Buona festa della Repubblica!
È bella la Costituzione che ci racconta Calamandrei. Perché è bella la Costituzione: viva, dignitosa, giusta, leale, sobria, indignata, critica, solidale. E belle sono le voci che Calamandrei fa riecheggiare in quelle parole, in quegli articoli: Cattaneo, Beccaria, Cavour, Garibaldi, Mazzini… Questo 2 giugno, introdotto dalle parole di Calamandrei, ancora più che in passato deve quindi rappresentare per tutti noi un collante significativo e l’annuncio di una direzione dalla quale non vogliamo e non possiamo deragliare. (Marina Boscaino)
Discorso ai giovani sulla Costituzione
di Piero Calamandrei
Domandiamoci che cosa è per i giovani la Costituzione. Che cosa si può fare perché i giovani sentano la Costituzione come una cosa loro, perché sentano che nel difendere, nello sviluppare la Costituzione, continua, sia pure in forme diverse, quella Resistenza per la quale i loro fratelli maggiori esposero, e molti persero, la vita.
Uno dei miracoli del periodo della Resistenza fu la concordia fra partiti diversi, dai liberali ai comunisti, su un programma comune. Era un programma di battaglia: Via i fascisti! Via i tedeschi!
Questo programma fu adempiuto. Ma il programma comune di pace, fu fatto in un momento successivo. E fu la Costituzione.
La Costituzione deve essere considerata, non come una legge morta, deve essere considerata, ed è, come un programma politico. La Costituzione contiene in sé un programma politico concordato, diventato legge, che è obbligo realizzare.
La nostra Costituzione, lo riconoscono anche i socialisti, non è una Costituzione che ponga per meta all’Italia la trasformazione della società socialista. La Costituzione è nata da un compromesso fra diverse ideologie. Vi ha contribuito l’ispirazione mazziniana, vi ha contribuito il marxismo, vi ha contribuito il solidarismo cristiano.
Questi vari partiti sono riusciti a mettersi d’accordo su un programma comune che si sono impegnati a realizzare. La parte più viva, più vitale, più piena d’avvenire, della Costituzione, non è costituita da quella struttura d’organi costituzionali che ci sono e potrebbero essere anche diversi: la parte vera e vitale della Costituzione è quella che si può chiamare programmatica, quella che pone delle mete che si debbono gradualmente raggiungere e per il raggiungimento delle quali vale anche oggi, e più varrà in avvenire, l’impegno delle nuove generazioni.
Nella nostra Costituzione c’è un articolo che è il più impegnativo, impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti. Esso dice:
“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che, limitando di fatta la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
“E’ compito… di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”! Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità d’uomini.
Soltanto quando questo sarà raggiunto si potrà veramente affermare che la formula contenuta nell’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica, perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messi a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società. E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte: in parte è ancora un programma, un impegno, un lavoro da compiere.
Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi!
E’ stato detto giustamente che le Costituzioni sono delle polemiche, che negli articoli delle Costituzioni c’è sempre, anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica di solito è una polemica contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime. Se voi leggete la parte della Costituzione che si riferisce ai rapporti civili e politici, ai diritti di libertà, voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà che oggi sono elencate e riaffermate solennemente erano sistematicamente disconosciute. Ed è naturale che negli articoli della Costituzione ci siano ancora echi di questo risentimento e ci sia una polemica contro il regime caduto e l’impegno di non far risorgere questo regime, di non far ripetere e permettere ancora quegli stessi oltraggi. Per questo nella nostra Costituzione ci sono diverse norme che parlano espressamente, vietandone la ricostituzione, del partito fascista. Ma nella nostra Costituzione c’è qualcosa di più, questo soprattutto i giovani devono comprendere.
Ma c’è una parte della Costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società. Perché quando l’articolo vi dice: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, riconosce con ciò che questi ostacoli oggi ci sono, di fatto, e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la Costituzione! Un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale che la Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani.
Ma non è una Costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire. Non voglio dire rivoluzionaria perché “rivoluzione”, nel linguaggio comune, s’intende qualche cosa che sovverte violentemente. Ma è una Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società in cui può accadere che anche quando ci sono le libertà giuridiche e politiche, esse siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche e dall’impossibilità per molti cittadini d’essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica potrebbe anch’essa contribuire al progresso della società.
Quindi polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente.
Però, vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: lo lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno, in questa macchina, rimetterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere quelle promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo, che è, non qui per fortuna, in questo uditorio ma spesso in larghi strati, in larghe categorie di giovani. E’ un po’ una malattia dei giovani, l’indifferentismo. “La politica è una brutta cosa”. “Che me ne importa della politica?”.
Quando sento pronunciare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà: di quei due migranti, due contadini che attraversano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime. Il piroscafo oscillava e allora quando il contadino, impaurito, domanda ad un marinaio: “Ma siamo in pericolo?” e quello dice: “Se continua questo mare, fra mezz’ora il bastimento affonda”. Allora lui corre nella stiva, va a svegliare il compagno e grida: “Beppe, Beppe, Beppe!”. – “Che c’è?”. – “Se continua questo mare, fra mezz’ora il bastimento affonda!”. E quello: “Che me ne importa, non è mica mio!”.
Questo è l’indifferentismo alla politica: è così bello, è così comodo, la libertà c’è, si vive in regime di libertà, ci sono altre cose da fare che interessarsi di politica. Lo so anch’io. Il mondo è bello, vi sono tante belle cose da vedere e godere oltre che occuparsi di politica. E la politica non è una piacevole cosa.
Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso d’asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso d’angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso d’angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica.
La Costituzione, vedete, è l’affermazione, scritta in questi articoli che dal punto di vista letterario non sono belli, ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune: ché, se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento.
E’ la carta della propria libertà, la carta, per ciascuno di noi, della propria dignità d’uomo.
Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946. Questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, per la prima volta andò a votare, dopo un periodo d’orrori, di caos, la guerra civile, le lotte, le guerre, gli incendi.
Io ero, ricordo, a Firenze. Lo stesso è capitato qui: queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta, lieta perché aveva la sensazione di aver ritrovato la propria dignità: questo dare il voto, questo portare la propria opinione, per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, del nostro paese, della nostra patria, della nostra terra, disporre noi della nostre sorti, delle sorti del nostro paese.
Quindi voi, giovani, alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendervi conto, rendervi conto, che ognuno di noi non è solo, non è solo; che siamo in più, che siamo parte anche di un tutto, un tutto nei limiti dell’Italia e del mondo.
Ora, vedete, io non ho altro da dirvi: in questa Costituzione di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie; essi sono tutti sfociati qui in questi articoli. E a sapere intendere, dietro questi articoli si sentono delle voci lontane.
E quando io leggo nell’art. 2: «L’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale»; o quando leggo nell’art. 11: «L’Italia ripudia le guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», la patria italiana in mezzo alle altre patrie… ma questo è Mazzini! Questa è la voce di Mazzini!
O quando io leggo nell’art. 8:«Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge», ma questo è Cavour!
O quando io leggo nell’art. 5: «La Repubblica una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali», ma questo è Cattaneo!
O quando nell’art. 52 io leggo a proposito delle forze armate: «L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», esercito di popoli, ma questo è Garibaldi!
E quando leggo nell’art. 27: «Non è ammessa la pena di morte», ma questo è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani…
Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti! Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, cha hanno dato la vita perché libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, è un testamento di centomila morti.
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.
(Intervento di Piero Calamandrei all’Umanitaria di Milano il 26 gennaio 1955)
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Parlare di Costituzione oggi
di Marina Boscaino
1. Parlare di Costituzione oggi è difficile. Quando ero giovane – sono nata nel 1962 – la mia identità, come quella di tanti altri, non aveva bisogno di ricorrere continuamente a quel testo illuminante e a quel progetto di società che la Carta configura. Alcuni luoghi in essa contenuti erano considerati assolutamente imprescindibili. I riferimenti, i principi, gli ideali, i diritti e i doveri erano un patrimonio collettivo che le generazioni precedenti avevano costruito con lungimiranza, impegno, dedizione e passione e che erano considerati comunemente elementi che individuavano il DNA del nostro essere italiani, il senso della nostra storia, con la sua grandezza e i suoi inciampi clamorosi.
Oggi non è più così. Parlare di Costituzione significa implicitamente sentirsi da una parte. Non dico che questo sia giusto: ma mi pare proprio sia così. Significa schierarsi in difesa di – invece che insieme a; significa ribadire – con accanimento considerato da alcuni tedioso, da altri di maniera – un amore per quei principi che non è più senza se e senza ma; che non è più unanimemente condiviso, né tantomeno unanimemente dato per scontato.
Il rischio è quello di continuare a evocare concetti e addirittura valori che hanno perso capacità di impatto nell’immaginario collettivo e che sono spesso ridotti a mere evocazioni, di cui non si comprende e non si sente più profondamente la portata universale. È come dire “ti amo” continuamente: toglie a quelle due parole – impegnative, promettenti, solenni – la loro forza. La reiterazione a cui ci hanno costretto rischia di trasformarsi in banalizzazione, in opzione di maniera. E questa è la peggiore delle ingiustizie che si potrebbe configurare nei confronti dei molti che sono morti o che hanno semplicemente rischiato, combattendo, perché quelle parole potessero essere scritte.
2. D’altra parte qual è il luogo che – più di ogni altro – può dare vitalità a quei principi sempre più spesso offesi nella pratica quotidiana di una politica che ha sospeso il perseguimento dell’interesse generale per farsi portavoce di istanze soggettive, particolaristiche, mediocremente settarie? Di una politica che non è più servizio per i cittadini, ma asserzione quotidiana di immobilizzazione di destini su base socio-economica? Che spende tempo prezioso per il Paese a cesellare un individualistico, stravagante e persino illegittimo concetto di giustizia e di libertà?
Lo scippo che la cultura di sinistra ha subito di alcune parole che individuavano il senso della propria storia e del proprio esistere, vedendole slittare semanticamente in ambiti fino a poco tempo fa imprevedibile, rappresenta uno smacco che ha avuto ripercussioni drammatiche su tutto il Paese. E la stessa scuola (insieme alla sua popolazione, i giovani) in nome di quello slittamento ha perso la propria vocazione e il mandato che la Costituzione, appunto, le assegnava: licenziare cittadini consapevoli. È per questo che molti di noi – al di là dei colpi di teatro di insegnamenti fantasma (Cittadinanza e Costituzione, appunto) annunciati e poi ignorati – continuano, rischiando, a ricordare quotidianamente che il modello di società distillato in quegli articoli ristabilisce il giusto senso alle parole, ai principi che individua. E che un altro mondo è possibile.
3. È bella la Costituzione che ci racconta Calamandrei. Perché è bella la Costituzione: viva, dignitosa, giusta, leale, sobria, indignata, critica, solidale. E belle sono le voci che Calamandrei fa riecheggiare in quelle parole, in quegli articoli: Cattaneo, Beccaria, Cavour, Garibaldi, Mazzini. Insieme alle voci degli eroi della nazione che ne hanno consentito la lucida scansione.
Perché dovremmo dimenticarle, e perché dovremmo dimenticarle proprio a scuola, nella nostra scuola, quella aperta a tutti, quella che dovrebbe rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, quella che premia i capaci e i meritevoli, ma non dimentica gli altri, quella che consente a tutti – senza distinzioni di sesso, razza, religione – di accedere a quello strumento di emancipazione che è la cultura? Stanno facendo di tutto perché sia così, ma non dobbiamo stancarci di dire (e di urlare, se necessario) parole più alte, più convincenti, più capaci di smuovere la responsabilità che ciascun cittadino deve avere nei confronti del proprio Stato.
4. Infine un’ultima notazione, ancora biografica, mi perdonerete. Allora non avevo tempo, voglia, necessità di sentirmi italiana. La caratterizzazione culturale che l’appartenenza di sinistra configurava, non lasciava spazio a questo elemento, troppo contiguo all’opzione identitaria della parte contraria. La maturità – assieme alla capacità che coloro che ci governano hanno avuto di allertarci rispetto ad una possibile perdita di quel sentimento e di quell’esserci nel mondo – mi portano oggi a rivendicare il senso più alto dell’essere italiana, senza paura di cadere in eccessi di patriottismo, peraltro inopportuni.
Nel nostro piccolo-grande campo della scuola, le proposte di matrice leghista, dalle impronte ai rom alle classi-ponte di Cota, dalla quota del 30% al reclutamento regionale e il mai conclamato rischio della rottura dell’unità del sistema scolastico nazionale mi portano ad affermare con forza – più che mai – il valore prezioso e profondo dell’Unità del nostro Paese, proprio nel momento in cui questo è chiamato ad accogliere culture differenti. Questo 2 giugno, introdotto dalle parole di Calamandrei, ancora più che in passato deve quindi rappresentare per tutti noi un collante significativo e l’annuncio di una direzione dalla quale non vogliamo e non possiamo deragliare.
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Un altro importante discorso di Piero Calamandrei
Per una scuola della Repubblica
… Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci).
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato… (continua qui)
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L’occhio del lupo
I dirigenti scolastici quando non ti fanno incazzare – quando? – fanno tenerezza. Ne vedi di quelli che ti guardano male perché hai un libro in mano e non sembra un libro di testo, che sbirciano da sotto le lenti per capire qual è la testata che tieni nella tasca della giacca, che sanno che la testata non gliela daresti mai solo perché stilisticamente riprovevole – fatta eccezione per quella di Zidane (impeccabile). E ci sono quelli che te li citano i giornali per avvertirti che la norma tal dei tali significa che – che?
Fanno tenerezza. Si fanno spiegare la norma misteriosa dal Messaggero. Hanno un’aria da orfani, o di quelli picchiati da piccoli. Ma di brutto. Che non vedono l’ora di vendicarsi. Il loro sogno in procinto di realizzarsi è dirigere carceri.
(michele lupo)
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La settimana scolastica
All’insegna della crisi le notizie di questa settimana. Crisi evidenziata dal Rapporto Annuale Istat relativo al 2010, che fotografa un’Italia che si percepisce senza orizzonti e senza futuro. Secondo l’Istat le vendite al dettaglio a marzo sono calate del 2,0% rispetto allo stesso mese del 2010 e dello 0,2% rispetto a febbraio. Ripresa difficile, certificata anche dall’Ocse nel suo Economic Look di primavera, che registra in leggero ribasso all’1,1% la crescita del Pil di quest’anno, contro il +1,3% stimato in autunno. Nell’Eurozona invece l’Ocse prevede un Pil in crescita del 2% nel 2011, meglio del +1,7% stimato a novembre, e un altro +2% nel 2012.
Ulteriori ombre anche sulla scuola. Man mano che si analizza, il Decreto sullo sviluppo si manifesta per la scuola e l’Università un altro tassello di un infernale “gioco a distruggere”. Ne fa una puntuale analisi Osvaldo Roman:
Si tratta di qualche cosa di analogo a quanto imposto ad un milione di docenti e di ATA della scuola con la cancellazione giuridica dalla carriera economica di tre anni(2010-2011-2012) di servizio. E’ sfuggito a molti osservatori che è proprio grazie a tali misure che nel DEF 2001 si può prevedere un calo della percentuale, rispetto al PIL, della spesa pubblica per l’istruzione dal 4,2 del 2010 al 3,7 del 2015 (3,2 del 2030).
E che fine hanno fatto i fondi a sostegno dei processi dell’autonomia scolastica previsti della legge 440? Siamo al termine del 2010/2011 e le scuola non conoscono ancora le cifre dell’anno precedente. In compenso già nel mese di febbraio il Ministero aveva dato disposizioni perché alle scuole paritarie fossero erogate le somme previste (5milioni di euro).
Parlano di crisi anche i dati relativi ai giovani diplomati. Secondo il rapporto AlmaLaurea tra gli studenti diplomati nel 2009 sei su dieci sono iscritti a un ateneo e un quarto ha un impiego. Ma il 15% è disoccupato o non cerca neppure più un lavoro, gruppo che sale al 25% tra chi esce dai tecnici e professionali (vedi qui). Non c’è da stupirsi se sono 7 milioni i ragazzi che non lasciano la famiglia. Solo il 9% lo fa per scelta.
Non incoraggia il proseguimento degli studi l’aumento boom di tasse per gli studenti universitari italiani. Nel corso del 2009/2010, in media, ogni studente ha dovuto sborsare circa 68 euro in più dell’anno precedente: più 8%. Più in generale, costa sempre di più studiare.
E come sono gli stipendi, dopo la laurea? Va male per gli umanisti. Secondo quanto elaborato da AlmaLaurea a marzo 2011, un laureato in ingegneria che ha terminato il 3+2, dopo tre anni che si è laureato, guadagna in media 1.532 euro netti al mese. Il 55% in più di chi esce da un corso umanistico e che si deve accontentare di 985 euro al mese. Chi ha conseguito una laurea in ambito economico-statistico, con una media pari a 1.461 euro netti al mese, supera del 48% la retribuzione media degli umanisti.
S’impoverisce anche l’offerta culturale. Per effetto della “riforma” Gelmini nell’ultimo anno l’università italiana ha tagliato 348 corsi di laurea; 863 negli ultimi quattro anni. In un solo anno sono scomparse 170 lauree triennali di primo livello e 214 lauree magistrali o specialistiche. E con loro 148 corsi di area scientifica, 129 umanistici, 125 sociali.
Non sta meglio la scuola secondaria, che registra abbandoni scolastici alle stelle. Nel 2010 il 18,8% dei ragazzi italiani ha lasciato la scuola senza conseguire il diploma di maturità, a fronte di una media europea del 14,4%. Siamo molto lontani dal traguardo fissato da Strategia Europa 2020, che mira a portare sotto il 10% la soglia di dispersione.
Rientra nello stesso quadro di crisi generale il fatto che negli ultimi due anni la richiesta di campi scolastici estivi è aumentata un po’ ovunque in Italia: +10% a Torino e Milano, +5% a Bolzano (dove le attività estive si svolgono soprattutto all’aperto e vantano una lunga tradizione), +15% a Roma e Napoli. Così anche d’estate una scuola su quattro resta aperta, dalle materne alle medie. Il personale arriva da cooperative e associazioni, perlopiù del mondo cattolico, e il servizio spesso dura fino alla fine di luglio.
Prosegue anche così l’impoverimento della scuola pubblica: adesso si vuole privatizzare il sostegno agli alunni disabili.
“I dirigenti degli istituti scolastici e delle scuole di ogni ordine e grado sono autorizzati - si legge nell’unico articolo che compone il disegno di legge dei senatori Pdl Francesco Bevilacqua e Antonio Gentile – a definire progetti, con la collaborazione di privati, per il sostegno di alunni con disabilità“.
C’è chi lo chiama “il grande affare“. “E dove dovrebbero mai trovare le risorse le scuole, che non hanno più un euro in cassa, per tali collaborazioni? Il sostegno sarà a carico dei familiari o di improbabili sponsor?” si chiede Francesca Puglisi, responsabile Scuola della segreteria del Pd. D’altra parte già per il prossimo anno scolastico in qualche scuola milanese si prospetta il tempo pieno a pagamento.
E c’è un ulteriore episodio, piccolo ma significativo, di quanto per questo Ministro sia irrilevante la scuola e la sua qualità. Il Ministro Gelmini non firma il decreto per la prosecuzione delle sperimentazioni e chiude così tre esperienze ultra trentennali: la scuola Rinascita di Milano, la Scuola-Città Pestalozzi di Firenze e la Don Milani di Genova.
Passate le prove Invalsi, continua la discussione sulle prove e più in generale sul tema della valutazione. Segnaliamo l’intervento a favore delle prove di Tito Boeri, quello contro di Vincenzo Pascuzzi, i dubbi di Marco Magni. Mentre la Segreteria Flc-Cgil di Parma ha deciso di promuovere un ricorso collettivo contro gli ordini di servizio inviati ai docenti dalla D.D. di via F.lli Bandiera relativi alla somministrazione e alla correzione delle prove Invalsi.
Intanto si avvicina la chiusura dell’anno scolastico, e Cobas e Unicobas lanciano lo sciopero degli scrutini. Così ne sintetizza i motivi Piero Bernocchi, portavoce nazionale Cobas: “Sarà uno sciopero contro la scuola-miseria, per la cancellazione dei tagli degli organici, l’assunzione dei precari su tutti i posti vacanti e disponibili, l’apertura immediata della trattativa per il contratto con adeguati aumenti salariali, l’inserimento nella Finanziaria delle somme per la restituzione degli scatti di anzianità scippati, contro lo strapotere dei presidi-padroni, per la restituzione a tutti del diritto di assemblea”.
Suscita tensioni la circolare ministeriale che indica il 25% delle assenze da parte degli studenti come limite massimo consentito per rendere valido l’anno scolastico. Nascono timori su come possano essere considerate autogestioni e occupazioni delle scuole e che la norma possa essere applicata in chiave punitiva.
Preoccupazioni alla notizia dell’obbligatorietà agli esami di licenza media della prova scritta di seconda lingua (fino allo scorso anno era compito delle scuole decidere se far affrontare ai propri studenti un esame orale o anche scritto). Ma i presidi non ci protestano, la comunicazione ministeriale è tardiva.
Preoccupazioni anche da parte di un Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità che invita a vigilare per la correttezza dello svolgimento degli esami di Stato. Di seguito un commento di Alessandro Cartoni.
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Dopo i buoni, anche i “responsabili”
di Alessandro Cartoni
Immaginiamo una nave sbrindellata, con la linea di galleggiamento sotto il limite consentito, che stia affondando a causa di una “tempesta perfetta”, oppure a causa di un’onda anomala che la trascina in alto e poi a fondo, come nel folle volo di Ulisse, con inusitata violenza. Ebbene su questa bagnarola c’è qualcuno sottocoperta che sorprendentemente, fa finta di non accorgersi di nulla, ma è del tutto impegnato a mantenere lucida e in ordine la propria cabina. Con uno zelo straordinario e con altrettanta emozione si aspetta che da un momento all’altro il capitano venga a fare l’ispezione, trovi la “cabina in ottime condizioni”, gli faccia un encomio e magari lo passi di grado. Quasi inutile aggiungere che il capitano è saltato nella scialuppa di salvataggio oppure dorme ubriaco nella cabina comando.
Questa è l’immagine che mi è venuta in mente leggendo l’appello del “Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità” per la “correttezza degli esami di stato”. Confesso purtroppo che la parola “responsabilità” evoca ormai un alone oscuro che sa di connivenza e di grigi maneggi poiché la si riferisce naturalmente a quel gruppo di transfughi in cerca di prebende e ministeri che hanno salvato più volte il moribondo governo Berlusconi. E’ dunque oramai abbastanza naturale diffidare di chi si autodefinisce “responsabile” e proprio evocando l’impegno etico fa invece trapelare interessi tutt’altro che etici.
Ma se arrivano i “responsabili” anche nelle scuole allora c’è qualcosa che non va.
Tralascio di entrare nel merito dell’”atto di fede” per la “correttezza” perché sarebbe semplicemente grottesco, mi limito a segnalare che contro gli abusi, gli aiuti indebiti, o il “copiaticcio” o i trattamenti di favore che gli “indignati di Firenze” evocano con furore giansenistico esistono le leggi dello stato, la normativa scolastica e il codice penale. Non si vedrebbe dunque il quid di questo giuramento epocale. Tuttavia, ripeto, c’è qualcosa che non va: il ricorso allo spirito, alla coscienza, diventa sospetto quando la storia infuria, quando la Costituzione è sotto i piedi, quando la scuola è a brandelli, quando ci promettono altri tagli e le prove INVALSI per l’esame di stato 2012, la tortura per gli “inculcatori” e i risparmi delle famiglie per pagare il sostegno.
C’è sempre stato nelle élites intellettuali di questo paese un disprezzo per la critica vera, per l’impegno attivo, per la scelta di campo vista come una cosa volgare, oppure dannosa o brutalmente materialistica di fronte all’incommensurabile (e connivente…) altezza dello Spirito e della coscienza. In fondo questo giuramento spirituale degli indignados fiorentini non è che l’ultima variante di quella società degli Apoti di cui andò fiero Prezzolini: “Non è niente di male per la società se un piccolo gruppo si apparta, per guardare e giudicare; e non pretende reggere o guidare, se non nel proprio dominio che è dello spirito”.
Ai responsabili fiorentini andrebbe forse ricordato che chiudere la stalla quando i buoi sono già usciti non è solo inutile ma complice, che prendersela con l’esame di stato quando tutto il percorso fa acqua è miope, che pulire la cabina quando la nave affonda è ridicolo, che curare il “particolare” quando è l’universale che sta male non eviterà la degenerazione dell’intero organismo.
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Il decreto Brunetta qui.
Il vademecun della CGIL sulle sanzioni disciplinari qui.
Tutti i materiali sulla “riforma” delle Superiori qui.
Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.
Guide alla scuola della Gelmini qui.
Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.
Una sintesi dei provvedimenti del Governo sulla scuola qui.
Un manuale di resistenza alla scuola della Gelmini qui.
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Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.
Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.
Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Gilda, Cub.
Spazi in rete sulla scuola qui.
(Vivalascuola è curata da Nives Camisa, Alessandro Cartoni, Michele Lupo, Giorgio Morale, Roberto Plevano, Lucia Tosi)