Viticoltura di montagna, abbiamo ancora bisogno di eroi

Da Vincenzo28

Un tempo l’Italia era la patria della viticoltura di collina e di montagna e gli antichi Romani erano consapevoli della sua importanza. Anche a quel tempo esisteva la viticoltura di pianura che aveva origini etrusche, ma i Greci ed i Romani consideravano scadenti i vini delle alberate. Per moltissimi secoli i vignaioli coltivarono la vite su terrazzi poveri e declivi delle colline e delle montagne, ma con la scomparsa dei domini ecclesiastici e della nobiltà, la vite pian piano inizio a scendere in pianura con un aumento delle produzioni. La viticoltura eroica riceve il colpo di grazia con l’avvento della meccanizzazione ed oggi queste le superfici vitate non raggiungono il 10% di tutta la superficie vitata italiana, basti pensare che la viticoltura di pianura produce almeno il doppio se non il triplo della viticoltura eroica.

I costi di sistemazione del suolo e d’impianto della vigna sono enormi, inoltre si aggiungono delle elevate spese di manutenzione del terreno che spesso è soggetto a frane, grandi difficoltà nella meccanizzazione, infatti, il 90% delle operazioni colturali si effettua manualmente. Certe zone viticole sono vere e proprie opere d’arte, che bisogna conservare, magari sottoponendole al vincolo del mantenimento a vigneto anche con un sostegno economico. L’Unesco si è interessato alla salvaguardia di queste zone viticole candidandole come patrimonio dell’umanità.

Nel mondo esistono bellissime zone dove la viticoltura eroica disegna dei suggestivi paesaggi, i vigneti della Valle d’Aosta, della Valtellina, delle Cinque Terre, di Ischia e dell’Etna in Italia; le vigne della Ribeira Sacra della Galizia in Spagna;  i vigneti del Douro in Portogallo; le vigne di Banyuls e delle Rhône-Alpes in Francia e i vigneti che si affacciano sul Reno e sulla Mosella in Germania. In totale per l’Unione Europea si calcola una superficie dedicata alla viticoltura eroica di circa 100.000 Ha su una superficie viticola mondiale di 8 milioni di Ha.

La progressiva perdita di queste zone è un errore imperdonabile della nostra politica agricola ed amministrativa, le regioni hanno il compito di incentivare le aree vitate di gran rilievo storico e turistico. La concorrenza economica della viticoltura di pianura, meccanizzata e più ricca della viticoltura in forte pendenza è una forte minaccia per la viticoltura eroica. L’altra concorrenza viene dalla viticoltura delle grandi estensioni di altri paesi come l’Australia, l’Africa del Sud, l’Argentina, la Cina e la California che producono a costi molto più ridotti dei nostri.

Nel 1987 viene creato il Cervim (Centro di Ricerche, Studi e Valorizzazione per la Viticoltura Montana) di Aosta, che raggruppa molti paesi europei, per preservare la viticoltura eroica soggetta a rischi di abbandono. I vini prodotti con uve che provengono da queste zone in pendenza presentano una finezza aromatica e una qualità superiore rispetto a vini ottenuti con uve prodotte da vigneti in pianura. Che sia chiaro, la viticoltura di collina e di montagna non svolge solamente un ruolo produttivo, ma anche un ruolo ambientale, i vignaioli di questi ambienti sono i veri protettori di una natura difficile ma contemporaneamente affascinante.

Abbiamo degustato e vi proponiamo uno dei vini simbolo della viticultura eroica italiana:
Valtellina Superiore Valgella Carteria ’09 Fay
A San Giacomo di Teglio da tre ettari terrazzati nasce questo affascinante rosso da uve Nebbiolo Chiavennasca, vinificato in acciaio e affinato un anno in barriques.
Dal colore rubino e dal naso entusiasmante di delicate sensazioni di rosa, amarene, mirtilli, spezie dolci e humus. Bevendolo è un insieme di freschezza di frutto, tannino vivo, e lunga sapidità.


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