Ambra Angiolini, Michele Placido, Alessandro Gassman
Dopo il buon esordio alla regia rappresentato da Nessuno mi può giudicare (2010), con Viva l’Italia Massimiliano Bruno, autore anche della sceneggiatura, insieme, ora come allora, ad Edoardo Falcone, tenta il colpo grosso, ispirandosi agli stilemi propri della commedia all’italiana, per narrare in maniera più articolata i malanni della nostra società, in particolare malefatte e storture dell’apparato politico. E di tentativo, purtroppo, si tratta, perché, se è evidente, nel dare privilegio ad un’ ironia dai toni amari, la volontà di evitare la solita farsa intrisa di volgarità gratuite, concedendo spazio anche a vicende parallele o conseguenti a quelle narrate, lo è altrettanto un’assoluta mancanza di organicità e di concretezza stilistica. Tutto si risolve in un’intercalarsi di scene dal sapore fortemente didascalico, con in più un senso di straniamento da fiction televisiva, vedi l’impiego, a volte eccessivo, della musica.Rocco Papaleo
Si passa dalla satira volta alla politica del malaffare, dove la parola democrazia assume il sinistro significato di essere tutti egualmente invischiati in un sistema all’interno del quale nessuno può proclamare purezza, alla critica, grezza, verso una società basata più sull’apparire che sull’essere, affidata, giocando su questa contrapposizione, ai personaggi dell’agente di Susanna, Tony (Rocco Papaleo), e della guardia del corpo, aspirante attore, Marco (Edoardo De Leo). Si alternano quindi sequenze riuscite (la passeggiata-presa di coscienza dell’onorevole Spagnolo durante gli scontri conseguenti ad un comizio, debitrice, ma in un altro contesto, della scena finale de In nome del popolo italiano, ’71, Dino Risi) ed altre dal sapore qualunquista (tre escort, con parrucche riecheggianti i colori della nostra bandiera, chine alle “necessità” di maggioranza ed opposizione) o irrisolte, forti ma non tanto da costituire un valido pugno nello stomaco (ancora Spagnolo che mostra al figlio Valerio le macerie nel centro storico dell’ Aquila, confessando le bustarelle prese per la costruzione di un edificio ora distrutto).Raoul Bova e Maurizio Mattioli
Del ricco cast, certo a suo agio nelle varie interpretazioni, a partire da Placido, mi hanno colpito soprattutto le caratterizzazioni offerte da personaggi secondari, il loro riuscire a recitare con poche battute, uno sguardo o un gesto (più che Mattioli infermiere, i vari pazienti dell’ospedale, Isa Barzizza, Sergio Fiorentini, Remo Remotti), questo sì nella tradizione della nostra migliore commedia.La regia di Bruno mi è parsa priva soprattutto di un mordente che non sia solo d’intenti, affidando alla volontà di riscatto dei protagonisti e ad un utopico discorso finale (l’auspicio di un art. 140 della Costituzione, l’obbligo di conoscere la verità) il simbolo di un’augurabile rinascita, morale in primo luogo, del nostro paese, con tanto di reunion tutti insieme appassionatamente; in sostanza, una semplice constatazione dello stato delle cose, un bonario j’ accuse, mancante del necessario distacco. Viva l’Italia? Certo, in nome del botteghino.