Vivalascuola. Cervelli in centrifuga

Creato il 21 febbraio 2011 da Fabry2010

Cominciò con il preside-manager della scuola azienda, adesso c’è il preside-sceriffo della scuola-caserma. Così lo vuole il governo: non deve criticare la “riforma”, deve sanzionare chi la critica, deve fare il portaordini del ministro. Nel futuro potrebbe essere lui a nominare i docenti per chiamata diretta. Super poteri anche ai rettori. Addio collegialità nella scuola?

Il D.S. (Diretto Superiore, Divino Supervisore, Demiurgo Serenissimo)
di Lucia Tosi

“Ho capito perfettamente… Ho capito! Solo che può dirmi le stesse cose senza maltrattarmi!”
“Io… la maltratto?”
“Sì, proprio! Lei ha un tono, un atteggiamento… non sono rimbambita, almeno non di colpo, nelle due ultime ore, voglio dire”.
“Va bene. Allora provi a pensare lei a dei criteri per stabilire le precedenze per quella cosa”.

La cosa a cui avrebbe dovuto pensare consisteva nella distribuzione del fondo d’istituto, chiamato familiarmente, ma forse anche ufficialmente (mai che le riuscisse di informarsi su queste cose), fis. Un fischio, un sibilo: fis! O l’abbreviazione di una parola più lunga, per esempio fiscale, fisico, fistola, fisiologico, fisioterapia. Le ultime tre si addicevano particolarmente a quella commediola, a quel balletto di tarantolati, alla tiritera di tutti i santi benedetti anni da quando aveva avuto la malaugurata idea di mettersi a insegnare.

Da sempre pochi e cattivissimi quattrini: ormai ridotti a briciole. S’era arrivati alla patologia del sistema. Il grande corpo era innegabilmente malato. Una febbriciattola, all’inizio, niente di che. Qualche pustoletta, qualche chiazza pruriginosa. Adesso c’erano bubboni che spuntavano un po’ ovunque: tra i colleghi, per esempio. Tranne i soliti due o tre viscidoni regolamentari (come in un condominio: trovarne uno che non abbia almeno un inquilino litigioso, spione, dispettoso, pettegolo), con gli altri c’era sempre stata collaborazione, una certa sorniona complicità: io conosco i tuoi difetti, tu sai i miei, ma siamo persone di buon senso.

Si lavorava volentieri insieme, ci si scambiava esperienze (cioè: lei regalava in giro verifiche, tracce di compiti da tre pomeriggi di lavoro, ipotesi di valutazione, percorsi; gli altri le ritornavano, dopo qualche tempo, i suoi vecchi lavori ritoccati, come al fotoshop: da non credere). Ma da un po’ c’era maretta, sembrava che agli ultimi arrivati certe pratiche consolidate – squadra vincente non si cambia – non andassero bene. Uno aveva persino bofonchiato in una riunione di dipartimento “eh, ma io ho fatto la ssis”, al che lei aveva risposto “ah, siiiiss?”. Finita là.

Alla ripresa dell’anno scolastico, battibecchi sui corsi di recupero, sui progetti, sul fatto che “c’è sempre qualcuno che vuole fare tutto lui”. Fate vobis, che a me non me n’è mai importato di tutta ‘sta manfrina. Però fate: non venite poi a piangere che il tempo che i figli che i compiti da correggere che i troppi pomeriggi. Buon divertimento.

Si sentiva gli occhi addosso, come un calore sul collo che proveniva da dietro. Stava litigando con il preside! Che poi: Preside non era più il titolo giusto. Se doveva parlargli non sapeva se poteva ancora dire scusi, preside. Mi scusi, Dirigente, signor Dirigente, signor D.S., ex-Preside, dottor… chissà come si regolavano gli altri. Sentiva quel calorino sulla nuca impastato dell’ironia dei giovincelli, della mala sopportazione delle beghine, delle occhiate stupefatte da parte dei colleghi di vecchia data.

Sì, stava inequivocabilmente litigando. Era come essere uscita sul pianerottolo di casa, richiamata all’improvviso dallo scampanellare astioso che solo il polpastrello ricurvo di una mano di vecchia strega poteva produrre: quello della vicina sottostante, sempre a caccia di trepestii, musiche, martellamenti, presunti spostamenti di mobili, per attaccar briga. Di colpo la filosofia del condominio, persino con lo stesso raschio nella voce, le battute acide anche in quell’aula: e in un uomo, per giunta.

Non capiva perché quel tale sig. Precisini, nei suoi abiti impeccabili di grisaglia, suo coetaneo suppergiù, ma con quel fare sbrigativo, che voleva essere giovanile, dinamico, efficiente, da perfetto manager, doveva sempre trattarla con sufficienza davanti a tutti. In ufficio, le rare volte che gli aveva rivolto qualche specifica richiesta, era tutt’altro soggetto. Gentile, sorridente, conciliante, apparentemente interessato alla didattica, persino informato sulle sue classi. Mostrava di apprezzare il suo stile, la sua severità – ma che idiozia – mista a gusto per il gioco.

Ma lei non si faceva incantare. Evitava di pascolare dalle parti della Presidenza, come vedeva fare ai soliti pecoroni: ma cosa avevano da dirgli tutti i santi giorni? “Ho sbagliato a mettere il voto nella casella, come faccio a correggere?” le era toccato in sorte di sentire. Come fai a correggere? Come fai a correggereeeeee? Da brava, tirati uno striscio di penna, eliditi, sparisci! Cose da pazzi. Quaranta-cinquantenni lagnosi, spesso incapaci di risolvere infinitesimi conflitti quotidiani nelle classi senza ricorrere al Dirigibile: ma questa di non saper come gestire un registro però era grossa. E poi dicono quello che dicono di noi: per forza!

Non che il rapporto con il D.S. (Diretto Superiore, Divino Supervisore, Demiurgo Serenissimo) fosse mai stato idilliaco. Ma con questo era precipitato ai minimi storici. C’era, intanto (in primis, come scrivevano gli studenti per darsi un tono: e lei cassava), quell’ambiguità che glielo aveva reso antipatico nel rapido volgere di un anno scolastico. “Sì, abbiamo capito prof”. E le toglieva la parola.

I primi tempi si era chiesta se per caso fosse diventata verbosa e sproloquiante: tutto era possibile. La miseria dei tempi, la riforma, i ragazzi (che non ci sono più quei begli studenti di una volta: ti ricordi?), le colleghe nuove (nuove, non giovani) dal trillo facile in presenza del primo paio di pantaloni non ammogliato che capitasse a tiro in aula insegnanti: non era semplice muoversi in quel microcosmo transgenico, mutato e mutante, liquido, senza un qualche disagio. Lei, al confronto, sembrava essere stata allevata a Sparta: per età e atteggiamenti. Le parole chiave ora erano flessibilità, condivisione, circolarità dell’informazione, accoglienza. Per ognuna di esse aveva pronta la sua bella parodia: ma ormai poteva recitarsela solo allo specchio, neanche le altre vegliarde avevano più tanta voglia di scherzare. “Ma guarda come ci siamo ridotti”.

La seduta venne tolta alle 18.05, se ne andò a casa commentando stancamente con una collega sfatta quanto lei. “Questo qui ha reso tutto un pasticcio: mai avuto problemi con gli studenti e i loro genitori. Chissà come mai sono aumentate vertiginosamente le occasioni di malinteso, di conflittualità, le lamentele sui voti troppo bassi, sui troppi compiti a casa, sul fatto che non siamo mai contenti, e che ‘sti poveretti avranno diritto ad avere una loro vita sociale!”. “Te la dò io la vita sociale! Questi socializzano tutto il tempo, in classe e a casa, altroché!”. Vecchie babe. Forse era diventata anche lei una vecchia baba, forse, con qualche colpettino all’ingranaggio, con un aiutino all’etica di quei tempi infami, procedendo su quella china si sarebbero bellamente disfatti dei vecchi prof per decreto: via nel fornetto, professore vecchietto, sennò addò te metto?

Lui, il D.S., tutto fuorché Democratico e tanto meno di Sinistra, aveva la rara capacità di farla sentire un’imbecille. La Decana: seh, decana: nel senso della pera, una pera di professoressa. Lui no: non se lo filava nessuno, tutti a mormorare negli angoli, e che palle quest’uomo, ma andava liscio ch’era un piacere. Funzionava la segreteria: e ciò bastava. Tutte le donne del Presidente! Di quei tempi dire tutte le donne del presidente non suonava più come un’allusione al film di Pakula, chi ci pensava più: il pensiero correva più in basso, molto più in basso: ma rendeva quasi meglio l’idea di un interessato asservimento che si era di recente strutturato anche in quegli uffici. Anche questo un caso? Si venivia di continuo chiamati in segreteria per firme, circolari, cartame vario, pagelline, voti, letterine per i bimbi cattivi e accolti con un’alzata di sopracciglio. “Anche a te?” “Sì, anche a me.” “Ah, ecco non me lo sono sognato, non è paranoia”. Carte carte carte: il record delle circolari che non circolavano, ma s’arenavano, tra la presidenza e la portineria.

Non che prima di quest’ultimo Deregolato le cose fossero state una pasqua. C’era stato Zio Billy. Zio Billy! A distanza di anni, l’omino coi baffi non era ricordato come il Preside, prof. ***, ma zio Billy.  Era stata lei ad inaugurare il nomignolo. Costui sproloquiava per ore, ricordando, nella modalità del suo sragionare, un certo assessore apparso a Zelig. Saltava di palo in frasca, non si capiva mai chi faceva cosa, chi era il soggetto, quale il verbo. L’accento era il più profondo e polentesco accento del Nord: con la polenta in bocca, appunto.

Trovando una certa resistenza (all’epoca del Pleistocene, quattro anni prima per intenderci, resistere all’azione del preside era cosa normalissima, pleonastico il rilevarlo) a far passare qualche provvedimento lunare (dal Ministero al preside e quinci direttamente sulla tavola, cioè: sulla scrivania, dei prof), trovando egli un certo grado di irrigidimento nei professori, tuonò che insomma, per dire, non è che, insomma così, volendo intendere, anche voi professori, diceva giusto ieri un genitore, nevvero, i ragazzi. Tuonò che ohi ohi! che poi vi lamentate che gli studenti, ma anche voi, insomma così. Insomma: ero bambino che mio padre contadino mi disse se non vai bene a scuola vieni nei campi. E io mi impegnai perché sentivo, dico sentivo dentro, che ero nato per fare il preside! E pertanto qui comando io e si fa come dico io!

Dixit. E lei commentò per lui con una specie di imprecazione sentita in un’osteria di campagna: un eufemistico Zio Billy! Mancava poco che quelli delle file vicine cadessero dalle sedie per il convulso.

Cominciò forse con lo zietto il tracollo di ogni fiducia e collaborazione con i D. S. Per costui non era importante la segreteria, bensì lo erano i genitori e il Coniglio d’Istituto. Ah! Per questi due soggetti avrebbe sacrificato sul suo altare privato tre o quattro di quelle vipere tra cui lei! Lei, che se lei è una persona forte io lo sono di più! Non si metta contro di me! A che proposito? I genitori, i poveri ragazzi. Lei me li promuove, sissignora, non mette tutti quei quattro in italiano scritto, ha capito? No, non capisco. Lei mi promuove i ragazzi, mette cinque, gli facciamo il suo bel corso di recupero estivo che sono arrivati i soldi e non mi distrugge la terza. Io distruggo cosa? E la matematica? E l’inglese? A quelli ho già parlato, qui comando io, non crederete di distruggermi una terza.

Erano ventisei, zio Billy! Con tutte le riunioni, i consigli straordinari, l’appoggio spudorato ai genitori, suoi amici personali che non perdevano occasione per umiliare i professori, gli alunni arrivarono in tredici in quinta. Sicut erat in votis.

Più indietro nel tempo un Preside meteora: un anno, tre collegi di un’ora. Acclamato dalle folle, portato in trionfo. Peccato che devastò il corso bilinguista che funzionava a meraviglia con francese-inglese e inglese-francese per inserire il tedesco che non lo voleva nessuno (scoprì in seguito che la moglie del Preside insegnava tedesco). Il bilinguismo si ridusse ad una sola classe e pure stentata. Ma il preside meteora intanto veleggiava per l’alberghiero, o l’agricoltura, o i meccanici. Si aspettavano di udire racconti di lavande gastriche, di cereali transgenici coltivati illegalmente, di automobili senza ruote e senza volante, perché perdersi dietro a insignificanti dettagli? Simpatico, leggermente iperattivo, con tendenza al genere Demolition man, cacciatore di incarichi viciniori, ma simpatico.

Più indietro ancora figure pallide di meri fedelissimi lacchè: fino ad arrivare a lei, ad essa. Sotto il cappello, niente. In epoche non ancora del tutto sospette, ma già abbastanza compromesse, una nana, per giunta malefica, sul genere divide et impera, non induceva tuttavia troppo facilmente ironici pensieri solo in quanto bassottina. Riceveva nel suo studio che era come il salotto buono di casa sua. Una specie di reine fainéante, che se un pomeriggio veniva uno scrittore famoso, un bocconiano, un magistrato, un parlamentare dell’antimafia, quello che oggi insidia la poltrona al PD (loro sì, ex-DS), la mattina non la vedevi ((in ogni caso era quasi impossibile vederla, data la bassitudine): era dal parrucchiere a farsi i boccoli, a farsi, dal suo punto di vista, “bella”. Pregare però iddio che non aprisse bocca alla conferenza, quello che amava chiamare, il suo salotto letterario con la boccuccia a cuore. Qualcuno le diede buca, ma lei niente, sempre alle calcagna di qualche filosofo. Aveva una predilezione spiccata per i filosofi, per uno della scuola in particolare. Non funzionava quasi niente sotto il suo interregno: distribuiva brioches, lei, al posto del pane.

Risalendo ancora più indietro nel tempo: è mai possibile? Un Dirigente serio, amabile, corretto, che ispirasse fiducia, che girasse tra i banchi, che ti chiamasse per scambiare due chiacchiere, non per farti il predicozzo, per tormentarti, che non facesse solo il passacarte (o il fermacarte, formato mignon e attitudine al dolce far niente permettendo): ci sarà pure stato.

Dalla nebbia, le giunge l’eco di una tranquilla parlata triestina, il sentore di una pipa: “Mi piaceva insegnare, sai? Le nostre materie sono le più belle”. “E allora, perché uno decide di fare il Preside?” “Bella domanda! Nel mio caso, due possibilità: due figli all’università, e dunque. Oppure perché mi sono improvvisamente rincoglionito”. “?...” “Credo che sia la seconda che ho detto”.

* * *

La nostra colonna portante
di Alessandro Cartoni

Caro diario,
insomma a me piace anche così. Con quell’aria un po’ trasandata, un po’ bohémienne, come dice la Rina la collega di francese. Anche quando porta le scarpe da tennis sui pantaloni a coste e quella borsetta finto Adidas che si tira appresso dagli anni ’80. La prima volta che l’ho visto, così mite e quasi bassotto, così radicalmente fuori moda, mi era parso ridicolo. Ma poi ho scoperto tante cose di lui. Ammicca un po’, la Rina, quando ne parlo e alla fine cambia discorso. Del resto la Rina ha cinquantacinque anni, quindi non è che possa darsi troppo da fare, tantomeno con lui che è così affascinante.
Io però non voglio fare la pettegola, non mi interessa urlare ai quattro venti queste cosucce mie. Il problema è che a scuola non ne puoi parlare davvero con nessuno.

Ma almeno c’è lui. Chiamarlo «collaboratore del dirigente» mi pare un po’ offensivo. Anzi è del tutto offensivo perché Mauro – è proprio un bel nome vero? – dicevo Mauro non è nemmeno il vice, è il «secondo collaboratore», c’è scritto proprio così, me lo ha fatto vedere lui, sulla lettera di incarico. Insomma sarebbe il vice del vice. Una cosa strana. In ogni caso se non ci fosse, l’istituto andrebbe a rotoli, di questo sono convinta. “La nostra colonna portante” lo ha definito l’altro giorno il preside in collegio e non aveva mica torto. Poi però ha abbracciato con uno sguardo tutta la platea e ha aggiunto, “anche se ci costa un po’”. Che serpente, il dirigente. Mauro invece che gli stava accanto non ha fatto una piega e io lo avrei abbracciato all’istante per questa sua forza di spirito.

Nel frattempo per tutto il collegio si rincorrevano voci di ogni tipo. Io stavo in mezzo e non potevo non sentirle le accuse infamanti. Quello di cui parlavano non era il collega che conosco io ma una specie di mostro a metà tra un gerarca nazista e un ladro dalle mani bianche. Erano le solite psicopatiche a dirle certe cose. Ma le conosciamo tutti “le brigatiste”, è proprio a queste che Brunetta dovrebbe togliere il posto, non a gente come Mauro che dà tutto per la scuola.

Come fai a non raccogliere mai le provocazioni? Ad essere sempre così sereno?” gli ho chiesto indignata appena è finita la riunione. Mauro mi ha guardato negli occhi, e quello sguardo mi ha proprio scavato dentro, sì certo anche in quelle parti laggiù, dicevo mi ha guardato negli occhi e poi ha sussurrato “quel che piace al mondo è breve sogno!

Bellissima…” ho esclamato io in estasi, “chi è?” “Lo conosci Cavalcanti vero?” Poi ha aggiunto “scrive come un orientale…” Non ho capito bene a cosa si riferisse. In ogni caso con questa bellissima frase sono tornata a casa. E non ho più smesso di pensare a lui.

Caro diario
Ce ne fossero di collaboratori di questo tipo. Invece la gente a scuola pretende solo, sta sempre lì a cianciare di diritti e ti riempie di merda quando gli fai del bene. Quello che capita a Mauro praticamente ogni giorno. Io mi domando come faccia a sopportarlo. Fortunatamente io e lui abbiamo la nostra isola che nessuno ci toglie. Un’ isola spirituale, una grande parentesi in cui viviamo protetti dallo sconforto e dall’invidia che regnano dappertutto.

La mattina quando entra in sala prof ha sempre parole carine per me. “Sei bellissima… con quel foulard” mi dice, oppure “il tuo sorriso è l’unico raggio di sole qua dentro”. Meraviglioso, è davvero meraviglioso, perché sa sempre come farti sentire al centro di tutto. Altro che cinquantenne. Brizzolato lo è di certo ma con quel brio del ragazzino che fa tutto per gioco e nulla con sforzo.

Per esempio a metà mattina quando si mette a disposizione per «l’aula di ascolto» e in poco tempo si forma una fila lunga lunga che fa morire di gelosia la psicologa dell’ASL. Lui li capisce i ragazzi soprattutto quelli difficili che da noi sono tanti. Quando escono dalla seduta di ascolto hanno gli occhi lucidi e sono, come dire, rappacificati con tutto. Non so come faccia, è una specie di mago. Li incanta, li strega a suo modo, tira fuori da loro tutte le cose migliori che tengono sempre nascoste. Quando esce anche lui spesso li saluta con una pacca sulla spalla e poi aggiunge “vi aspetto in palestra mi raccomando”. E’ un’altra sorpresa delle sue. Non pensavo che facesse sport con quell’aria un po’ da pesce lesso che io adoro.

L’arcano però si svela qualche giorno fa per caso. Diciamo anche che è lui a darmi la dritta quando dichiara sovrappensiero “qua mi ci vorrebbe un orario leggero”. Lo guardo stralunata “e per fare cosa? Non hai l’esonero parziale?” E lui “ma per la palestra”. Lo fisso interdetta perché non capisco proprio. Si mette a ridere col suo modo sbarazzino, si tira i capelli indietro, poi mostrandomi i denti bianchissimi mi dice: “ma cosa hai capito? Sono io che ho la palestra”. Rimango di stucco poi lui schernendosi: “Sono un maestro di yoga!” D’istinto mi porto la mano alla bocca. Noooo, ho pensato, non può essere. Io che adoro la meditazione! E invece era proprio così. Ecco adesso mi spiego tante cose, il fascino, la calma, ma soprattutto quell’aria distesa che lo circonda sempre. E’ come se procedesse dentro una bolla di pace che gli fa affrontare tutto col sorriso sulle labbra.

L’altra mattina non s’erano accorte di me, sono entrata in sala prof e le brigatiste come al solito sparlavano di qualcosa. Ho capito un secondo dopo che stavano sparlando di lui. C’era la vipera numero 1 che domandava “chissà cosa bolle ancora nella pentola dell’orso Yoghi?” Lo chiamano così le stronze. “Buono quello” rispondeva la vipera numero 2 ”… non bastano gli orari da fabbrica che ci ha preparato… ci sono nuovi progetti in giro e indovina un po’ chi li presenta?” “L’orso Yoghi… ” ha continuato la prima, ”… per non stare in classe si inventerebbe di tutto”. La vipera numero 1 ha aggiunto “E lo paghiamo pure l’uomo universale per fare il consulente, il maestro di saggezza, l’educatore e non so cos’altro…

Ero lì lì per intervenire ma poi ho capito che non ne valeva la pena. Avrei voluto dirgli tutto quello che pensavo di loro. Alla fine ho lasciato perdere. Però ho pensato subito dopo “al corso di Mauro mi ci iscrivo anch’io…

Caro diario,
stavolta ti racconto una cosa importante. Lo so che non dovrei dirlo, però credo che mi ami un po’ anche lui. Me lo ha fatto capire quando mi ha presentato il nuovo orario e ha sussurrato “per te trattamento speciale vedi?” Mentre mi porgeva la fotocopia ho visto che mi guardava un po’ il seno, in modo discreto come fanno gli uomini di stile. E sentivo che non mi dispiaceva. Credo di essere anche arrossita. Poi ho dato un’occhiata al foglio e ho visto che non avevo mai le prime ore. ”Che bello…” ho pensato e stavo quasi per dirglielo ma lui mi ha anticipato sussurrando “te l’ho fatto come il mio…” e mi sorrideva, “così hai tempo per la meditazione mattutina”. Gli avrei gettato le braccia al collo ma per pudore non l’ho fatto. Allora per ringraziarlo al mattino quando mi sveglio il primo pensiero è quello che va a lui.

Questa faccenda dell’orario però deve averlo messo a terra. Nel giro di pochi giorni si è scatenata una specie di congiura, infatti adesso ce l’hanno tutti con lui ed è incomprensibile. Mauro gira stanco per l’istituto, che è sempre stata casa sua, e rasenta i muri come un appestato. Gli ho detto “non starli a sentire sono tutti ingrati”. Volevo sollevarlo almeno un po’. “Lo sai…”, mi ha risposto “mi accusano di fare l’orario senza un minimo di equilibrio. Secondo loro lo farei «su misura». Ma misura di cosa? Cosa vogliono insinuare? Quello che uso è il programma del ministero e io non c’entro se il programma è fatto così”.
Ma di cosa ti preoccupi, io lo so che sei una persona retta” gli ho mormorato cercando di calmarlo e di stargli vicino. “E poi sapessi…”, ha detto sconfortato, “mi danno un piatto di lenticchie per accollarmi una bega del genere. Il prossimo anno lascio

Alla fine ci si è messa anche la Rina, anche lei a buttargli la croce addosso. Ma la strega vigliacca si è sfogata con me piuttosto che affrontare lui.
Il tuo «jes men» è gran figlio di buona donna…” mi ha aggredito così all’uscita dell’aula. “Ma non ti piaceva tanto…” le ho domandato, provocatoria. “Se c’è qualcuno che gli scodinzola dietro non sono io” “Be’ non avresti più l’età” ho dichiarato cattiva. Allora la Rina se n’è andata senza salutare, ma non si è risparmiata la cosa più infame: “te lo puoi tenere il tuo guru qui lo sanno anche i muri che si fa pagare le ripetizioni dagli alunni e li fa iscrivere ai corsi di yoga”.

L’avrei presa a schiaffi per quella massa di bugie.
Però, caro diario, non è di queste cose brutte che volevo raccontarti. Perché c’è un evento meraviglioso invece che è successo oggi quando sono entrato nell’ufficio di presidenza e ci ho scoperto Mauro che stava lavorando. Al solo pensiero mi emoziono anche adesso. Insomma ero appena arrivata e lui mi ha pregato di aspettarlo. Stavo lì a leggere un po’, del tutto ignara, quando lui si è avvicinato in silenzio, mi ha circondato leggero con le braccia e in quel momento mi ha baciato. Un bacio lungo che non finiva mai. Alla fine mi ha guardato negli occhi e mi ha chiesto: “lo facciamo un viaggio in India?

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Una studentessa ringrazia il Dirigente Scolastico
di Giovanni Giovannetti

Liceo Foscolo di Pavia. Alla notizia dell’occupazione (sottoscritta a larga maggioranza dagli studenti) lunedì 13 dicembre il preside Lorenzo Fergonzi ha chiesto l’intervento delle Forze dell’ordine… Il 21 dicembre il quotidiano locale pubblica una lettera della diciassettenne Irene Cantoni. Irene è “una del Foscolo“. Eccola.

«Vorrei ringraziare il nostro dirigente scolastico e alcuni tra gli insegnanti del liceo classico Ugo Foscolo perché in questi giorni di occupazione, scontro tra generazioni e protesta, mi hanno impartito notevoli lezioni e valori morali.
Mi è stato insegnato che non bisogna mai parlare con gli studenti, perché notoriamente il compito di un Preside è quello di mandare avanti un istituto. Mandiamo avanti cosa, i muri? Il tetto che non c’è? Gli insegnanti che spiegano ad aule vuote?…”

E anche la mamma

«Sono la mamma di Irene, solo per informarvi che il Preside ha chiamato mia figlia minorenne in presidenza e fumandole in faccia la pipa le ha chiesto se era pronta ad affrontare le conseguenze del suo gesto… 15 giorni di sospensione, 5 in condotta, non ammissione alla maturità… solo minacce? Vedremo… immagino che quando si renderà conto della gravità delle sue parole il preside negherà e naturalmente sarà la Sua parola contro quella di una sua alunna… a proposito di messaggi educativi che dà la scuola… Cinzia»
(continua qui)

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Il Dirigente Scolastico ci piace così.

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L’occhio del lupo
Bullo sì, ma che linguaggio corretto!

Un anno di reclusione per aver fatto scrivere a un alunno “sono un deficiente” cento volte. Fossero state dieci, immagino le avrebbero inflitto 36 giorni o giù di lì. Fosse stata una volta sola, tre giorni di cella alla caparbia e certo antiquata professoressa non glieli avrebbe tolto nessuno. Se glielo avesse detto a voce, chissà. Fatto sta che la sentenza dei giudici è ben più pesante rispetto alle richieste dell’accusa (14 giorni), ma i magistrati avranno avuto buone, imperscrutabili ragioni con le quali misurare l’improprietà dell’accanimento pedagogico della prof e il peso del trauma – quello del ragazzino, che si era rifiutato di chiedere scusa a un coetaneo dopo avergli impedito di entrare al bagno perché “gay”. Forse la Corte avrà valutato la correttezza politica del fanciullo: mica gli aveva dato del ricchione.
(michele lupo)

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La settimana scolastica

La scuola (e l’Italia) continua a navigare nell’incertezza del diritto. La sentenza della Consulta ha dichiarato illegittime le graduatorie vigenti perché, in violazione degli articoli 3 e 51 della Costituzione e della normativa europea, prevedono che il docente che cambia provincia per lavorare venga messo in coda perdendo il proprio punteggio (graduatorie su cui pendono circa 15mila ricorsi): quando invece tutti i cittadini possono accedere ai pubblici uffici in condizioni di uguaglianza, senza alcuna discriminazione territoriale.

Contraddicendo la sentenza, però, al Senato tre giorni dopo è stato approvato nel decreto milleproroghe un emendamento a firma leghista che congela le graduatorie provinciali degli insegnanti (aggiornate nel 2009) fino al 31 agosto del 2012. Primo firmatario è Mario Pittoni, già autore della proposta di reclutamento “locale” (tramite albi e concorsi regionali) degli insegnanti, che potrebbe essere accolto nella “riforma” del ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini. Il “congelamento” è motivato proprio in vista di definire “la nuova disciplina del reclutamento“. Se l’emendamento verrà definitivamente approvato dal Parlamento (la votazione è prevista entro la fine di febbraio), verrà bloccata anche la possibilità di cambiare provincia nelle graduatorie d’istituto di prima fascia.

La Flc-Cgil ha definito questo emendamento “razzista. “E’ un pessimo segnale, mandato ai docenti precari e a tutto il Paese, proprio a ridosso dei 150 anni dell’Unità d’Italia” commenta Pippo Frisone. L’Aniefdiffida il ministero dall’adottare provvedimenti illegittimi, che violano la Costituzione e la normativa vigente”.

Nello stesso decreto il ministro Gelmini introduce la ridefinizione del sistema di valutazione esterna delle scuole basato sull’Invalsi e su un corpo di ispettori, che valutano scuole e dirigenti secondo quanto previsto dalla normativa Brunetta sulla pubblica amministrazione (decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150).

“Questa scelta travolge – dichiarano le senatrici Bastico e Adamo – gli impegni assunti dal governo con i sindacati e il mondo della scuola di introdurre disposizioni particolari per valutare scuole e docenti data la specificità della funzione educativa.

Il colpo di mano espropria completamene il Parlamento della possibilità d’intervenire su criteri e modalità di valutazione, dal momento che tutta la riorganizzazione viene affidata a un regolamento del governo senza neppure il parere delle commissioni parlamentari competenti”.

Bisogna dire però che anche per questo progetto di valutazione mancano i fondi – e si chiarisce che non dovrà comportare un aumento della spesa – e sono insufficienti gli ispettori. Difatti questo è il commento della Tecnica della scuola:

Le nuove norme hanno un po’ il sapore delle “grida manzoniane” di buona memoria: enunciano principi molto alti ma non forniscono nessuna indicazione su come gli obiettivi potranno essere raggiunti.

Le anomalie italiane non finiscono qui. Gli studenti continuano a crescere: oltre 36 mila alunni in più nell’ultimo anno, pari allo 0,5 per cento, mentre vengono operati tagli al personale della scuola in tutti i settori: insegnanti di ruolo, supplenti e personale Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario).

Fa eccezione l’insegnamento della Religione cattolica. Secondo dati della Cei i docenti di religione sono cresciuti in un anno del 14 per cento: dai 8.232 del 2008/2009 ai 9.369 dell’anno scorso. Il numero degli studenti che si avvolgono dell’insegnamento della Religione cattolica nell’ultimo anno è invece calato di un punto percentuale, alla scuola superiore quasi di due: 1,8 per cento. L’incremento dei docenti di Religione si registra sia tra i precari (più 21%) sia tra i docenti di ruolo (più 9%).

Un altro colpo di mano riguarda gli effetti del blocco degli scatti stipendiali ai sensi del decreto interministeriale n. 3 del 14/1/2011, che si vanno man mano scoprendo. Per effetto del blocco, per andare in pensione con 40 anni di servizio occorre lavorare 42 anni. Per questo, l’Anief propone di ricorrere al giudice per recuperare gli scatti bloccati illegittimamente.

Intanto il ministero rende pubblici i dati riguardanti la cessazione dal servizio. Quest’anno le domande di cessazione dal servizio presentate dal personale della scuola sono poco meno di 35.000: 27.400 sono le richieste dei docenti e 7.300 quelle del personale ATA. Forse potrebbero bilanciare gli effetti dei tagli previsti per il 2011/2012, almeno per quanto riguarda il personale docente. Resta critica invece la situazione del personale Ata: ci saranno 7.000 cessazioni dal servizio ma quasi 15.000 posti in meno.

Contro i tagli martedì 15 febbraio c’è stata la protesta nazionale degli operatori Ata ex-Lsu aderenti all’Usb (Unione sindacale di base): quelli che si occupano delle pulizie nelle scuole pubbliche. Agitazioni in vista nel mese di marzo. Martedì 8 marzo ci sarà lo sciopero dei lavoratori del sindacato Sisa-scuola; venerdì 11 marzo, quello di docenti e personale dell’Usb. Il 25 marzo, infine, ci sarà la giornata nazionale di sciopero per tutti i lavoratori dei settori pubblici della conoscenza, dalla scuola all’università, indetta dalla Cgil.

Sempre sul fronte sindacale c’è un’importante notizia: su richiesta del Dipartimento della Funzione Pubblica il Consiglio di Stato ha espresso un proprio parere sulla questione del rinnovo delle RSU. Le elezioni si devono fare, anche se non sono ancora stati definiti i nuovi comparti di contrattazione previsti sempre dal “decreto Brunetta“. Secondo il Consiglio di Stato “la legge ordinaria non può comprimere il diritto alla rappresentanza sindacale se non in modo temporaneo e con cadenze certe”.

Per l’ordinaria amministrazione si segnala la protesta dell’Anp per la mancanza di dirigenti scolastici: “Oggi ci sono 1300 posti vacanti, a settembre saranno 2.100, nel 2012 saranno 2.900“.

Per finire, dopo le polemiche delle ultime settimane, il Consiglio dei ministri ha deciso: il 17 marzo sarà festa nazionale in occasione del 150° anniversario dell’unificazione italiana: unificazione della discordia, viste le polemiche attorno alla celebrazione e riproposte al momento del voto.

* * *

Petizione al Presidente della Repubblica: No ai tagli, no ai finanziamenti alle private.

Il decreto Brunetta qui.

Tutti i materiali sulla “riforma” delle Superiori qui.

Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.

Guide alla scuola della Gelmini qui.

Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.

Una sintesi dei provvedimenti del Governo sulla scuola qui.

Un manuale di resistenza alla scuola della Gelmini qui.

* * *

Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.

Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.

Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Cub.

Spazi in rete sulla scuola qui.

(Vivalascuola è curata da Alessandro Cartoni, Michele Lupo, Giorgio Morale, Roberto Plevano, Lucia Tosi)



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