Vittorini, diceva Oreste Del Buono,
“era l’uomo che forse ha fatto di più per strappare la cultura italiana all’accademia e alla retorica”.
I fumetti per lo scrittore erano a tutti gli effetti una forma di narrazione, la riscrittura di un mondo poetico; quelli che venivano considerati comics di qualità per l’intellettuale siciliano costituivano una forma di scrittura con la S maiuscola pertanto dovevano essere conosciuti e diffusi.
Per il suo interesse nei confronti dei fumetti, già noto negli anni Sessanta, Eco lo intervistò insieme a Oreste Del Buono, compagno d’avventura nel “Politecnico”, e poi per molti anni direttore della rivista “Linus”, nel primo numero di questa nuova pubblicazione che sdoganò i fumetti e li inserì nel circuito della letteratura cosiddetta alta ( “Linus”, numero 1, aprile 1965).
Come ha scritto Umberto Eco, su “Linus” n. 12, marzo 1966:
“Vittorini leggeva i fumetti, si divertiva con freschezza, ne ragionava con rigore critico, cercava di capirli, di farli capire, di giudicarli, nel bene come nel male, senza false compiacenze, senza snobismi. Non li “accettava”, li affrontava perché esistevano, e dunque dovevano significare qualcosa, e lui non poteva sottrarsi, doveva gettarsi anche in questa mischia, per chiarire, per capire, per far capire.
(Per Vittorini ) Non (…) pareva che esistesse distinzione di dignità tra una storia tutta scritta e una storia tutta disegnata: gli premeva solo che un libro desse qualcosa, stimolasse la fantasia, documentasse una situazione, un modo di pensare; sapeva che si può riflettere sull’uomo sia in endecasillabi che in strisce”.
Vittorini era un assiduo frequentatore della libreria Milanolibri ed un giorno per caso, scoprì Charlie Brown e i Peanuts; lo raccontò lui stesso nel corso della Tavola Rotonda del 1965 che battezzò appunto “Linus”, la rivista di Gandini.
“Charlie Brown è venuto per un accidenti. Io mi facevo mandare dall’America, da amici che ho lì, i supplementi domenicali dove ci sono i fumetti, però questo non l’avevo notato perché quelle persone non mi mandavano mai la pagina giusta. Finalmente una volta ho visto in mano a una ragazza della Mondadori, nel ‘58-59, un album ancora di quelli formato “forze di liberazione”. Incuriosito, me lo sono fatto dare e ricordo che passai il resto del pomeriggio mondadoriano a guardarmeli. Da allora li ho cercati sempre…”.
Il fumetto interessava Vittorini da sempre, il Corriere dei Piccoli era letto in famiglia e lo dimostra un ricordo di Jole Vittorini contenuto nel suo bel libro “Mio fratello Elio” (Ombre editrici, volume I ) che meriterebbe una ripubblicazione; in quel libretto Jole bambina descrive un ferroviere come un personaggio dei fumetti del Corrierino, “Capitan Cocoricò”.
L’interesse di Vittorini verso la letteratura disegnata, il mondo dei comics e dei cartoons esploderà però solo dopo la Guerra nell’autunno del 1945 sulle pagine del “ Politecnico”.
Raffaella Rodondi nella seconda parte dell’immane lavoro di raccolta dei Saggi e interventi di Vittorini dal 1938 al 1965 (Letteratura-arte-società, Einaudi, vol. II) nell’introduzione segnala che per quanto riguarda Il Politecnico:
“Ingente e disseminato è l’apporto di Vittorini che abbraccia indifferentemente pezzi anonimi e articoli firmati, editoriali, didascalie, schede informative, note di presentazione – postille – a sezioni e singoli contributi”.
Alla fine dell’avventura Politecnico rimase solo con una segretaria e Giuseppe Trevisani fungeva da grafico.
La citazione della nota della Rodondi è d’obbligo perché molti degli interventi redazionali, delle schede e delle note introduttive sui comics non sono firmati ma sono attribuibili a Vittorini.
Nel numero 4 del “Politecnico” si trova una vignetta con Supertopolino, nella quarta pagina, con una didascalia veramente illuminante e interessante che rivela l’impronta vittoriniana:
“gli uomini hanno inventato il superuomo. E Walt Disney ha inventato dopo Topolino, il Super-topolino. E Super-topolino è nemico di Topolino come il superuomo è nemico dell’uomo. Quello nella favola del cartone animato, come questo nella vita”.
Sempre a Vittorini, poi, si ascrive il commento all’immagine della Mula Checca contenuto nella pagina 4 del Politecnico numero 28, l’ultimo del formato settimanale della rivista:
“Un’immagine ci sorge spontanea nella memoria tutte le volte che pensiamo alla “democrazia cristiana” . Ci viene da quando leggevamo nella nostra infanzia Il Corriere dei piccoli. Ed è l’immagine della Checca, la terribile mula che tanti “scherzi da prete” faceva al rattoppato e umile lavoratore Fortunello. Perché lei? Solo perché vigorosa nei calci al sedere dei denutriti e nella testardaggine? Perché simbolica d’oscurantismo? O non perché aveva dietro a dirigerla il pasciuto gran proprietario padron Ciccio?”
Infine nel Politecnico mensile, del luglio-agosto del 1946 , in lingua originale e con i balloons, ecco spuntar fuori ben sette strisce delle avventure di Popeye, il burbero marinaio di Seagar, con una nota introduttiva che rivela la penna del Direttore del Politecnico in ogni sua sfumatura: Popeye viene scelto perché personaggio poetico che…
“libero da intenzioni e riferimenti, arriva forse unico ad essere personaggio… che ha vissuto di realtà propria giungendo ad avere una sua moralità… per questo possiamo pensare Popeye a fianco di personaggi del racconto di tutti i tempi : è come un personaggio di Dickens: non come un personaggio di De Amicis”.
Vittorini aveva detto di essersi interessato di fumetti fin da ragazzo e, come è noto, di letteratura illustrata.
Ma quali le caratteristiche di un buon fumetto per Vittorini?
Lo spiega lui stesso nel 1965 rispondendo a una domanda di Eco, (Linus 1, 1965)
“Il fumetto (…) Va giudicato a partire da un certo punto: cioè da un punto in cui ci accorgiamo che è esplosa, per cosi dire, una globalità; un punto in cui è avvenuto una specie di ‘scatto di totalità’. Ma vorrei cercare di spiegarmi meglio. L’unità espressiva, l’abbiamo detto, è la strip, la sequenza. Prima della strip non abbiamo che la vignetta, una vecchissima conoscenza giornalistica, costituita da una figura e una battuta che si completano a vicenda e che esauriscono in un corpo solo quello che hanno da dire. Con la strip abbiamo non solo una moltiplicazione della figura e della battuta, una serie di quattro cinque figure e di altrettante battute, ma abbiamo anche un elemento del tutto nuovo, l’elemento della successione temporale, il quale si manifesta in due ordini sovrapposti, uno analogico per le figure e uno logico per le parole, benché poi le parole abbiano la prevalenza e investano della loro logicità letteraria tutto l’insieme riducendo le figure a non avere che dei compiti stereotipi, di descrizione, di caratterizzazione, ecc. ecc. come dei semplici segni pittografici. È questo terzo elemento che fa della strip un’unità espressiva, perché rende puramente paradigmatico il valore di ogni vignetta a sé, e assume in proprio (all’interno del proprio decorso) l’elaborazione del significato.
Ma la strip non esprime che un frammento di mondo, un aspetto di personaggio, un momento di rapporto e anche se in se stessa può riuscire pregevole lo riuscirà solo a livello di massima, di illuminazione, di appunto, di episodio, di aneddoto. La qualità ch’essa rivela non va oltre i limiti della sua durata, è minima, è precaria, può essere banalissima o comunque non più che divertente, e occorre che i personaggi, i rapporti, gli oggetti in essa trattati ritornino in altre strips un certo numero di volte, sei volte, sette volte, nove volte, anche quindici, sedici volte, accumulando momento su momento e aspetto su aspetto, perché noi si possa entrare nel merito qualitativo del fumetto. A furia di quantità è avvenuto quello che ho chiamato “scatto di totalità”, cioè si è formato un significato secondo, che subito si riflette su ogni singola strip, anteriore o successiva, e la carica di importanza, la fa essere parte di un sistema, dandoci il senso di avere a che fare con tutto un mondo. Quando è Charlie Brown o B.C.; quando è un buon fumetto, si capisce…”.
Costruzione di un mondo a sé, temi e motivi ripetuti e libertà da condizionamenti, questi i caratteri fondamentali di un BUON FUMETTO, così come evidente dalle scelte effettuate per la pubblicazione di comics sul Politecnico che comprese Braccio di Ferro e Barnaby e lasciò fuori i comics di avventura e d’azione che furono facilmente strumentalizzati dagli USA durante la seconda guerra mondiale. Topolino e la banda Disney, addirittura, fu protagonista di un’intera pagina; nel numero 20 di “Politecnico” è inserito addirittura un lunghissimo racconto dello stesso Walt Disney sulla “costruzione dei cartoni animati”; segno dell’interesse forte verso questa nuova forma culturale. Accanto al testo inviato dall’America, che fa riferimento a un famoso cartone animato disney, Clock cleaners, Vittorini inserisce delle didascalie che fanno respirare ancora il dolore della guerra e delle ostilità fra gli uomini e che associano la penna vittoriniana alle favole di Fedro ed Esopo.
L’interesse di Vittorini verso Topolino, tuttavia, tende a diminuire quando nel dopoguerra anche le vicende del celebre topo si conformano alle ideologie socio-politiche dominanti; lo confesserà lo scrittore siracusano in un’intervista del 1964, in cui rileverà il cambiamento subito da Topolino, “prima eroe liberatore tipico della leggenda USA, ed ora un conformista, un aiuto poliziotto”.
Ed il mondo dei bambini con i Peanuts è protagonista, come anticipato, delle sue ultime letture poiché Vittorini era affascinato dal mondo di Charlie Brown e Snoopy.
Tuttavia la letteratura disegnata e i fumetti lo seguirono anche durante il suo incarico come consulente Mondadori; fece pubblicare “L’antichissimo mondo di B.C.” di Hart e “I polli non hanno sedie” di Copi nella Collana Nuovi Scrittori Stranieri .
Com’è evidente Vittorini con la sperimentazione di comics e del racconto per immagini sul “Politecnico” anticipò nettamente l’interesse verso i fumetti della “cultura alta” e, ancora, mostrò il suo coraggio di libero sperimentatore di cultura, in tutte le sue forme, guadagnandosi le critiche del Partito Comunista e di Togliatti che, in seguito, alla fine del 1951 e l’inizio del 1952 con Nilde Jotti e Gianni Rodari fu protagonista sulle colonne di “Rinascita” della “questione dei fumetti”: ma questo è tema per un altro articolo o, forse, per un altro libro.
Originariamente pubblicato su:
Vittorini e i balloons. I fumetti del “Politecnico”
Annalisa Stancanelli
Bonanno Editore, 2008
80 pagine – 10,00€
ISBN-13: 9788877964939
Riferimenti:
Elio Vittorini su wikipedia Italia: it.wikipedia.org/wiki/Elio_Vittorini
Umberto Eco intervista Vittorini: blogcomicstrip.blogspot.com/lintervista-di-eco-vittorini
Bonanno Editore: www.bonannoeditore.com