Il primo numero aveva per titolo "MATTONI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il secondo numero, "NUVOLE".
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Il terzo numero, "STRADE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/07/strade-di-quando-si-parlava-della-fine.html
Il quarto numero, "ORIZZONTI".
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Il quinto numero, "ACQUE".
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Il sesto numero, "MACCHINE".
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Il settimo numero, "PAPAVERI".
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Continuando a seguire il filo conduttore fondato sul confronto rappresentato dalla contrapposizione-complementarietà tra l'uomo e la natura, questo ottavo numero, intitolato "VITIGNI", quarto elemento della seconda tetralogia, voleva rappresentare la capacità dell'uomo di modificare la natura per le proprie esigenze di nutrizione.
L'ottavo numero di "FRAMMENTI", realizzato nel mese di aprile del 1997, lo presentai nei locali dell'Ex Frantoio di San Domenico, in San Miniato, il 13 ed il 20 aprile 1997.
primi pensieri.
La natura da cui nasce e si nutre l'uomo.
Nel chiudere la tetralogia, impostato su particolari aspetti dove si esplica la contrapposizione e la complementarietà uomo natura, su cui si è sviluppato questo secondo gruppo di frammenti, "vitigni" vuol rappresentare, in contrapposizione a "Papaveri", dove si mostrava la capacità della natura di creare a dispetto della volontà umana, la volontà umana di piegare alle proprie esigenze di nutrizione gli elementi della natura. Ma il percorso non può essere risolto in quest'unico, e per molti versi falso in parte. Infatti con "vitigni" si possono aprire una moltitudine di interessanti vie per la costruzione di un'interessante quadro del rapporto contrapposto, ma soprattutto complementare che l'uomo ha instaurato con l'ambiente in cui vive.Volendo partire da un falso presupposto, ma oramai luogo comune che vede il mondo popolato da due distinte entità, una l'uomo e l'altra la natura, ci possiamo addentrare in un percorso dove possiamo incontrare la realizzazione della capacità di adattamento simile a tutti gli esseri viventi, sia animali che vegetali. Se da una parte assistiamo ad una supremazia dell'uomo, dovuta all'estrema capacità di sintesi e di elaborazione del suo cervello, su tutto il resto, che si realizza nella colonizzazione dell'intero pianeta, esso resta comunque strettamente legato alla sua fonte di nutrimento, il resto degli elementi della natura. L'uomo, pur nelle condizioni di vivere, attraverso l'esplicazione della sua capacità intellettiva, in qualsiasi ambiente, anche nello spazio cosmico, non è capace di allontanarsi da quegli ambienti ricchi del suo nutrimento più del tempo permesso dalle scorte che è capace di portare con se. Questo intrinseco ed indissolubile legame si concretizza così come un'ancestrale cordone ombellicale con la madre natura. Dove l'uomo nasce da essa, per nutrirsi di essa. A questo punto si potrebbe aprire un'altro scenario. Parlare di nutrimento vuol dire parlare di agricoltura. E per farlo, gettando lo sguardo al terzo millennio, oramai culturalmente legato ad un'idea non più terrena della nostra esistenza, ma cosmica e dall'impronta fantascientifica, si apre uno scenario futuribile alquanto fosco. Innanzi tutto si potrebbe iniziare col pensare alle nostre astronavi del terzo millennio e alle ragioni che le spingeranno verso l'orizzonte dell'universo. Sicuramente i primi lo faranno per spirito di avventura e megalomania, come lo fece Cristoforo Colombo, ma saranno sicuramente finanziati da chi ha esigenze economiche e di governo ben precise, come fecero a loro tempo col navigatore genovese i reali di Spagna.Così si potrebbe ipotizzare che il terzo millennio sarà caratterizzato dall'intuizione avventurosa e megalomane di un astronavigatore, che finanziato da un qualche potente della terra bisognoso di materie prime oramai preziose sul nostro pianeta e di nuove terre da colonizzare per sfamare il nostro pianeta. Verranno scoperti nuovi semi e nuove piante, l'alimentazione cambierà ma calmerà per un po' ed in qualche modo la fame del terzo millennio, come fecero le patate tra i popoli del vecchio continente nel millennio che si sta concludendo. Le nuove piante e i nuovi frutti verranno studiati dall'uomo attraverso le capacità del proprio cervello. E, come i nostri antenati di qualche millennio fa', che riuscirono a capire che il frutto della vite conteneva un succo dolciastro che spremuto fermentava e diventava inebriante, capiranno le proprietà dei nuovi frutti. Col tempo l'uomo che abitava il nostro pianeta scoprì che quella pianta poteva essere propagata facendo nascere nuove piante identiche alla prima, che a quelle piante se le si toglieva i rami vecchi, infruttiferi, essa viveva di più e dava maggiori frutti e più buoni. Con altro tempo ancora ha affinato le conoscenze della fermentazione, arrivando a costruire recipienti che la facilitassero e che, costruiti in modo da evitare il contatto del succo fermentato con l'aria ne favorivano la conservazione nel tempo, impedendo l'azione acidificante dell'ossigeno. Il vino degli antichi oggi sarebbe imbevibile. Veniva consumato quasi subito, appena terminata la fermentazione, per evitarne la veloce acidificazione.Il titolo stesso di questo frammento vuol essere significativo. Non viti, generico, e non vigneti, fuorviante. Vitigno è la specie colturale, è lo studio e l'applicazione delle conoscenze genetiche della natura della pianta. L'esaltazione delle sue caratteristiche migliori, selezionate attraverso la riproduzione di quelle linee che meglio rispondono alle infinite peculiarità dei terreni che ospitano le singole piante. Così da meglio focalizzare l'attenzione sull'ultimo scenario che si potrebbe aprire in questo viaggio dentro il nostro futuro nutritivo, all'interno del quale potremmo trovare le tappe dello sviluppo genetico delle piante che usiamo per alimentarci. Sviluppo genetico che segue diverse e significative strade, che crescono seguendo spesso irresistibili accelerazioni verso una ricerca esasperata di piante dall'impronta genetica omogenea alle esigenze di coltivazione, che fanno però confluire le varie strade della sperimentazione nel gran calderone delle aspettative economiche. Soia docet.
pensieri in foto
E' la prima volta, pur vivendoci un rapporto stretto e quotidiano, che mi confronto con la mia macchina fotografica con questa pianta. La vite è una pianta molto particolare nella forma, mediazione tra una naturale tendenza a rampicare e ad espandersi nella normale direzione circolare, e la volontà dell'uomo che la coltiva a tenerla nelle forme a lui più rispondenti alle esigenze colturali. La sua propensione alla crescita va a discapito della produzione dei frutti, maggiori sono i punti dove essa, passato il periodo di dormienza invernale, germoglia e si accresce, minore è la sua capacità di produrre, crescere e maturare i propri frutti.Col tempo l'uomo ha adattato le proprie coltivazioni alle particolari caratteristiche climatiche prima e del terreno poi. Nelle regioni più calde e soleggiate si è sviluppata l'usanza di far assumere alla pianta una notevole altezza e attraverso un impianto colturale particolare si spinge la pianta a formare un effetto tendone con l'apparato fogliare, della stessa superficie dell'appezzamento coltivato. Con questo sistema la pianta è capace di raggiungere grosse quantità e forte contenuto zuccherino. In regioni più temperate, come la nostra, alla pianta viene fatta assumere una forma mediamente contenuta, e all'apparato fogliare viene fatto assumere una forma a spalliera. Si ottengono rese più modeste ma qualitativamente molto pregiate. Nelle zone più fredde ed umide alla vite viene fatta assumere una forma molto contenuta nello sviluppo che le permette di produrre vini di qualità. Fino ad arrivare alle regioni della Francia settentrionale, notissime per lo champagne, dove la vite ha forma di piccolo cespuglio.Fotografare questa pianta è molto interessante, permette di entrare in contatto anche con l'esperienza e la capacità di chi la coltiva. La potatura e la legatura appartengono al particolare bagaglio di conoscenze che ciascun agricoltore ha raccolto nella sua esistenza. Bagaglio costituito soprattutto da memorie visive e usanze tramandate oralmente. Per meglio condurre il percorso di questo ottavo frammento raccolto per testimoniare il millennio che sta terminando, ho scelto come soggetto una pratica colturale quasi scomparsa. Le viti fotografate fanno parte di una proda sostenuta da pioppi, che ha rappresentato fino a pochi decenni fà il sistema di allevamento della vite più diffuso in questa zona.
Otto fotoFrammenti di un vigneto potato e legato quest'inverno
I foto-frammenti che propongo con "VITIGNI" sono immagini raccolte in una soleggiata mattina dello scorso febbraio, ritraendo una proda in località Ventignano, che si trova a segnare il confine tra le provincie di Pisa e Firenze.
Come l'impalcatura per la costruzione di un edificio, alla vite vengono realizzati degli arditi sostegni per modellarne le forme. Fili e canne, che, legandosi sostenendosi a vicenda, giungono a costituire una rete dove i tralci delle piante vengono forzatamente indirizzati.
Queste impalcature giungono, in molti casi, dove richiedono lo sfruttamento di situazioni confuse, rappresentate dalla presenza e dallo sviluppo di piante vecchie, con un sesto d'impianto molto disordinato, determinato da una propagazione senza un criterio geometrico, a realizzare un vero e proprio castello asimmetrico ma funzionalmente ordinato.
Gli intrecci che nascono nell'allevare questa pianta, sono frutto di un armonico intervento sulla natura libera ed incosciente della pianta, che la porta a esplodere di vegetazione oltre le proprie forze.
Nel cercare di limitare questa sua forza, per allungare la vita della pianta, e per trarne la giusta produzione di frutti, i tralci formatisi l'anno precedente e che nel presente fruttificheranno, vengono piegati a formare un arco, splendidamente intrecciato e legato.
Pioppo e vite. La coltura della vite allevata lungo i bordi dei campi era una coltura molto povera. Dove il contadino, per dare un sostegno alle piante, mancandogli il denaro per acquistare pali e filo di ferro, piantava vicino alle piante di vite, delle piante comunemente chiamate pioppi. Piante di poco sviluppo, longeve quanto e più della pianta che erano chiamati a sostenere.
Ma la vita di queste due piante si svolge in simbiosi forzata tenuta assieme da innumerevoli legature che tengono la vite imprigionata nelle forme dell'albero.
La legatura stessa della vite è frutto dell'uso parsimonioso delle povere risorse che i contadini hanno da sempre dovuto attingere dalla conoscenza della natura nel quale vivevano. Così per legare i tralci hanno sviluppato un'uso eccezionale dei flessibili rami di salice, avvolti con maestria costituiscono dei legami poveri ma resistenti.
Le viti, disposte in fila più o meno ordinata, vanno a costituire, nel caso del frammento proposto una proda lungo la strada. Tra la fossa ed il campo coltivato. Nei tempi dell'agricoltura di inizio secolo, costituita da un lavoro numeroso e completamente manuale che vedeva la presenza nel campo dall'alba al tramonto, la proda rappresentava un luogo di socializzazione nei momenti di riposo e alimentazione che caratterizzavano le pause del lavoro.