“C’è del metodo nella sua follia”. La battuta del fido portaborse Andrea Bottini (Valerio Mastandrea) affonda le radici nel teatro e nella letteratura di ieri e di oggi. Matto ma furbo, pazzo ma ragionevole ad un tempo, lo è stato l’Enrico IV di Pirandello, così come l’Amleto di Shakespeare. Anche nel caso di Viva la libertà di Roberto Andò il trono è vuoto, anzi svuotato. Come riempirlo? E qui casca l’asino e piove dall’alto l’oneroso interrogativo: essere o non essere Enrico Oliveri, leader smorto e carismatico del centrosinistra italiano? Ma soprattutto chi può esserlo se non il fratello gemello, goccia d’acqua rimasta ad essiccarsi per oltre vent’anni in un manicomio?
Una crisi di governo, ops di opposizione, colmata da un colpo di genio intriso di follia, un colpo di mano che fa girare nuovamente e con più forza la ruota di una sinistra (sempre) arrancante. Roberto Andò ci regala una commedia filosofica e dell’assurdo, dove l’inconcepibile e l’improbabile sono motore verso la rinascita.
Viva la libertà è una melodia da canticchiare e sinfonia che stura le orecchie, un’opera intelligente, che, dietro al riso e allo smarrimento iniziale, fa riflettere molto noi cittadini votanti e dovrebbe far drizzare le antenne ai politici che – poveri noi! - votiamo. Nel caso specifico, è il film che il centrosinistra italiano dovrebbe vedere per rinascere, vincere, (soprav)vivere. La parola magica? “Passione!” risponderebbe Giovanni Ernani negli abiti del fratello fuggiasco.
Il pazzo è pazzo. Anche se dice il vero, lo si crede sempre out. Ma cosa accade se follia fa rima con filosofia? Ecco la carta giocata da Andò: la Filosofia, che, oltre la demagogia e al potere nell’accezione partorita da Platone, apre spiragli di salvezza e di speranza. Che in fin dei conti è l’unica cosa di cui abbiamo bisogno e che purtroppo non vediamo nella politica odierna. Solo così un partito potrebbe toccare il fantomatico 66% dei favori che provocatoriamente vediamo nel film.
In merito alla prova degli attori, è ottima quella dell’intera compagine maschile. Toni Servillo si dimostra davvero l’attore in più del cinema italiano. E’ preciso, magnetico, mastodontico. Si fa in due in un’accoppiata di personaggi gemelli così vicini e così lontani: l’uno non ha una ruga espressiva dell’altro. Due personaggi opposti, privi di sbavature, che abbagliano e stregano sin dalla prima apparizione (Enrico Oliveri con quella valigetta piombata a terra e raccolta con imbarazzo e timore, Giovanni Ernani che apre l’uscio di casa con il sorriso ebete e indagatorio di chi sa inchiodarti senza proferire parola). Dopo la deludente prova in Bella Addormentata di Bellocchio, Servillo torna a toccare la cime sperimentate in Una vita tranquilla.
Al suo fianco un bravissimo Valerio Mastandrea. Anchilosato da anni in ruoli statici e privi di vere sfumature psicologiche, in Viva la libertà, con capello rileccato e cappotto buono, dà il meglio di sé. Buona anche la prova “a margine” di Massimo De Francovich nei panni di un Presidente della Repubblica con echi crozziani (vedi i biscottini pappati godendosi il brechtiano discorso di Servillo).
Scarsa è purtroppo la prova di tutte le donne, da Anna Bonaiuto a Valeria Bruni Tedeschi a Michela Cescon. Quote rosa in ribasso.
Apprezzatissima la citazione dell’uomo che si “allontana di spalle nella pioggia”, che, con fare palese e sottaciuto, richiama al finale di Buongiorno, notte di Marco Bellocchio.
Terrificante e tendente al vero, alla luce degli ultimissimi risultati elettorali, la battuta di Ernani: “Ogni elettore ha il leader che si merita. Se i politici sono mediocri è perché i loro elettori sono mediocri, se i politici sono ladri è perché i loro elettori sono ladri, oppure vorrebbero esserlo”.