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Vivalascuola. Come (non) parlare di politica a scuola

Creato il 23 maggio 2011 da Fabry2010

Vivalascuola. Come (non) parlare di politica a scuola

Tra i fannulloni c’era anche il comunista prof Dionisi, “inculcatore” di professione e noto provocatore. Aveva avuto l’ardire di affermare a lezione che “le Foibe sono niente di fronte all’Olocausto” per questo l’avevo denunciato al vicepreside… Il bastardo non teneva il capo chino e addirittura ha avuto la faccia tosta di mormorare qualcosa quando la telecamera lo ha inquadrato. I miei compagni giurano che le labbra abbiano inequivocabilmente pronunciato la parola “pezzi di merda (Alessandro Cartoni).

Taci tu, che taccio anch’io. E tu, Tacito, tacitati per sempre
di Lucia Tosi

Intorno al 60 d.C. Nerone prese saldamente in mano le redini del potere, avviando una serie di innovazioni e di riforme che dimostravano la volontà di andare incontro alle esigenze delle province e dei ceti meno abbienti, ma che presentavano tuttavia un carattere improvvisato e persino pericoloso per l’assetto dello stato e soprattutto per le finanze statali, come quando propose l’abolizione delle imposte indirette e la soppressione di dazi e di dogane. [...]

Nerone proponeva il culto della personalità e si faceva sostenitore di ideali ellenizzanti e orientaleggianti che finirono per contrapporlo a una nobiltà che era in larga parte ancora arroccata nella difesa di un’antica moralità quiritica di cui si riteneva depositaria. [...]

Nerone, assecondato dal nuovo prefetto del pretorio Tigellino, ebbe mano libera e proseguì nella sua ‘rivoluzione culturale‘ avviando progetti faraonici che dovevano lasciare la sua impronta nella storia, ma anche istituendo gare di canto e gare di quadrighe alle quali voleva che la nobiltà partecipasse secondo i modelli greci.[...]

Nerone, e per questo si può parlare di ‘rivoluzione culturale‘, impone a Roma quello che Tacito (Annales XVI,4) non esita a definire publicum flagitium, una ‘vergogna pubblica‘…”. (Roncoroni, Gazich, Marinoni, Sada, Documenta humanitatis, vol. 3, tomo A, C. Signorelli, 2007)

Riga più, riga meno, il profilo della prima età imperiale, in uno qualunque dei manuali di storia della letteratura latina in uso nei licei, mostra, da che insegno, e da prima, da quando stavo seduta dall’altra parte (della barricata, ché di barricate si tratta, o tali le hanno fatte diventare) esattamente questa sequenza su Nerone: di come si affrancò da Burro e Seneca, di come volle fare a modo suo, di come si circondò di cortigiani, nani e ballerine, la lista delle sue follie e libidini, dei divorzi e degli assassini di palazzo, non ultimo quello della madre, Agrippina. Se si studiano le circostanze che permisero a Nerone di diventare imperatore, si legge che la madre covava in seno il desiderio di vederlo sul trono fin dal concepimento, per riscattare, con la gloria e il potere, la devastazione subita dalla sua famiglia per opera dell’invidioso Tiberio. Così Agrippina manovrò per farsi sposare dallo zio Claudio: lo scandalo dell’incesto fu messo a tacere modificando la legge che impediva i matrimoni tra consanguinei: come Semiramide che libito fe’ licito in sua legge/per torre il biasmo in che era condotta (Inf. V).

Basta limitarsi a studiare Tacito per entrare in un ginepraio particolarmente spinoso di spunti politici. Non una sola opera scritta dal senatore romano – e sottolineo senatore – consente di aggirare l’ostacolo. E’ noto, per esempio, l’uso che certi ambienti fecero tra ’800 e ’900 della monografia Germania, di come si arrivò a sostituire, in particolare, una congiunzione nel cap. 4, in cui l’autore mostra di adeguarsi all’opinione dominante circa i caratteri somatici dei Germani, che sottolineasse in modo più spiccato l’unicità e la purezza della razza (tamquam>quamquam).

Si prenda il Dialogus de oratoribus, attribuitogli non senza incertezze: vi si discute principalmente della decadenza dell’oratoria. Nel cap. 40, verso la fine dell’operetta, attraverso il suo portavoce, Curiazio Materno, Tacito depreca lo stato dell’arte:

Noi non parliamo di una cosa tranquilla e pacifica, che si compiace dell’onestà e del senso della misura; no, quella grande e così vistosa eloquenza è figlia della licenza, che gli stolti chiamano libertà, è compagna dei disordini, è pungolo per la sfrenatezza del popolo, è incapace di obbedienza, di severità; è ribelle, temeraria, arrogante, e non può nascere negli stati ben regolati.

Quale oratore noi conosciamo infatti o di Sparta o di Creta, stati in cui, come tramandano, l’ordine era severissimo e severissima la legislazione? Neppure dei Macedoni e dei Persiani né di alcun popolo, che abbia accettato di vivere sotto un governo rigido e stabile, noi conosciamo l’eloquenza. Sono esistiti alcuni oratori a Rodi, moltissimi ad Atene, perché lì il popolo poteva tutto, tutto potevano gli incompetenti e tutti, per così dire, potevano tutto.

Anche la nostra Roma, finché si mosse senza direzione, finché si sfinì nelle lotte di parte, nei dissidi e nelle discordie, finché non vi fu pace alcuna nel foro, nessuna concordia in senato, né una regola nell’attività dei tribunali, né rispetto per l’autorità, né limite alcuno al potere dei magistrati, anche Roma produsse un’eloquenza senza dubbio più vigorosa, come un terreno incolto ha erbacce più rigogliose. Ma per lo stato l’eloquenza dei Gracchi non valeva tanto da dovere subirne anche le leggi, e Cicerone ha pagato troppo cara, con una fine così triste, la fama della sua eloquenza.

Prendiamo una delle digressioni etnografiche che tanto piacciono al genio dello scrittore: il libro V delle Historiae, dedicato alla conquista da parte di Tito di Gerusalemme, da cui derivò la diaspora degli ebrei. Qui lo storico si lascia andare ad un atteggiamento che potremmo definire antisemita, definizione che non è propria del mondo antico, e non diffuso come nel nostro (di qualche giorno fa le imbarazzanti esternazioni di Lars Von Trier a Cannes, seguite da ritrattazioni alquanto goffe che non fanno che peggiorare l’increscioso incidente). Gli ebrei non mangiano i bambini (per fortuna, almeno quello) ma, sostiene Tacito, sono destinati a metterne al mondo tanti, perché sono gente “incline alla lascivia” che si astiene “dall’avere rapporti con donne straniere, ma tra loro nulla è vietato”.

Ho voluto scegliere apposta, tra le infinite possibilità, un autore lontano, in una disciplina sempre più di nicchia come il latino, per ragionare sul clima prospettato, meglio: minacciato, agli insegnanti dall’ennesima trovata scemica del deputato Pdl Fabio Garagnani, lo scorso 13 maggio.

Il tema “non si parli di politica a scuola” era già stato introdotto da Gelmini (vedi qui e qui), ancora nel settembre del 2009, intendendo politica di sinistra, ovviamente: eco di uno dei tormentoni preferiti dal Premier, per il quale gli insegnanti sono tutti comunisti, come i giudici. Politica a scuola e libri di storia troppo schierati sono due aspetti che si saldano, sia dal côté di chi, in malafede, vorrebbe imbavagliare la libertà di opinione e la libertà di insegnamento, sia per chi, tutti i giorni, si misura con la didattica delle discipline umanistiche (ma anche linguistiche, dal momento che studiare la civiltà dei paesi di cui si studia la lingua, implica immediatamente delle considerazioni storico-politiche).

Non si vorrebbe essere costretti a scomodare, a proposito di politica, Platone e Aristotele, saprebbe di pedantesco, ma pare evidente che deputati, ministri e primi ministri della destra a-storica italiana o erano assenti quando ne parlarono nelle loro scuole, o dormivano, o, e ce lo vengano a mostrare, esiste un modo di lasciare la politica fuori dalle aule parlando di società, cultura, ingegno umano, ambiente, persino sentimenti.

Credo che questo bislacco modo di insegnare non si trovi in alcun dove. Vero è che quei deputati, ministri, primi ministri hanno migliaia di anni di civiltà che gli remano contro e vorrebbero imbavagliare le bocche e ingessare le coscienze. Purtroppo per loro, non solo il cittadino italiano non è scemotto “come un ragazzino di undici anni neanche tanto intelligente” – e pare i recenti sviluppi in materia elettorale l’abbiano dimostrato –, ma addirittura gli studenti arrivano da soli a produrre le loro inferenze.

L’anno scorso uno studente di quinta ridendo mi disse di aver studiato l’età Giulio-Claudia il pomeriggio precedente divertendosi a sostituire ‘Berlusconi’ a ‘Nerone’ “e tutto filava liscio a meraviglia, specie sui processi per lesa maestà. Era uno studente brillante, della buona borghesia, cattolico praticante, sicuramente di area moderata, come ne ho sempre tanti nelle mie classi. Peggio che andar di notte! E’ lì che nasce la preoccupazione della destra a-storica: se mi influenzi anche i tranquilli borghesi, è fatta!

Ti sbagli, Filippo, non c’è nessuna possibilità di confronto tra Nerone e Berlusconi: il nostro presidente del consiglio non è piromane e non dà la colpa ai cristiani: con questi ci va a pranzare, e per farsi la villa nuova sbanca la costa senza ricorrere al fuoco”. Ma anche questa affermazione, al grado zero, potrebbe indurre a cattivi pensieri. No: bisogna eliminare tutto quanto possa indurre alla riflessione critica in assoluto e particolarmente in relazione al presente, e volgere in positivo o neutrale quanto si trova nel libri di storia, di filosofia, di letteratura.

E fu così che Nerone, Domiziano, Commodo, Eliogabalo, Diocleziano divennero prima di tutto delle bravissime persone e poi degli insigni statisti, parolina magica che tanto piace alla destra a-storica. Nerone fece dunque provvedimenti socialmente utili distribuendo gratuitamente panem, provvedimento le cui tracce si possono riconoscere nel ricorso alle tessere annonarie in epoca fascista (glorioso periodo di benessere e prosperità in cui i treni arrivavano in orario) e nella social card dell’era berlusconiana della quale, grazie a Dio, abbiamo sentito parlare per poco o niente, non avendone, gli italiani, assolutamente bisogno.

Nerone, inoltre, che aveva suonato la cetra sulle navi per guadagnarsi gli studi di greco, diventato ricco continuò a cantare per puro diletto, avendo a cuore, come primo e unico scopo, il benessere dei suoi sudditi, che non erano più già allora sudditi, ma concittadini. Era per questo che era sceso in campo (nel circo), rinunciando al suo personale benessere. Amò, non ricambiato, due donne che lo tradirono, lui che non vedeva che loro e che aveva come unico principio la fedeltà assoluta e il senso della famiglia. Non era pazzo, come a lungo si affannarono a sostenere gli storici, aveva piuttosto degli ideali che perseguiva ossessivamente e con grande spirito di abnegazione. Non era populista, ma sinceramente dedito alla cura dei ceti meno abbienti, altrimenti abbandonati dalla classe senatoria, tutta di sinistra, come è arcinoto, dal momento che si ostinava a prendere decisioni collegiali discutendo le leggi e i provvedimenti nell’assemblea del Senato.

Posso provarci, possiamo provarci. Se non ci riesce abbandoniamo la partita, passiamo ad altro.

Allora… polis, democrazia ateniese, tirannide, consolato, Catone il Censore, Scipioni, Gracchi? Vade retro. Cicerone: ma che, scherziamo? Via, via. Imperatori: già visto, non funziona. Primo Medioevo: uhm, la signoria di banno, ci starei attenta, a meno che con aria indifferente non lasci prendere la parola a qualche spiritosone che sicuramente dirà “ma… bannare, viene da banno?”. Saltare i missi dominici che non venga in mente di paragonarli ad Equitalia, via via. Come faceva a riscuotere le imposte Carlo Magno? Ma non aveva bisogno di riscuotere alcunché, era ricco di famiglia!

Dante? Mamma mia, per carità! Cancellare: è tutto un brulicare di riferimenti all’oggi, sempre così arrabbiato coi potenti, mai contento. Petrarca, sì, fin che parla di Laura, però non diciamo agli studenti che ha scritto “Italia mia, benché il parlar sia indarno” che tocca spiegare troppe cose. Boccaccio no, perché con tutto quel parlare delle donne, si sa, meglio di no: e poi non andiamo a ragionare sulla comicità se no non ridono più alle Sue barzellette. L’ umanesimo si può saltare, che tanto non glielo chiederà mai nessuno. Machiavelli sì, alla lettera, non facciamo scherzi, consigliamo, anzi: adottiamo, l’edizione del Principe con la Sua prefazione. Dopo problemi non dovrebbero essercene perché l’Italia entra in stand-by.

Maneggiare con cautela Parini e Alfieri, fare un bel corso monografico in quinta di tre mesi su Vincenzo Monti: perché no? Così carino coi potenti, servizievole, anche per cambiare un po’ i programmi. Manzoni e Verga: che barba, sempre quest’Italia di poveri e vessati: possiamo saltare? Il Carducci maturo e D’Annunzio: assolutamente! Il Pascoli delle vecchie nonne, va sempre bene, ricordarsi di caldeggiare “la Grande Proletaria s’è mossa”, chiarendo l’etimologia di ‘proletaria‘, che in queste cose bisogna essere precisi.

Pirandello si può trattare, avendo cura di mettere in luce che era in ottimi rapporti con il fascismo, che ne finanziò le opere teatrali e approfittando dell’occasione per attualizzare la questione, ricordando quanto fa per la cultura il nostro attuale Governo. Si può agevolmente bypassare quei noiosoni degli anni ’40-’80, salvo che per ricordare, come è doveroso, le foibe e il progetto eversivo delle Brigate Rosse, e passare alla cultura degli anni novanta parlando dei grandi scrittori e poeti italiani viventi: Tamaro, Volo, Moccia, Melissa P., Bondi. E poi, finalmente, parlare di Lui, senza alcun problema, senza legami, allusioni, in un tempo-spazio asettico, libero, dove la Storia non arriva e la politica meno che meno.

* * *

Una giornata particolare
di Alessandro Cartoni

Dal diario di Silvio G. capoclasse, 4 a
Anno domini 2022, 9 giugno

Ieri è stata la fine della scuola ma anche il giorno più importante della mia vita. Al suono della campana dopo la prima ora, le gambe hanno cominciato a tremarmi. Eravamo in aula magna in attesa del collegamento e io mi sentivo intimidito ma felice come non mai, non tanto per la fine dell’anno scolastico, quanto per la splendida coreografia che eravamo riusciti a comporre: le file dei maschi più grandi davanti in giacca blu e cravattine, coi piccoli dietro in grembiulino, e sull’altro lato della sala le femmine in tailleur, giacca bianca e gonna abbinata. Tutte con i capelli tirati in una crocchia così come li porta Stella Maria. Alcune compagne avevano anche gli occhiali e sembravano lei, tant’è che quando sono entrate abbiamo applaudito spontaneamente. Ho sentito nel cuore un vero tripudio per l’ordine, la pulizia e la bellezza che emanava un ambiente del genere. La scuola, ho pensato, dovrebbe essere sempre così.

Di colpo, senza neanche avvertici sono entrati i giornalisti delle TV locali e dei canali nazionali con le telecamere e hanno cominciato le riprese: prima i fiori, poi le coccarde e infine le lavagne magnetiche interattive che chiamiamo “LIM”. Ce n’erano almeno quindici ma le nostre sono tre, le altre le abbiamo prese a prestito da altre scuole e dal Centro Servizi Amministrativi. Del resto siamo la “scuola polo” e dobbiamo dare un’immagine di concretezza ed efficienza, questo Luchetti, il vicepreside, me lo ha spiegato bene.

Mi ha detto: “manderanno noi Silvio, lo capisci vero che andremo in prima serata su tutti i canali nazionali, il nostro istituto come struttura d’avanguardia, come esempio della riforma riuscita, condivisa, realizzata…”. “mi fido di te”, ha aggiunto alludendo al fatto che il ministro avrebbe dialogato col sottoscritto. Ho deglutito ricambiando lo sguardo. Volevo anch’io fare la mia parte.

Mentre parlavo con Luchetti il coro ha intonato il Nabucco, il nuovo inno nazionale, prima in sordina poi sempre più forte con vibrazioni che avrebbero crinato i muri. Io ascoltavo deliziato e mentre ascoltavo scorrevano già le immagini che tutta la sala poteva vedere in diretta riprodotte sui maxischermi. Una zooomata sul mio viso mi ha fatto arrossire poi una lunga carrellata di facce quelle dei miei compagni coi lineamenti diritti e lo sguardo fermo infine l’intero staff di presidenza. Il pezzo forte, e tutti ce ne siamo accorti, è stato il viso di Luchetti, un volto maschio, volitivo, il viso giusto per il professionista giovane e ambizioso che l’anno prossimo avrebbe preso il posto del nostro preside stantio.

Quando poi la telecamera ha inquadrato la tribuna in fondo, seminvasa dall’oscurità, e ha fatto comparire i musi lunghi dei disfattisti, allora ho percepito un fremito di gioia celestiale. Era quello il posto che si meritavano, nel punto più oscuro della sala, fuori dalla luce che non emanavano più da tanto tempo. Riconoscevo la Tondo che si era gloriata in classe di cassare col rosso le prove INVALSI, poi Radiconi che aveva spento la LIM e mandato il bidello a prendere i gessetti, vedevo anche il naso camuso di Rossi che si era allargato dicendo che la riforma di Stella Maria “era una cosa oscena. Eccovi là, pensavo, è questo il posto per voi.

Ma non era finita lì. Il collegamento stentava ad arrivare, per non so quali problemi tecnici e allora dopo una nuova inquadratura dei visi degli studenti e il riaccendersi delle note sul Nabucco, la telecamera mobile si è spostata verso l’ala degli uffici e del magazzino. Mentre scorreva l’immagine dei corridoi e delle aule pulite con i ritratti del Presidente alle pareti, tutti ci siamo chiesti perché riprendere questa zona dell’istituto.
Ci guardavamo un po’ perplessi ma lo sguardo di Luchetti da lontano ci ha rassicurato. Ci ha fatto un segno col capo come a dire “niente paura, qui nulla è lasciato al caso”. E difatti dopo pochi secondi abbiamo capito il senso delle riprese. L’inquadratura ha rallentato e si è quasi immobilizzata sulla porta chiusa del “Laboratorio di rieducazione”. Una grande ovazione ha salutato questa scelta. Di colpo tutti gli studenti hanno cominciato a battere ritmicamente i piedi in una marcia sul posto. Attendevamo trepidanti che la porta si aprisse.

Appena si è spalancata fischi e grida di guerra hanno coperto la voce fuori campo che spiegava. Il gruppo dei fannulloni era stato collocato al centro del locale, erano seduti compostamente e portavano tutti un cartello al collo che recitava: “sono inoperoso e mi vergogno”. Avevano tutti la testa bassa e stentavano a guardare diritto. E vorrei vedere: comparire in visione nazionale con quella scritta sul collo li avrebbe marchiati per sempre.

Dunque abbiamo riconosciuto Cinti falso cardiopatico, che si è assentato per due mesi con la scusa del by-pass, poi la Gregori con la falsa sciatalgia che continua a camminare piegata per spirito di contraddizione, infine alcuni bidelli scansafatiche tutti “ex legge 104” come li chiamiamo noi per dispregio. Erano questi i nostri gioielli che dovevamo giustamente mostrare perché, come dice Luchetti, “la riforma consiste anche nell’isolamento delle sacche di privilegio e di spreco”.

Be’, a dir la verità tra i fannulloni c’era anche il comunista prof Dionisi, “inculcatore” di professione e noto provocatore. Aveva avuto l’ardire di affermare a lezione che “le Foibe sono niente di fronte all’Olocausto per questo l’avevo subito denunciato al vicepreside. Dunque ecco il perché della sua presenza nel “laboratorio di rieducazione”. Il bastardo comunque non teneva affatto il capo chino e addirittura ha avuto la faccia tosta di mormorare qualcosa quando la telecamera lo ha inquadrato. I miei compagni giurano che le labbra abbiano inequivocabilmente pronunciato la parola “pezzi di merda”. Se fosse così Luchetti avrebbe mille ragioni per metterlo in aspettativa non pagata.

Ma è ora che racconti l’evento sublime della giornata: il mio dialogo con Stella Maria e l’intero collegamento col ministero. Al ricordo vibro ancora per l’emozione. “Non sprecare quest’occasione…” mi ha detto Luchetti quando è comparso lo studio del ministro, “cose così accadono una sola volta nella vita”.

Ne ero ben consapevole, come sono convinto del fatto che la riforma è uno splendido investimento per il futuro di coloro che credono in un’Italia diversa. Avevo mandato a memoria il giuramento del Presidente e lo ripetevo mentalmente mentre aspettavo:

”Questo paese vecchio pieno di lacci e lacciuoli, di regole polverose e granitiche, illiberale e sfiduciato, che spegne ogni forza giovane, che schiaccia ogni iniziativa e punisce il desiderio di fare, questo paese, giuro, lo rifaremo da capo”.

Infine alle 10 e 58 precise Luchetti ha chiesto il silenzio assoluto e una cascata di petali ha dato il benvenuto alla nostra graziosa ministra che si è subito collegata accomodandosi sulla poltrona. Vedevamo tutto dai maxischermi: noi, l’aula magna e lei nel suo studio di Roma, e la cosa più incredibile è che potevano vederlo tutti gli Italiani. I maxischermi nelle scuole sono una novità straordinaria.
Compostamente abbiamo applaudito e in sottofondo è ripartito l’inno del partito. Luchetti ha presentato la scuola, le nostre sperimentazioni, i corsi, e infine l’intera platea di giovani sorridenti.

Stella Maria si è complimentata, ha detto che scuole come la nostra sono fiori all’occhiello del Paese e secondo lei vi si respira un’aria di collaborazione, di serietà e di gioia. Di intensità nella gioia, ha sottolineato.
Poi è venuto il mio turno. Mi sono avvicinato al microfono che mi porgeva Luchetti e il ministro ha cominciato a parlarmi. Mi ha chiesto come mi chiamavo e quando ho risposto “Silvio”, lei ha sospirato, dicendo che era lo stesso nome del Presidente e mi avrebbe portato fortuna.

Ha detto poi che era impaziente di ascoltare qualcosa sulla “nuova costituzione” e dato che avevo i voti migliori dell’istituto mi ha chiesto gentilmente di recitare l’articolo 1. Io ho deglutito, poi sono partito a razzo: “L’Italia è una repubblica sociale fondata sull’azienda e sulle banche. Lo stato ha il compito di rimuovere ogni ostacolo giuridico e sociale al pieno sviluppo dell’impresa privata. Scroscio di applausi dall’aula magna e grande sorriso del ministro.

Stella Maria mi ha poi chiesto se c’era qualche altro articolo della nuova costituzione che mi avesse particolarmente colpito per il suo valore di civiltà. Ho risposto di sì, che ce n’erano almeno due: il nuovo articolo 33 e il 38 che mi parevano degni di nota.
Vuoi recitarli caro Silvio?” mi ha pregato il ministro.
“Certo…” ho risposto, “nuovo 33: la scienza e l’arte sono prodotti del mercato e il loro insegnamento è legato alla forme di investimento economico che sono in grado di attrarre”, “38: il lavoro è una merce”.
Stella Maria ha applaudito da sola nello studio di Roma, dicendo “bravissimo, splendido, preparatissimo… Sono davvero fiera di te”.
A quelle parole mi è parso di svenire, non potevo crederci.

Poi c’è stato un attimo di silenzio, Stella Maria è parsa concentrarsi su un punto particolare dello schermo. Quindi lo sguardo si è nuovamente disteso in un sorriso dolcissimo. E mi ha parlato ancora.
Ma dimmi caro Silvio, è vero che hai dimostrato spiccatissime doti imprenditoriali tanto che abbiamo nominato il vostro istituto “polo d’eccellenza” per la formazione del marketing del successo scolastico? Insomma raccontami che cosa hai progettato, sono molto curiosa”.

Luchetti l’aveva informata a dovere e dunque non è stato difficile spiegarle il sistema “qualità scolastica totale”, che avevo applicato alla mia classe e poi via via a tutto l’istituto.
Se ho ben capito hai investito nei tuoi compagni più bravi e sei riuscito a finanziare dall’interno corsi di recupero, attività extracurricolari e visite di istruzione?
Esattamente signor ministro.”
E come hai fatto?
Ricorrendo al privato come ci ha insegnato il Presidente
Geniale Silvio, e chi sono stati i privati?
Intanto le famiglie, poi gli sponsor e alcune aziende della città
Bene, benissimo è così che si fa…

A quel punto la platea ha nuovamente applaudito, Luchetti mi ha raggiunto, mi ha messo una mano sulla spalla e mentre mi congedava ha mormorato “il battesimo del fuoco”.
Poi la cerimonia è proseguita secondo il programma e alle 13 Stella Maria ci ha salutati e si è concluso il collegamento con Roma, come anche l’anno scolastico, in un profluvio di fiori, inni e pasticcini offerti dal Ministero.

Tornato a casa, sempre ieri pomeriggio, mia madre non la finiva più di abbracciarmi dicendo che avevo fatto un figurone e che “tutti ma proprio tutti” mi avevano visto sulla rete ammiraglia del Presidente.
Prima di lasciarmi da solo in camera, mi si è avvicinata e mi ha detto arrossendo che era arrivata la mattina stessa, mentre ero ancora a scuola, una raccomandata da Roma.
Non capivo, lei ha sorriso. “E’ un invito…”, ha detto “a lavorare presso la segreteria del partito”. “Hai fatto centro Silvio”, ha aggiunto commuovendosi.
Allora ho stretto i pugni, ho alzato gli occhi al cielo e ho urlato “sììììì”.
Quando mia madre è uscita, mi sono steso sul letto e ho portato una mano sul cuore dove tengo la foto di Stella Maria, l’ho scaldata un po’ e ho mormorato “grazie ministro in qualunque posto tu sia ora”.

* * *

Domande

Cosa vuol dire essere politicizzati? parlar male di Montesquieu? parlar bene della Repubblica di Salò? sostenere che la P2 è un’invenzione della stampa? ricordare che non risultano titoli di merito che giustifichino l’occupazione del palazzone di viale Trastevere da parte della signora Gelmini? sostenere che Craxi è stato un grande statista? e anche er Trota? rubricare la strategia della tensione come una sindrome da complotto? non fare la preghiera in classe tutte le mattine? assicurare che ci si è appena lavati anche se è vero, la barba è una gran rottura di coglioni? (da qui)

* * *

Materiali

C’erano i vasti depositi dove venivano preservate le copie dei documenti corretti, e i forni celati dove venivano distrutti i documenti originali. E in qualche posto, del tutto sconosciuti, ci dovevano pur essere i cervelli che dirigevano tutta la baracca, che coordinavano il lavoro generale, e decidevano la linea politica secondo la quale si rendeva necessario che il tal frammento del passato si conservasse, il tal altro si falsificasse, e il tal altro, infine, fosse cancellato dall’esistenza. L’Archivio, esso stesso, non era altro che una sezione del Ministero della Verità, il cui incarico principale non consisteva nel ricostruire il passato, ma nel fornire ai cittadini dell’Oceania giornali, films, libri di testo, teleprogrammi, commedie, romanzi e ogni possibile tipo di materiale informativo, istruttivo o di semplice svago, da una statua a uno slogan, da una poesia a un trattato di biologia, da un sillabario a un dizionario di neolingua.

Il Ministero, tuttavia, non doveva preoccuparsi soltanto di provvedere ai multiformi bisogni del Partito, ma anche di ripetere le stesse vaste operazioni, seppure a un livello più basso, a beneficio del proletariato. Esisteva un intero sistema di reparti separati che si occupava di letteratura per i prolet, di musica, di teatro e di ogni altro genere di svago per i prolet. Vi si producevano stupidissimi giornaletti che non trattavano se non di qualche avvenimento sportivo, di cronaca nera e d’astrologia, qualche romanzetto da quattro soldi, certi filmetti pieni di cosce e seni nudi e canzonette sentimentali che venivano composte secondo un procedimento del tutto meccanico, per mezzo d’una sorta di caleidoscopio che si chiamava versificatore. E c’era persino un’intera sottosezione, che in neolingua veniva chiamata Pornosez, interessata solo alla produzione del più basso materiale pornografico. (George Orwell, 1984)

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Stare con la gente è una cosa bellissima. Ma non mi sembra sociale riunire un mucchio di gente, per poi non lasciarla parlare, non sembra anche a voi? Un’ora di lezione davanti alla tv, un’ora di pallacanestro, o di baseball o di footing, un’altra di storia riassunta o di riproduzione di quadri celebri e poi ancora sport, ma, capite non si fanno domande, o almeno quasi nessuno le fa; loro hanno già le risposte pronte, su misura e ve le sparano contro in rapida successione, bang, bang, bang, e intanto noi stiamo sedute per più di quattro ore di lezione con proiezioni. Tutto ciò per me non è sociale. E’ tutt’acqua rovesciata a torrenti, risciacquatura, mentre loro ci dicono che è vino quando non lo è. (Ray Bradbury, Fahrenheit 451)

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Il nuovo maestro si chiama Guglielmo Bertocchi, è reduce dalla guerra di Spagna, dove è stato ferito in combattimento. Indossa ogni giorno la divisa di orbace, la camicia nera e gli stivali lustri come specchi che scricchiolano a ogni passo. Quando è entrato in classe la prima volta si è tolto il fez e i guanti di pelle nera, li ha appoggiati sulla cattedra insieme a un righello e ha buttato diritto nel cesto il mazzolino di stelle alpine della signorina Margherita come si ci buttasse lei stessa.

Ha i capelli lucidi di brillantina, gli occhi fiammeggianti, il passo marziale, i modi bruschi, la voce tonante. Nell’aula non si sente nemmeno un fiato, i bambini siedono stralunati nei banchi, rattrappiti dalla paura. Mentre parla ritto sulla cattedra, batte ritmicamente il righello sul palmo della mano. Spiega che il Duce ha voluto che tutti i bambini d’Italia, dal momento in cui vanno a scuola, siano iscritti alla Gioventù Italiana del Littorio. (Elena Gianini Belotti, Pimpì oselì)

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- Dovrebbe smetterla con la politica, professore. I ragazzi non vengono a scuola per sentire comizi.
- Scusi?
- Ho detto che dovrebbe smetterla di fare politica a scuola.
- Infatti, sto solamente facendo lezione, mica propaganda a nessuno. O vorrebbe che saltassi anche il nazismo?
[...]
- Senta, mi risulta che lei ultimamente faccia chiudere i libri e si mette a parlare di Veltroni e Berlusconi e compagnia bella. E’ vero?
- Quali libri? Comunque. Diciamo che mi limito a spiegar loro quello che l’informazione si guarda bene dal raccontare – disse, pensoso.
(Michele Lupo, L’onda sulla pellicola)

*

La novità di oggi è che anche la morale e la politica sembrano regolate dalla legge del mercato, e non sembrano più dotate di esistenza autonoma. L’utopia neoliberale corrisponderebbe dunque al sogno di una società senza Stato (o di uno Stato minimo), riconciliata e scevra dalle tensioni tra individui e sistema, una società dove le sfere politica, sociale e culturale sono subordinate all’ambito economico. “Non è forse il mercato” scrive Jean Claude Michéa “a detenere attualmente il monopolio del diritto di insegnare a tutti gli esseri umani a cominciare dai bambini, che cosa possono sapere e che cosa è permesso loro sperare?” (Michela Marzano, Estensione del dominio della manipolazione)

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Cosimo salì fino alla forcella d’un grosso ramo dove poteva stare comodo, e si sedette lì, a gambe penzoloni, a braccia incrociate con le mani sotto le ascelle, la testa insaccata nelle spalle, il tricorno calcato sulla fronte.
Nostro padre si sporse dal davanzale – Quando sarai stanco di star lì cambierai idea! gli gridò.
Non cambierò mai idea, – fece mio fratello, dal ramo.
Ti farò vedere io, appena scendi!
E io non scenderò più! – E mantenne la parola. (Italo Calvino, Il barone rampante)

***

l’occhio del lupo
Campagna elettorale e scuola

Ai professori di destra è stato promesso che per decreto si diventerà maggiorenni a quindici anni, specie nel caso che le pischelle oggetto della loro attenzione dovessero superare le prove di miss “Milano in allegria” – a Napoli non ci si formalizzava già da prima, difatti Noemi Letizia non ha mai capito tutto quel can-can mediatico (ma aveva un’attenuante: non aveva da un pezzo l’insegnante di sostegno, per via dei tagli di Tremonti).
Ai professori di sinistra invece, una volta sbattuti a San Vittore, verrà garantito l’utilizzo delle escort in eccedenza: una volta al mese, una sveltina con le cozze di scarto.
(michele lupo)

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La settimana scolastica

L’attenzione dei media e dei politici nella settimana è stata calamitata dalle elezioni amministrative, per cui non si registrano esternazioni significative sulla scuola. Ne approfittiamo per segnalare dei dati che riguardano da vicino la scuola e i giovani.

I giovani sono in via di estinzione. Negli ultimi 10 anni, dal 2000 al 2010 abbiamo perso più di 2 milioni di cittadini di età compresa tra i 15 e i 34 anni“. Lo ha detto il direttore del Censis, Giuseppe Roma.

Tra i middle young (25-34 anni d’età), quando normalmente il ciclo educativo dovrebbe essere compiuto, in Italia il 29% ha concluso solo la scuola secondaria inferiore, contro il 16% di Francia e Regno Unito, e il 14 della Germania. Anche i laureati registrano i valori più bassi rispetto agli altri grandi Paesi europei: il 20,7% a fronte di una media europea del 33%, del 40,7 del Regno Unito e del 42,9 della Francia.

L’ingresso nella vita lavorativa per i giovani italiani è ritardato rispetto agli altri Paesi europei. Tra i più giovani (15-24 anni) il 60,4% risulta ancora in formazione, rispetto al 53,5 della media Ue, il 45,1 della Germania e il 39,1 del Regno Unito. Gli occupati sono il 20,5% rispetto al 34,1% della media europea, il 46,2% della Germania e il 47,6% del Regno Unito.

“La vera anomalia italiana è rappresentata dai giovani che non mostrano interesse nè nello studio, nè nel lavoro: in Italia sono l’11,2% rispetto al 3,4% della media europea… i nostri laureati lavorano meno di chi ha un diploma, meno dei laureati degli altri paesi europei, e con il passare del tempo questa situazione è pure peggiorata”.

Sarà per questo che in Italia per il 25% dei giovani l’istruzione universitaria non è una soluzione appetibile. E’ il dato più alto di tutta Europa. Quasi il doppio dei valori medi che, in tutti e 27 gli stati membri, raggiunge appena il 20 per cento. Significativo anche il timore riguardo alla possibilità di trovare un impiego coerente con il proprio percorso di studio: in Italia riguarda il 50,7% dei giovani.

Per denunciare una situazione economica senza prospettive si diffonde in questi giorni a partire dalla Spagna il movimento spontaneo degli “indignados. In Spagna gli “indignados” denunciano una disoccupazione oltre il 20% (il 44% tra gli under 25) e  vorrebbero una forte risposta per fronteggiare precarietà salariale e lo sfruttamento degli stagisti e chiedono l’istituzione di un salario minimo di 1.200 euro.

Un’altra ricerca evidenzia una delle maggiori criticità della scuola italiana. Durante il periodo dell’obbligo i ritardi scolastici arrivano al 25% nei primi due anni di scuola secondaria superiore. E’, però, nella scuola media che cominciano a manifestarsi significativamente, giungendo fino al 10%, dopo essere rimasti molto contenuti alle elementari.

Sul fronte della privatizzazione della scuola pubblica. Il progetto di Legge 2594, presentato al Senato da alcuni parlamentari della maggioranza, vorrebbe “privatizzare” il sostegno scolastico: si vorrebbe scaricare sulle scuole la responsabilità di intervenire senza alcun nuovo finanziamento e “appaltando” le attività ai privati.

Sul fronte dei precari, una ennesima sentenza del tribunale di Livorno ha riconosciuto ai docenti precari ricorrenti il diritto ad essere assunti in ruolo e alla maturazione degli scatti di anzianità dopo aver svolto tre anni di servizio.

Per l’ordinaria amministrazione registriamo altri tagli in programma per la scuola pubblica per il prossimo anno scolastico, contro cui a Bologna viene effettuato uno sciopero della fame a staffetta.

Sempre a proposito dei tagli all’istruzione, il Sindacato Unicobas Scuola di Lodi vuole attivare due class action in difesa degli insegnanti di Geografia e degli insegnanti Tecnico Pratici.

A un convegno regionale tenutosi all’Università degli studi di Udine il 13 maggio proteste contro l’eliminazione dello studio di una seconda lingua in una regione di confine e di passaggio qual è il Friuli Venezia Giulia.

E a proposito di risorse per la scuola. Gli studenti pagano lo stipendio ai professori precari con 10.000 euro del fondo volontario delle famiglie. Nominati come supplenti, senza busta paga da tre mesi, dieci docenti del liceo artistico Modigliani di Giussano, in provincia di Monza, hanno trovato la solidarietà degli alunni, sostenuti anche dal preside, Cesare Ferrari. «Una situazione imbarazzante, non potevamo restare con le mani in mano», spiega Lorenzo Zucchinali, rappresentate degli alunni. La scuola vanta 270.000 euro di crediti dal ministero.

Intanto si avvicina la chiusura dell’anno scolastico e nel saggio di fine anno dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia più di cento alunni tra i 5 e i 10 anni di una scuola privata di Lecce, l’Istituto delle suore Marcelline, il 6 giugno canteranno tra altri canti storici “Faccetta nera, bell’abissina, aspetta e spera che già l’ora si avvicina“, che si chiude con “E sfileremo avanti al Duce e avanti al Re“. Qualche dibattito è in corso.

E si preparano novità per il prossimo anno. L’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 18 maggio ha approvato la legge che istituisce il “siciliano” tra le materie da studiare. Il testo è stato presentato dal deputato del Movimento per l’autonomia Nicola D’Agostino. Critici scrittori e studiosi.

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Il decreto Brunetta qui.

Il vademecun della CGIL sulle sanzioni disciplinari qui.

Tutti i materiali sulla “riforma” delle Superiori qui.

Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.

Guide alla scuola della Gelmini qui.

Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.

Una sintesi dei provvedimenti del Governo sulla scuola qui.

Un manuale di resistenza alla scuola della Gelmini qui.

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Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.

Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.

Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Gilda, Cub.

Spazi in rete sulla scuola qui.

(Vivalascuola è curata da Nives Camisa, Alessandro Cartoni, Michele Lupo, Giorgio Morale, Roberto Plevano, Lucia Tosi)



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