Poco è rimasto di lui: una lapide al cimitero di Groppoli di Mulazzo, ma non è qui che riposa, un albero nel viale delle rimembranze del paese, un nome scolpito su pietra e fagocitato dai licheni, un libretto fasullo in cui cita l’Eneide di
Di lui non so molto e comunque sono racconti di mia nonna. Che non lo ha mai conosciuto. Che ne sapeva poco e quel poco lo aveva saputo dalla madre nonché moglie di Vittorio, anch’essa piuttosto all’oscuro. E ad ogni modo, quel poco che sapeva non era manco vero. Tante volte ho immaginato quella povera donna piangere due volte, la prima vedendo il marito partire e la seconda vedendosi recapitare una cartolina listata a lutto. Le lacrime subito secche, i tre bambini ignari e affamati. La vita.
Morto per la patria. Di cui non avrebbe saputo vergare nemmeno la prima lettera, di cui non sapeva la capitale, il nome del Presidente del Consiglio. Vittorio non conosceva altro che la fatica e la fame. Lui che nella natia Groppoli le barelle le usava per portare le patate, arrivato sul Carso ha iniziato a caricarci uomini rantolanti, morti, gente che si teneva le budella attaccate al corpo. Le budella le aveva già viste, Vittorio. Ma si trattava di maiali, non di cristiani.
E un giorno in quella barella c’hanno portato lui, cadavere. Mia nonna diceva che lo aveva colpito una bombarda alla testa. Ma non è vero. O meglio: non si sa. Mia nonna diceva che era seppellito a Redipuglia. Ma non è vero. Quando ci andai, non lo trovai. Mia nonna diceva tante cose e quelle cose lei e la madre le leggevano in un opuscoletto che lo Stato consegnò ai familiari delle vittime. Ma non c’era pressoché nulla di vero. Vittorio che citava Virgilio. Vittorio che aveva la profondità di un Goethe. Vittorio fervente nazionalista. Nessuno aveva il coraggio di dire a mia nonna che erano tutte balle, che Vittorio era del tutto analfabeta, pratico, impaurito. Nessuno. Nemmeno lei stessa.
Ancora osservo quell’unica foto di Vittorio. Si, è proprio impaurito. Il lampo del magnesio è come uno sparo. Sorrida! avrà detto il fotografo. E poi il colpo, troppo veloce per preparare un sorriso. Qualche mese più tardi un austriaco deve avergli usato meno premura. E Vittorio non sorrise nemmeno allora. Né allora, né mai più.