re di Sicilia e lo stesso Filippo III.
Oltre alla parentela con il re d'Inghilterra ne aveva un'altra con Guido e Simone di Montfort, figli di Simone V di Montfort, ucciso in una battaglia dalle truppe del re inglese. I due fratelli, per vendicare la morte del padre, irruppero nella chiesa durante la messa e inseguirono il povero Enrico, che si era mosso verso l'altare nella speranza che la sacralità del luogo lo salvasse, ma la sete di vendetta fu più forte del timore della scomunica. Infatti lo uccisero e insieme a lui persero la vita due innocenti, che nulla avevano a che vedere con le loro antiche ruggini familiari. In quei giorni peraltro a Viterbo la sede papale era vacante e si stava svolgendo il conclave più lungo della storia della Chiesa. La tradizione vuole che quello sia considerato il primo vero conclave. Così lungo che i Viterbesi, per rompere gli indugi e le lotte intestine dei cardinali, scoperchiarono il tetto del Palazzo Papale e lasciarono all'interno i cardinali "clausi cum clave". Costretti dalla ribellione del popolo si accordarono finalmente su un nome ed elessero Gregorio X, che si trovava in Terra Santa.
Marco Polo, il padre e lo zio gli fecero visita, arrivando fino alla corte del Gran Khan con delle sue lettere. Torniamo però alla vicenda tragica del nostro Enrico di Cornovaglia: grande scalpore destò la sua uccisione in un luogo sacro durante la celebrazione della Santa Messa. Le sue spoglie, in un primo tempo portate in Francia da Filippo III, poi trovarono la loro sede definitiva a Londra in un'urna posta dentro una colonna di un ponte del Tamigi, reclamate dal re inglese Enrico III. Lo stesso Dante Alighieri ne rimase fortemente colpito e nella Divina Commedia, canto XII dell'Inferno, ne parla. Dante parla di Viterbo pure nel canto XIV dell'Inferno, a proposito del Bulicame, una sorgente sulfurea, le cui acque curavano e curano diverse malattie.
Antiche vicende direte voi, ma quale è il legame con la Viterbo di oggi? Il legame, o meglio l'amara constatazione che da viterbese faccio, è che da un passato così centrale nella storia si è giunti ad un presente, che vede Viterbo e la sua provincia, l'antica Tuscia, mortificate in un ruolo marginale. Lo stesso stato unitario, del quale si celebra quest'anno il 150° anniversario, non ebbe grande considerazione della provincia viterbese. Fino al 1927 era sottoprefettura di Roma: in quell'anno furono istituite nuove province e tra queste c'era Viterbo.
Questa provincia ha grandi risorse, molto poco sfruttate, dal punto di vista turistico. Opportunamente e intelligentemente utilizzate creerebbero sviluppo, benessere e ricchezza per la sua comunità, con notevoli ricadute sul piano occupazionale. Però continua a vivacchiare ed è penalizzata non poco dalla cronica mancanza di infrastrutture, in particolare vie di collegamento stradali e ferroviarie efficienti. Si è molto parlato del progetto di un aeroporto a Viterbo per voli "low cost" internazionali; temo, soprattutto per i più giovani ancora alla ricerca di una occupazione, che diventerà l'ennesimo miraggio. E della possibile sinergia con il flusso di turisti provenienti dal porto di Civitavecchia, uno più importanti del Mediterraneo per le crociere, non se ne farà nulla.
Giovanni Fonghini
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