Vivalascuola. Basta con i governi della disequità

Creato il 12 dicembre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da vivalascuola su dicembre 12, 2011

Abbiamo aspettato di vedere all’opera il governo Monti e dopo 17 giorni la manovra salva-Italia è arrivata. I più colpiti sono i cittadini con più basso reddito, e tra questi i lavoratori della scuola: colpiti in particolare dagli interventi sulle pensioni, dall’aumento dell’Iva, dall’introduzione dell’Ici sulla prima casa. Intanto in Italia continua a crescere il divario tra ricchi e poveri, che supera la media dei Paesi Ocse, mentre diminuisce la redistribuzione della ricchezza attraverso servizi pubblici come sanità e istruzione.

Smettiamo di parlare di discontinuità e cominciamo a praticarla
di Giovanna Lo Presti

Basta con i governi di nani e ballerine

Quando, negli ormai lontani anni Ottanta del secolo scorso, Rino Formica deprecava il craxismo bollandolo con l’efficace espressione “un governo di nani e ballerine”, non poteva immaginare quanto quelle parole sarebbero state adatte per l’Italia futura.

Il nostro Paese ha appena liquidato un governo di nani (metaforici, molti – reali, alcuni) e di ballerine. “Come donna mi fa orrore chi vende il suo corpo per ottenere profitto” diceva Carfagna, ex-ministro delle pari opportunità, sebbene lei stessa, qualche anno prima, ballasse discinta o comparisse in pose provocanti da calendari sexy; ed anche l’arcigna Brambilla si esibiva, non troppi anni fa, in look postribolare nella trasmissione “I misteri della notte”.

Siccome non è bello prendersela con le difformità fisiche né rinfacciare alle donne precedenti poco coerenti con il loro stato presente – quanti uomini politici hanno negli armadi ben più gravi contraddizioni! – limitiamoci qui ad onorare la chiaroveggenza di Formica.

Il governo del fare: danni per molti, nell’interesse di pochi

Bene, se ne è andato il governo di nani e ballerine. Ma, in onore alla memoria storica, di cui tutti lamentano la perdita, ricordiamoci ancora di qualche leit motiv che ci ha accompagnato negli ultimi tre anni. L’opposizione, ad esempio, ha continuato a dire che Berlusconi non ha governato, mentre il poveretto (Berlusconi) amava alla follia lo slogan del “governo del fare. Noi cittadini abbiamo assistito inermi alla disputa.

Come si possa aver sostenuto che Berlusconi non abbia “governato” ce lo dovrebbe spiegare Bersani, saggio capo dell’opposizione. E cosa crede Bersani, che il prossimo governo “politico” (lasciamo perdere l’attuale esecutivo di “tecnici”) adotti la pratica del “colpo di spugna” e si affretti quindi a cancellare i provvedimenti del “pigro” governo Berlusconi? Cosa crede la nostra esangue opposizione parlamentare, che la “riforma” Gelmini, la “riforma” Brunetta e il “collegato lavoro” spariranno come una bolla di sapone, che Marchionne e Confindustria torneranno sui loro passi? Aveva ragione Berlusconi, quando definiva il suo un “governo del fare”, cioè del “far male”, del far danno a molti nell’interesse di pochi.

Ma il nostro è davvero il Paese delle Meraviglie: non tanto perché popolato da creature bizzarre (e certo l’inquietante sorriso di Berlusconi qualche affinità con il sorriso del Gatto del Cheshire ce l’aveva) quanto perché popolato da milioni di credule Alici. Si è potuto persino sperare in Monti; certo il suo governo è assai distante, nella forma, dal Circo Barnum berlusconiano; ma la sostanza non cambia.

Un altro governo senza memoria né responsabilità

Non cambia la fascia di cittadini cui vengono richiesti i sacrifici, non cambiano le modalità per reperire i fondi necessari per la “manovra, non cambia la capillare diffusione di notizie false e tendenziose, atte a suscitare il consenso delle Alici di cui sopra. Tra Berlusconi che firma nel salotto di Vespa il Contratto con gli Italiani (ma com’è che Berlusconi non è stato allora sepolto e dissolto da una colossale risata nazionale?) e Monti che, nello stesso salotto, tratta dall’alto in basso il suo intervistatore e considera ineluttabili tutti i “sacrifici” richiesti dalla manovra c’è un’abissale differenza di stile, ma identità per quel che riguarda la capacità di raccontar frottole ai cittadini. Anche se “frottole” è una parola che sembra molto adatta allo stile esuberante e cialtrone dell’ex-premier e del tutto inadeguata per la severità del professor Monti.

Monti, però, ha dimostrato la stessa disinvoltura del suo predecessore nell’uso delle parole: ha definito “equa” una manovra sommamente iniqua. E piangano pure (ma che vergogna!) le ministre che vedono abbattersi sui pensionati a basso reddito la scure dei tagli! E ci raccontino pure la favola dell’aumento dell’età pensionabile (66, 67, 68 anni?) come indispensabile e necessaria misura per garantire il futuro dei nostri figli, ed abbiamo la sfacciataggine di dire (io l’ho sentito, in una autorevole tribuna televisiva) che è necessario che i nonni facciano sacrifici per i loro nipoti. La cosa importante è che il popolo italiano non ci creda e trovi la forza per esprimere un doveroso dissenso.

Berlusconi e Monti sono politici dell’hic et nunc; agiscono come se gli ultimi trent’anni non fossero mai esistiti, come se la responsabilità della situazione attuale non appartenesse a nessuno. Contro questa cattiva metafisica, che erge a giudici dei destini di intere popolazioni i Mercati Finanziari, è ora di ribellarsi. Se chi ci governa ignora opportunamente gli ultimi trent’anni, ricordiamoci noi, i governati, almeno i dati essenziali – ritorniamo a casa come Pollicino, recuperando la strada giudiziosamente segnata con le briciole, briciole formate da fatti che devono riuscire ad agire nella memoria collettiva.

La lotta di classe c’è già stata e l’hanno stravinta i capitalisti

Iniziamo dall’equità, tanto cara a Monti; è equo un Paese in cui il 10% della popolazione detiene più della metà della ricchezza della nazione? Certo che no, tanto più se, in un trentennio, 10 punti di PIL si sono spostati dai lavoratori ai detentori di grandi rendite. 10 punti di PIL sono una cifra enorme, che ha significato soltanto per l’orecchio assoluto di grandi imprenditori, banchieri, finanzieri; per tradurla in termini più comprensibili ai comuni cittadini, possiamo far riferimento alla stima riportata, nel 2007 (cioè in tempi migliori di questi) dal rapporto della Banca dei regolamenti internazionali.

A questo proposito Maurizio Ricci su la Repubblica (non su qualche foglio clandestino dell’ultra-sinistra), a maggio del 2008 aveva scritto un articolo che esordiva, brillantemente, con questa frase: “La lotta di classe? C’è stata e l’hanno stravinta i capitalisti”. E proseguiva:

“L’allargamento della fetta del capitale comincia subito dopo, nel 1985. Ma per il vero salto bisogna aspettare la metà degli anni ’90: i profitti mangiano il 29 per cento della torta nel 1994, oltre il 31 per cento nel 1995. E la fetta dei padroni, grandi e piccoli, non si restringe più: raggiunge un massimo del 32,7 per cento nel 2001 e, nel 2005 era al 31,34 per cento del Pil, quasi un terzo. Ai lavoratori, quell’anno, è rimasto in tasca poco più del 68 per cento della ricchezza nazionale. Otto punti in meno, rispetto al 76 per cento di vent’anni prima. Una cifra enorme, uno scivolamento tettonico. Per capirci, l’8 per cento del Pil di oggi è uguale a 120 miliardi di euro. Se i rapporti di forza fra capitale e lavoro fossero ancora quelli di vent’anni fa, quei soldi sarebbero nelle tasche dei lavoratori, invece che dei capitalisti. Per i 23 milioni di lavoratori italiani, vorrebbero dire 5 mila 200 euro, in più, in media, all’anno, se consideriamo anche gli autonomi (professionisti, commercianti, artigiani) che, in realtà, stanno un po’ di qui, un po’ di là. Se consideriamo solo i 17 milioni di dipendenti, vuol dire 7 mila euro tonde in più, in busta paga. Altro che il taglio delle aliquote Irpef”.

Questo, dunque, qualche anno fa: adesso le cose sono ancora peggiorate e la razza padrona e ladrona ha il coraggio di chiedere ulteriori sacrifici alla popolazione così abbondantemente taglieggiata negli ultimi decenni.

La scuola come la società

In ogni società la scuola è strettamente funzionale al modello sociale che la contiene. Come può essere la nostra scuola italiana, se non diseguale, classista, iniqua? Una scuola pessima per molti e buona per pochi – i figli della classe dominante. Ma questi, fra poco, non avranno più bisogno della scuola pubblica: stanno finendo i tempi in cui frequentare certi licei statali era considerato prestigioso anche per chi veniva dalla upper class. Resterà la scuola pessima per molti, ridotta ad un luogo in cui praticare la reclusione sociale dell’infanzia e dell’adolescenza che, in tristi e fatiscenti aule, cominceranno a piegarsi all’esistenza precaria che li attende – e a perdere la speranza. Per educarli ed istruirli ci saranno insegnanti sempre meno pagati, sempre meno motivati, sempre più vecchi.

L’ultimo, recente rapporto sulla scuola della Fondazione Agnelli si è occupato della scuola media di primo grado. Fra i non pochi fattori di sofferenza di tale segmento scolastico, veniva indicata l’età media degli insegnanti (52,1 anni), giudicata eccessivamente alta. L’auspicato svecchiamento del corpo docenti sarà ben difficile da realizzare, se la “riforma pensionistica” voluta dal nuovo esecutivo andrà in porto. Già oggi a scuola si può lamentare la perdita di una generazione di insegnanti: i pochi “giovani” sono preoccupati – e giustamente – dal loro stato di precarietà lavorativa, non riescono ad avere quella continuità che può loro garantire di vedere i frutti del loro complesso lavoro, subiscono processi di formazione (vedi il disastro delle SISS) improvvisati ed omologanti.

Tutto questo avviene in un periodo in cui, nelle aule, dovrebbero insegnare adulti ben strutturati culturalmente e didatticamente, per far fronte a studenti su cui la pressione del mondo esterno alla scuola è fortissima e che sempre più di frequente – e in età sempre più precoce – mostrano resistenze nei confronti di ogni tipo di disciplina.

Ma la scuola vera non interessa chi ci governa

Da anni i nostri burocrati ministeriali producono le loro trite riflessioni a partire da una “scuola virtuale”, che nulla ha a che fare con la realtà del mondo scolastico. Ecco cosa dice, in una recente intervista, il sociologo Luciano Gallino sui tagli alla scuola:

I tagli alla scuola in tutte le sue forme e livelli, dalle materne all’università, sono uno tra i provvedimenti più insensati che si potessero immaginare per far fronte ai problemi dell’occupazione giovanile e del rilancio dell’economia. Nel giro di pochi anni si avranno centinaia di migliaia di ragazzi meno formati e meno istruiti di quanti ne avremmo avuti senza i tagli “lineari”. Bisogna dire che altri paesi, la Germania o il Regno Unito ad esempio, dove pure hanno ridotto le risorse destinate allo Stato sociale, hanno evitato di metter mano ai fondi per la scuola.

Da noi, invece, comunque lo si guardi, si tratta di una sorta di suicidio nazionale e, al tempo stesso, è un attacco – ho sentito uno storico definirlo un genocidio culturale – nei confronti delle nuove generazioni.

Nella stessa intervista Gallino afferma anche che ci sarebbe bisogno, in tutti i campi, di maggior pensiero critico. Nulla di più giusto; soltanto un Paese popolato da Alici nel Paese delle Meraviglie può credere alla favola del lavoro flessibile (ormai abbiamo le prove: si tratta solo e soltanto di lavoro precario e dequalificato), ai piagnistei di Marcegaglia che vorrebbe quella flessibilità ancora maggiore, alla vergognosa bugia secondo la quale per aumentare l’occupazione bisogna aver la possibilità di licenziare, alla delirante idea secondo la quale per il bene dei nostri figli dobbiamo lavorare ben oltre i quarant’anni.

Smettiamo di parlare di discontinuità e cominciamo a praticarla

Ognuno di questi punti può essere facilmente smontato, dati alla mano. La razza padrona ci ha impoveriti e non è ancora sazia: ci vuole ancora più precari, più poveri, più ignoranti. E’ necessaria discontinuità: ma smettiamo di chiedere discontinuità a chi ci governa e cominciamo a praticarla.

E’ tempo di dire basta ad ogni acquiescenza, di finirla di credere che chi ha un lavoro stabile debba sentirsi in colpa verso chi ha un lavoro precario; non bisogna più accettare supinamente i molti sacrifici che da troppi anni ci vengono richiesti.

Bisogna esigere equità sociale – Monti forse preferisce ignorarlo, ma il nostro Paese occupa uno dei primi posti nella graduatoria mondiale per la diseguaglianza economica fra i cittadini. Però, visto il mestiere che fa, dovrebbe sapere che su quella diseguaglianza si innestano tutte le altre.

I rimedi a questo stato di cose sono evidenti: innanzitutto redistribuzione della ricchezza (programma che i nostri Robin Hood al contrario hanno praticato vittoriosamente e vogliono continuare a praticare; è ora di imitarli!), e poi lavoro dignitoso per tutti (basterà pretendere il rispetto della nostra Costituzione), e poi, per favorire la creazione di posti di lavoro reali, pensionamenti possibili – e non punitivi – dopo i trentacinque anni di contributi e riduzione dell’orario.

E poi ancora, si deve pretendere che la razza padrona ci restituisca il mal tolto e che l’assistenza, la Sanità e la Scuola pubblica siano adeguatamente sostenute dallo Stato. E l’Europa? E il mondo? E i mercati? Impariamo da Bauman: lo spostamento in luoghi sempre più distanti e irrangiungibili dei centri di decisione politica è il modo più semplice e più comodo per frenare la volontà di rivolta locale della popolazione. Cominciamo, perciò, a prendercela con chi ci governa.

* * *

Quello che non c’è
di Alessandro Gilioli

Quello che non c’è, prima di tutto, è una patrimoniale. Per carità, i patrimoni non si toccano, in questo paese dove il cinquanta per cento della ricchezza è in mano al dieci per cento dei cittadini.

Quello che non c’è è un’imposta sulle attività finanziarie: e suona patetico gabellare per tale (come ha fatto Grilli) l’aumentino del bollo di Stato sul conto titoli.

Quello che non c’è è un taglio alle spese militari: continuiamo a comprare armi come se stessimo preparandoci a un’invasione aliena.

Quello che non c’è è un passo qualsiasi per abolire i privilegi della Chiesa, dall’Ici in giù: e ci mancherebbe, con l’asse cattolico che ha portato Monti a Palazzo Chigi.

Quello che non c’è è un taglio vero ai privilegi e alle spese della politica: unico punto pervenuto, il dimagrimento delle province, per il resto ciccia.

Quello che non c’è è un passo deciso verso la banda larga e la green economy: solo belle parole e vaghi propositi.

Quello che non c’è è il coraggio di aumentare l’Irpef almeno a chi prende più di 100 mila euro l’anno, e che se pure ne scuce un paio alla comunità in crisi non si suicida di certo.

Quello che non c’è è una severa legge penale tributaria, davvero curioso per un governo i cui membri hanno tutti studiato o lavorato negli Usa, dove le pene per gli evasori fiscali arrivano a 15 anni.

Quello che non c’è insomma è il coraggio di cambiare passo, di mostrare una nuova visione, una cultura diversa, un’ipotesi alternativa di futuro.

E quello che non c’è mi sembra, purtroppo, più importante e brutto di quello che invece c’è.
(da qui)

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Conflitti d’interessi, ancora e sempre
di Piergiorgio Odifreddi

Non c’era dunque bisogno di chiedere piangenti sacrifici ai cittadini normali. Bastava imporli sorridenti a preti, banchieri e militari, per ricavare molto di più non solo in termini finanziari, ma anche di credibilità e di equità. Ma per poterlo fare, al governo ci sarebbero dovuti essere cittadini normali, e non bigotti, banchieri e militari, in continuità con la politica dei conflitti di interessi che ha caratterizzato l’ultimo ventennio.
(vedi qui)

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In cattedra a settant’anni
di Pippo Frisone

L’ultima ricerca della Fondazione Agnelli (2008/09) stima a 50 anni l’età media degli 840mila docenti italiani. Nella primaria l’età media è di 47 anni, nella secondaria di 51 anni.

Oltre i 50 anni è il 55% dei docenti in Italia contro il 28% in Spagna, il 30% in Francia,il 32% nel Regno Unito mentre in Germania è il 47%…

Ma le novità più sconvolgenti per i docenti sono quelle che sta predisponendo la neo ministra del Welfare Fornero. Per andare in pensione nel 2012 è necessario aver compiuto 63 anni mentre si potrà continuare a lavorare fino a 70 anni. Per chi andrà in pensione prima dei 65 anni disincentivi, mentre verranno premiati quelli che restano dopo i 65 fino ai 70 anni. Per tutti, anche per quelli che avevano maturato il retributivo, è previsto il passaggio dal 1.1.12 al sistema contributivo.

Quanti si tratterranno in servizio fino a 70 anni in vista degli agognati premi e incentivi? Quanti ce la faranno ancora a salire in cattedra dopo 40-50 anni di servizio?

Provate a immaginare una maestra di scuola materna o di scuola primaria a 70 anni con bambini di 3, 6 o 10 anni, con un divario d’età di oltre 60 anni!!! Vengono i brividi solo a pensarci.
(vedi qui)

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La settimana scolastica

Abbiamo aspettato di vedere all’opera il governo Monti e dopo 17 giorni la manovra salva-Italia è arrivata (qui il testo completo, qui in sintesi).

I più colpiti dai provvedimenti sono i cittafini con più basso reddito, e tra questi i lavoratori della scuola: colpiti in particolare dagli interventi sulle pensioni, dall’aumento dell’Iva, dall’introduzione dell’Ici sulla prima casa, dall’Imu sulle case in affitto i cui proprietrai scaricheranno i costi sugli affittuari.

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha firmato il decreto, che questa settimana inizierà l’iter parlamentare, Cgil, Cisl e Uil hanno indetto per lunedì 12 dicembre uno sciopero unitario dei lavoratori del settore privato; sempre il 12 scioperano i Cobas, mentre per lunedì 19 dicembre è indetto uno sciopero dei lavoratori della conoscenza e del pubblico impiego e altri scioperi sono in programma da parte dei sindacati di base.

Anche i vescovi della Cei sono critici:

«poteva essere più equa, si è fatto ancora poco. Si sono fatti passi ma potevano essere ancora più equanimi… si poteva fare di più sui redditi alti».

C’è chi ironizza e chi come Alessandro Gilioli elenca ciò che manca, che è tanto (a es. patrimoniale, tagli alle spese militari e ai privilegi della politica e della Chiesa), al punto che persino il cardinale Bagnasco dice che la Chiesa è disposta a discutere sull’Ici. Soprattutto il fatto che la Chiesa e alcuni enti siano esenti dal pagamento dell’Ici scatena discussioni e una petizione; proteste scatena pure il fatto che Berlusconi e altri operatori si arricchiranno appropriandosi delle frequenze della tv digitale gratis.

Intanto in Italia continua a crescere il divario tra ricchi e poveri, che supera la media dei Paesi Ocse. Ad affermarlo è l’Ocse in un rapporto che mette in evidenza la crisi dei servizi pubblici come strumento di redistribuzione del reddito. E’ diminuita la redistribuzione attraverso i servizi pubblici, come sanità e istruzione, che, se nel 2000 contribuivano per un quarto a ridurre la disuguaglianza, oggi sono scesi a circa un quinto.

La disoccupazione giovanile tra i 19 e i 24 anni è in crescita (29,3%) e lentamente sta arrivando a superare la quota del 30%. Se leggiamo con più attenzione i dati sulla disoccupazione, notiamo che, se è vero che i giovani sotto i 24 anni sono senza lavoro, è altrettanto vero che nella fascia 25-34 anni chi non studia è perduto. Fermarsi al diploma significa essere disoccupati per il 13,3%. Sono gli under 35 senza studio e senza titoli a soffrire di più: uno su quattro cerca un lavoro che non troverà.

La funzione che nonostante tutto continua a essere svolta dalla scuola è confermata dall’Indagine nazionale sulla condizione dell’infanzia dell’adolescenza di Telefono Azzurro ed Eurispes, secondo cui la maggior parte degli studenti coltiva sentimenti positivi nei confronti della scuola.

La scuola comunque continua a essere lontana dagli obiettivi. Secondo il rapporto Censis, mentre l’obiettivo europeo è di limitare al 10% la dispersione nel 2020, in Italia i 18-24enni con la sola licenza media non inseriti nei percorsi formativi sono ancora il 18,8%. In particolare si nota che i neoiscritti ai professionali sono scesi del 3,4%, mentre i frequentanti dei centri di istruzione degli adulti sono scesi del 5,5% tra il 2006-07 e il 2009-10: bisogna sottolineare che tra il 2009 e il 2011 gli interventi per l’istruzione degli adulti sono diminuiti del 72%, da 16milioni a 4,4 milioni. Dal Parlamento europeo arriva la ricetta contro gli abbandoni scolastici nell’Unione: obbligo d’istruzione a 18 anni, scuole di seconda opportunità, coinvolgimento di enti pubblici, servizi sociali e sanitari.

Anche nella scuola sono presenti in modo drammatico i divari di apprendimento determinati dall’origine socio-culturale degli studenti: esplodono nelle scuole medie e diventano irrecuperabili alle superiori, generando la grave piaga dell’abbandono. Lo dicono le ricerche realizzate dalla Fondazione Agnelli e rese pubbliche nel suo Rapporto sulla scuola in Italia 2011.

Il peggioramento delle condizioni economiche e sociali fa diminuire infatti la percentuale degli studenti che passa dal primo al secondo ciclo di istruzione (nel 2003 era del 63% mentre nel 2009 è sceso al 54%) e degli accessi all’università, perché le famiglie meno abbienti non sono più in grado di sostenere i costi dell’istruzione e l’aumento delle rette universitarie.

Il Rapporto della Fondazione Agnelli rivela, inoltre, che gli insegnanti della scuola media sono i più anziani d’Europa (età media, oltre 52 anni, con moltissimi concentrati nella fascia intorno ai 58 anni) e i meno soddisfatti della loro preparazione complessiva, oltre a essere coinvolti nel più vorticoso turnover di cattedre di tutta la scuola italiana: 35 docenti di scuola media su 100 non insegnano l’anno dopo nella stessa scuola.

Tra i rimedi proposti: un forte orientamento alla personalizzazione dell’insegnamento da realizzarsi attraverso un’estensione del tempo scuola con una vera “scuola del pomeriggio” (mentre si è smantellato il tempo pieno anche alle elementari!); maggiore attenzione alla progettazione comune degli insegnanti; un arricchimento della “cassetta degli attrezzi dei docenti che permetta loro soluzioni didattiche che integrino o sostituiscano la lezione frontale.

E’ per questo motivo che in una Lettera aperta al ministro Francesco Profumo Vincenzo Pascuzzi consiglia fra l’altro come preferibile ridurre la dispersione anziché affidarsi all’Invalsi.

Del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo al momento si hanno soprattutto dichiarazioni: una è questa, secondo cui la “riforma” Gelmini non sarà cambiata ma portata a compimento:

ho imparato una cosa: quando si inizia un lavoro è indispensabile far funzionare quel che c’è. La riforma ha aspetti positivi e altri meno, ma questo Paese non può campare in eterno con rivoluzioni e fasi transitorie. Ha bisogno di stabilità.

Un fatto è invece questo, che denuncia un nuovo conflitto di interessi: Elena Ugolini, preside del Liceo privato paritario Malpighi di Bologna, è stata nominata sottosegretaria all’istruzione.

Non si era mai visto in tutta la storia repubblicana un esponente della scuola privata al governo dell’istruzione pubblica. La scuola paritaria privata dalle elementari alle superiori accoglie solo il 5,5 % degli studenti italiani. Il ministero della Pubblica Istruzione, come è noto, ha tra gli altri il compito di vigilare sul funzionamento delle scuole paritarie private. Come è possibile allora che a sovrintendere a questo compito sia chiamata, nel ruolo di Sottosegretaria, una dirigente di una delle scuole da controllare?

Un altro elemento di continuità è dato dai pronunciamenti del ministro a favore di un sistema nazionale di valutazione (SNV) in fieri, articolato su tre “gambe” (Invalsi, Indire, Corpo Ispettivo), da una ulteriore valorizzazione dei contestati test Invalsi e dalla ventilata reiterazione della “sperimentazione del merito” proposta da Maria Stella Gelmini e che l’anno scorso ha coinvolto 33 scuola, su cui l’Ocse ha avuto elogi ma anche osservazioni critiche:

- la mancanza di standard professionali di riferimento, sulla base dei quali giudicare un buon insegnante;

- l’eccessivo peso dato ai fattori contestuali, per cui resta il dubbio di un approccio troppo “localistico”;

- lo spostamento verso una immagine “solitaria” del docente, quando le buone imprese di insegnamento sono certamente collaborative;

- il premio alla carriera prestigiosa (tradizionale?) piuttosto che a giovani talenti emergenti, con scarsa visibilità per gli elementi di effettiva innovazione nell’insegnamento;

- la scarsa ricaduta sulle dinamiche didattiche dell’intera scuola, perché è importante per i docenti avere un riscontro sulla qualità del loro lavoro (la ricerca internazionale Talis, 2008, lo testimonia).

Sul fronte dei precari, e del progettato TFA (Tirocinio formativo attivo), tutto fermo fino a quando il ministro non incontrerà i sindacati. Intanto a Udine nuova vittoria in tribunale di docenti precari, che si sono visti riconosciuti gli scatti stipendiali.

Anche sul fronte del concorso per dirigenti scolastici arriva una condanna per le disposizioni dell’ex ministro Gelmini: è stato respinto dal Consiglio di Stato il ricorso del ministero dell’Istruzione contro il pronunciamento del Tar del Lazio che aveva ammesso al concorso anche docenti non di ruolo. E’ l’ennesima condanna di un ministero che ha governato disconoscendo le legislazioni vigenti.

* * *

Su ForumScuole tutti i tagli all’istruzione per il 2012.

Su ReteScuole le iniziative legislative estive del governo che riguardano la scuola. Su PavoneRisorse una approfondita analisi delle ricadute sulla scuola della finanziaria di agosto 2011.

Il decreto Brunetta qui e il vademecun della CGIL sulle sanzioni disciplinari qui.

Tutte le “riforme” del ministro Gelmini.

Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.

Altre guide alla scuola della Gelmini qui.

Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.

Manuali di resistenza alla scuola della Gelmini qui e qui.

* * *

Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.

Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.

Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Gilda, Cub.

Finestre sulla scuola: ScuolaOggi, OrizzonteScuola, Aetnanet. Fuoriregistro

Spazi in rete sulla scuola qui.

(Vivalascuola è curata da Nives Camisa, Giorgio Morale, Roberto Plevano)


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