Ricchi premi ai docenti: rifiutata da Torino e Napoli, la Proposta sbarca a Milano: il 13 convocati i Presidi. Con l’accordo Fiat, «grave atto antidemocratico verso mondo del lavoro». Sciopero FIOM il 28 gennaio. Scioperano anche Cobas e Cub, comunicato di FLC-CGIL, appello su ReteScuole.
Il feticcio della meritocrazia
di Giovanna Lo Presti
Sia scarsa la mensa, sia lacero il saio
S’addoppian le forze del bravo operaio;
Se misera e tarda gli vien la mercede
Non langue la fede – nel forte suo cuor…
Introduzione
A mo’ di epigrafe, per non dimenticare
Due giovani meritevoli: Maria Stella Gelmini e Renzo Bossi.
Due giovani ai quali il futuro non è stato rubato
«In quei mesi di tormenti a cavallo tra il 2000 e il 2001 la Gelmini si trova dunque a scegliere (…) «La mia famiglia non poteva permettersi di mantenermi troppo a lungo agli studi, mio padre era un agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare l’esame per ottenere l’abilitazione alla professione». Quindi? «La sensazione era che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati e altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a superare l’esame. Per gli altri, nulla. C’era una logica di casta, per fortuna poi modificata perché il sistema è stato completamente rivisto». E così, «insieme con altri 30-40 amici molto demotivati da questa situazione, abbiamo deciso di andare a fare l’esame a Reggio Calabria».
I risultati della sessione del 2000, del resto, erano incoraggianti. Nonostante lo scoppio dello scandalo, nel capoluogo calabrese c’era stato il primato italiano di ammessi agli orali: 93,4%. Il triplo che nella Brescia della Gelmini (31,7) (..)
Insomma, la tentazione era forte. Spiega il ministro dell’Istruzione: «Molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi». Del resto, aggiunge, lei ha «una lunga consuetudine con il Sud. Una parte della mia famiglia ha parenti in Cilento». Certo, è a quasi cinquecento chilometri da Reggio. Ma sempre Mezzogiorno è. E l’esame? Com’è stato l’esame? «Assolutamente regolare». Non severissimo, diciamo, neppure in quella sessione. Quasi 57% di ammessi agli orali. Il doppio che a Roma o a Milano. Quasi il triplo che a Brescia. (…) Così facevan tutti, dice Mariastella Gelmini. Da oggi, dopo la scoperta che anche lei si è infilata tra i furbetti che cercavano l’esame facile, le sarà però un po’ più difficile invocare il ripristino del merito, della severità, dell’importanza educativa di una scuola che sappia farsi rispettare».
Gian Antonio Stella, dal Corriere della Sera, 4 settembre 2008«Renzo Bossi è il “primo eletto della Lega” in provincia di Brescia. Lo ha annunciato il padre Umberto Bossi parlando con i giornalisti nella sede del Carroccio in via Bellerio. Alla domanda se il figlio poteva essere il suo delfino, in passato, Bossi aveva replicato: “Non vedete che è una trota?”»
La Repubblica Milano, 29 marzo 2010«Nella vita penso si debba provare tutto tranne due cose: i culattoni e la droga».
Renzo Bossi, neoconsigliere alla Regione Lombardia
Centocinquanta anni fa il nuovo Regno d’Italia affidava il Ministero dell’Istruzione a Francesco De Sanctis. Nel 2008 lo stesso Ministero veniva affidato a Maria Stella Gelmini – questo si chiama progresso!
Alla sua prima uscita da Ministro, Maria Stella Gelmini, come una scolaretta diligente, pronunciava il suo discorso d’esordio citando Gramsci e Abravanel (1). E chi è Abravanel? Ci chiedevamo – e non sapevamo, noi sprovveduti provinciali, che Abravanel è uno che ha lavorato “trentaquattro anni in McKinsey (2) come consulente di aziende italiane e multinazionali in Europa, America ed Estremo Oriente. Nel 2006 ha lasciato la McKinsey ed è attualmente consigliere di amministrazione di varie aziende e advisor di fondi Private Equity in Italia e all’estero“, perbacco! Questo dice la sua biografia ufficiale. Nel maggio del 2008, giusto in tempo per l’incoronazione di Gelmini, era appena uscito il suo saggio Meritocrazia, sicché la giovane Ministro, nel suo discorso di esordio, poteva mettere accanto al nome di Gramsci quello di un pensatore di pari dignità intellettuale.
Questo era l’incipit di un Ministero che avrebbe portato, nel giro di pochi mesi, alla “riforma epocale“.
Prima di dare il via alla “riforma epocale“, prima dello sconvolgimento che avrebbe segnato l’inizio dell’Età dell’Acquario per la dissestata scuola statale italiana era stato necessario qualche atto propiziatorio. Ogni soglia va oltrepassata con cautela, i riti di passaggio debbono essere rispettati. Così, nell’estate del 2008, erano stati invocati gli dei Mani: ed erano giunti dalle profondità ctonie in cui quarant’anni di scuola di massa li avevano relegati, i fantasmi lividi del Grembiulino, del Voto, della Serietà. Complice la penuria agostana di notizie, avevano occupato le pagine dei giornali – al mare e ai monti chi confutava le “tesi” del Ministro, chi le elogiava. Forse uno sberleffo collettivo sarebbe meglio servito a far svanire i pallidi fantasmi.
Poi apparve la “Riforma Epocale” – tagli, solo tagli, ancora tagli e sempre un fantasma sullo sfondo, quello della Serietà.
Dopo essersi occupato degli studenti ed averli sistemati nell’universo parallelo della Serietà per mezzo della triade grembiulino-Voto di profitto-Voto di condotta, il Ministro (e parliamo del Ministro non per personalizzare la questione, ma per pura comodità narrativa; lo sappiamo che “oltre Gelmini c’è di più“) si deve ora occupare degli insegnanti, per valutarne il Merito.
Quella del Merito è una vexata quaestio, una faccenda spinosa su cui si può cadere; e l’accorta Gelmini non vuole fare la fine di Berlinguer che, scivolato sulla buccia di banana del “concorsone“, ci rimise il Ministero. Gelmini sa che la battaglia per l’affermazione del “merito” è bipartisan ed agisce, ma con prudenza.
In primo luogo a febbraio 2010 istituisce un Comitato tecnico-scientifico (perciò due volte super partes – chi vorrà contestare la neutralità della Scienza e della Tecnica?), i cui lavori porteranno alla formulazione della Proposta di progetto sperimentale per premiare gli insegnanti che si distinguono per un generale apprezzamento professionale all’interno di una scuola. Il documento, venuto alla luce nel mese di novembre, ha dato modo al Ministro Gelmini di parlare di giorno “storico” per la scuola italiana. Che caspita! Finalmente separeremo il grano dal loglio e il bravo insegnante sarà finalmente distinto dalla feccia degli insegnanti-massa, dalla suburra degli sfaticati. E il meritevole avrà il suo premio – che caspita! Basta con questo avvilente egualitarismo, basta con la distribuzione degli aumenti a pioggia (piovono soldi su tutti, ma siamo matti?) basta, basta, basta! Serietà!
Pensiamo a cosa ha fatto questo governo: per dimostrare l’oggettiva necessità di premiare il merito si è ricorso ad un estremo sacrificio – si è messo sul trono del Ministero dell’Istruzione una signora che ha fatto ricorso ad orrendi mezzucci per diventare avvocato, tanto per dimostrare al Paese dove si va a finire se non si onora il Merito. Estremo sacrificio, ma ne valeva la pena. Certo, la scuola statale sta andando a catafascio, ma pazienza – le leggi del Merito si sono dimostrate infallibili.
Lo staff ministeriale ha provveduto a sostenere il non-meritevole Ministro e a mandare avanti la crociata meritocratica. Certo, i risultati non sono molto brillanti: la Proposta appare approssimativa, fumosa, patetica addirittura in più di un passaggio. Ma dietro c’è il lavoro dell’illustre e qualficato Comitato tecnico-scientifico! Adesso vediamo com’è composto.
Dati biografici essenziali dei membri del CTS, presentati in ordine sparso: in corsivo qualche loro dichiarazione a proposito della Proposta per la quale il suddetto CTS ha lavorato.
Luisa Ribolzi: docente di sociologia dell’educazione, presidente del Comitato Scientifico di Progetto Excelsior. Fa parte del comitato scientifico del Forum delle Associazioni Famigliari, e in questa veste ha approfondito il tema della partecipazione familiare al governo della scuola. E’ membro del Consiglio Direttivo dell’OCSE CERI in rappresentanza dell’Italia.
«… le sperimentazioni avviate prevedono un monitoraggio esterno, affidato a tre Fondazioni che svolgono un compito di ricerca e controllo degli esiti dei due diversi progetti, e anche questo è un segnale forte, perché muove in direzione di un abbandono dell’autoreferenzialità che ha finora caratterizzato le – poche – procedure di valutazione presenti nella scuola italiana».
Elenco dei rappresentanti delle “tre Fondazioni” di cui sopra, che aiuteranno a superare l’”autoreferenzialità“: Andrea Gavosto, Direttore della Fondazione Agnelli; Claudio Gentili, Direttore del Nucleo Education di Confindustria; Attilio Oliva, Presidente di TreeLLLe.
Gavosto, Gentili e Oliva fanno, naturalmente, parte del CTS nominato dal Ministero. Se qualcuno voleva avere una prova ulteriore che la tanto sbandierata “autonomia scolastica” significa subalternità della scuola al cosiddetto “mondo del lavoro“, eccola qui.
Nel comitato troviamo anche funzionari ministeriali di vario grado:
Giovanna Barzanò: ispettrice MIUR; Giovanni Biondi ricopre la carica di Direttore di Indire (ora Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica); Giuseppe Cosentino, Capo Dipartimento Istruzione MIUR; Paola Gallegati, Dirigente scolastico,
C’è anche un sindacalista: Giancarlo Cappello, responsabile Ufficio Studi Cisl Scuola.
Seguono quelli che Biondi ha definito, nella sua presentazione della Proposta a Torino “esperti di fama internazionale“.
Norberto Bottani: già direttore della ricerca educativa dell’Ocse e ora alla guida dello Sred – Service de la récherche en éducation, del cantone di Ginevra.
Qualche sua affermazione recente, tratta da un’intervista significativamente intitolata “Bottani: l’educazione di Stato è finita, il futuro è del federalismo“:
«Il servizio scolastico è il prodotto di un’operazione pomposamente presentata come un atto di progresso, come un’iniziativa lodevole contro le barbarie, lo sfruttamento e la miseria. All’opinione pubblica, che dopo tutto finanzia con il gettito fiscale queste operazioni, e al personale reclutato per fare funzionare il servizio scolastico si è fatto credere che le politiche scolastiche sarebbero servite ad emancipare gli individui, a correggere le ingiustizie sociali e rendere più civili le società.
Non è così?
Dico semplicemente che è giunto il momento di rileggere queste operazioni per verificare se gli obiettivi con i quali gli Stati moderni hanno venduto ed imposto questi servizi come se fossero una conquista superiore corrispondono con quanto successo veramente in realtà e per conoscere l’origine di queste iniziative, i fattori che le hanno condizionate, le loro radici, le vicende anteriori che le hanno preparate e che hanno modellato la struttura di questi servizi, la quale avrebbe potuto essere anche del tutto diversa da quella che abbiamo sotto gli occhi. (3)
Mi sembra quindi che sia necessario ribadire che non ci sono livelli europei di retribuzione degli insegnanti e che la media degli stipendi europei non può affatto essere presa come un termine di paragone accettabile per definire un livello europeo. (…) Questo significa che il livello di retribuzione di un docente in Lapponia o nella Carinzia non può essere comparato a quello di un docente nelle Madonie oppure in Andalusia. I termini di paragone non possono essere che locali o regionali. Invece di fare il confronto con un fantomatico livello di retribuzione europeo sarebbe auspicabile che in una comunità si confrontasse il livello retributivo dei docenti con quello di un garagista, di un carabiniere, di un’assistente sociale, di un avvocato, di un medico, di un ragioniere, di una commessa di supermercato o di un’infermiera. Si può o magari si deve anche prevedere una soglia minima negoziata a livello nazionale al di sotto della quale non è concesso andare ma nulla vieta che si stabilisca localmente la retribuzione dei docenti in funzione non degli stipendi medi ma dell’apprezzamento che una comunità intende conferire all’istruzione scolastica. Questo significa che in un regime di autonomia serio anche le rimunerazioni dei docenti possono e debbono variare da una regione all’altra. Non intendo negare il rischio che si possano provocare squilibri retributivi all’interno della professione e che, senza opportuni interventi, si possano accentuare ingiustizie educative tra istituti (…) ma questa è una situazione che il sistema centralistico vigente di gestione del personale della scuola imperniato sul criterio dell’uniformità non ha saputo né evitare né correggere».
Giorgio Israel: docente di Matematica all’Università La Sapienza di Roma. E’ stato membro di commissione dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Come opinionista, è stato un autorevole difensore della “riforma“. Questo è il suo giudizio, nettamente polemico, sulle conclusioni cui è giunto, nella Proposta, il CTS:
«Sono stati proposti a livello ministeriale due modelli di valutazione da sperimentare in gruppi di scuole per valutare scuole e docenti. Mi astengo al momento da una analisi specifica di questi modelli, su cui ho le più grandi perplessità: lo farò in altra prossima occasione. Mi limiterò, per ora, a proporre un documento che presenta una serie di idee e che non è stato degnata di alcuna considerazione».
n.d.r. In sintesi: Israel propone di istituire un corpo di ispettori per la valutazione dei docenti e fa una serie di critiche “scientifiche” alla Proposta. La linea di Israel, buona o no che sia, comporterebbe comunque ingenti investimenti e invece nella Proposta si sottolinea che la sperimentazione è “poco costosa“.
Andrea Ichino: docente di Economia all’Università di Bologna. Si era già occupato di valutazione del merito in un ampio documento a più mani dal titolo “Un sistema di misurazione degli apprendimenti per la valutazione delle scuole: finalità e aspetti metodologici“. I passaggi fondamentali di quel documento si possono così riassumere:
- la scuola dell’autonomia non ha i soldi necessari per funzionare bene;
- il sistema di valutazione è necessario per la scuola dell’autonomia;
- quindi, anche senza soldi, dobbiamo sperimentare il sistema di valutazione.
Non è granché, anche per un economista, ma è così.
Adesso, il fratello del più noto Pietro valuta così la Proposta:
«Sono, però, anche i contenuti di queste sperimentazioni a costituire una rivoluzione perfino a livello internazionale. Le sperimentazioni sono due perché due sono le famiglie di strumenti per l’incentivazione degli insegnanti sui quali gli esperti più aspramente discutono: gli strumenti che prevedono un premio erogato alle scuole, lasciando poi ad esse di decidere come suddividerlo tra chi ha contribuito al successo; oppure quelli che invece mirano a valorizzare i singoli insegnanti che si distinguono per un generale apprezzamento professionale all’interno di ciascuna scuola» (4).
La modestia è una virtù che accomuna Ichino Andrea a Gelmini: “rivoluzione perfino a livello internazionale“; “giorno storico per la scuola italiana“! L’autoreferenzialità a scuola non va bene, ma l’autopromozione funziona benissimo per esperti e ministri.
Il CTS ha lavorato sotto la presidenza di Anna Maria Poggi, ordinaria di diritto e legislazione scolastica presso l’Università di Torino e Presidente della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, vicina a Comunione e liberazione, convinta assertrice di alcuni postulati, come quello che l’articolo 33 della Costituzione afferma sì che le scuole private non devono comportare oneri per lo Stato, ma ciò non significa che le Regioni non possano dar soldi alle scuole private. Tanta erudizione per arrivare a giustificare questa boutade! Così conclude Anna Maria Poggi un’intervista sui lavori del CTS da lei presieduto:
«(…) questa sperimentazione deve avere il massimo di trasparenza. Tutto ciò che sarà fatto, compresi i documenti che il comitato elaborerà, tutto dovrà avvenire alla luce del sole. La trasparenza insieme alla collaborazione degli insegnanti e dei capi di istituto (così come delle associazioni professionali e dei sindacati) è condizione essenziale per la buona riuscita di questo percorso. Vorrei concludere citando una frase di Andrea Ichino, che come me è nel comitato tecnico scientifico. Non si ha paura della traversata del Mar Rosso, se si sa che di là ci aspetta la Terra Promessa».
Com’è gnomico il professor Ichino, com’è apodittico! Anche in questo caso vincono senso della misura e understatement.
Un dubbio: sarà in omaggio al “massimo di trasparenza” che il dottor Biondi, nella sua presentazione della Proposta ai Dirigenti scolastici, ha consigliato ai capi d’Istituto di tenere nell’anonimato i docenti che si sottoporranno volontariamente alla valutazione?
Chiude questa nota sui membri del CTS Giovanni Zen, che è soltanto un Dirigente scolastico. Proprio per questo lo mettiamo in rilievo, facendogli chiudere la rassegna, perché a scuola il dottor Zen ci vive ogni giorno. Anche lui ha diritto ad una citazione (un po’ lunga, un po’ noiosamente scolastica), presa dalla relazione che ha scritto al Consiglio d’Istituto del’ITI “Rossi” di Vicenza nell’anno scolastico 2008-2009:
«Obiettivi chiari e vincolanti per tutti, capaci di farci superare quella micro-conflittualità che è la regina, purtroppo (tutti invochiamo la pace, ma pratichiamo invece tante forme di conflitto…) del nostro vivere quotidiano, segno di una continua insoddisfazione della percezione individuale e sociale. L’antidoto, lo sappiamo, è il “pensare positivo”, è il pensare “in” positivo, nonostante le tante immancabili difficoltà… Se non vi è la comune percezione della imprescindibilità di questo compito di aggiornamento e di continuo ripensamento, aspetti che danno sapore e senso del nostro essere persone prima che professionisti della scuola di oggi, è altrettanto chiaro che una scuola si trova destinata, con o senza volerlo, alla decadenza e alla indifferenza di studenti e famiglie, i nostri veri datori di lavoro, come recita la logica della sussidiarietà. Cuore della vera solidarietà e della sostanzialità della vita democratica di una comunità come è appunto una istituzione scolastica».
Bell’omaggio alla sussidiarietà: ma ancor più bella la dichiarazione di Zen, assurto agli onori della cronaca per una sua circolare che vietava a scuola l’uso delle infradito:
«Ci si ripeteva un tempo che l’abito non fa il monaco ma (forse) non è del tutto improprio ricordare o sottolineare che il decoro e l’abbigliamento sono particolari non insignificanti del nostro modo di essere e di rapportarci con gli altri».
n.d.r. Segue l’elenco degli indumenti che è inopportuno indossare per andare a scuola, quantomeno se si frequenta il Rossi di Vicenza: «Pantaloni a vita bassa, infradito ai piedi, calzoni corti quasi fossimo al mare, certi abbigliamenti da spiaggia» (5).
Adesso che sappiamo chi ha pensato a come sciogliere il nodo di Gordio della valutazione dei docenti siamo più tranquilli. A volte anche giocare a “valutare i valutatori” può essere istruttivo. La squadra presieduta da Anna Maria Poggi è in odore di aziendalismo, clericalismo, familismo; non ha a cuore la scuola statale, anzi la considera una sopravvivenza, che dev’essere superata da una scuola federalista, localista, possibilmente privata, meglio ancora cattolica. La dimensione europea, che numerosi membri del CTS conoscono per esperienza diretta, li conforta in queste idee la cui grettezza non è attenuata né dallo smalto dello specialismo né dalle sporadiche affermazioni che sembrerebbero auspicare una scuola migliore dell’attuale.
La Proposta di progetto sperimentale per premiare gli insegnanti che si distinguono per un generale apprezzamento professionale all’interno di una scuola lungi dall’essere, come afferma Ichino, “rivoluzionaria perfino a livello internazionale” è un inaccettabile ibrido, privo di qualsiasi valore scientifico. La modestissima quantità di euro che il governo investe in questo progetto è il segno chiaro di quanto venga considerato attendibile dagli stessi che lo hanno proposto.
Attuato in venti scuole e in due città italiane, Torino e Napoli (questo secondo il documento iniziale: poi, si veda la parte finale di questo scritto, le condizioni si sono modificate in corso d’opera), il “progetto” prevede non solo l’adesione volontaria delle scuole ma anche l’adesione volontaria dei docenti, che verranno valutati da un “nucleo” formato dal dirigente scolastico e da due colleghi eletti dal Collegio. Al giudizio del nucleo si affiancherà anche quello di genitori e studenti, che si esprimeranno sul “grado di apprezzamento” del docente.
Compito delle scuole sarà “sperimentare l’utilizzo di indicatori dell’apprezzamento“, messi a punto in modo casalingo dalle scuole stesse. A ciò si aggiungerà curriculum vitae e scheda di autovalutazione del docente – perché si sa, la scheda di autovalutazione è quanto di meno autoreferenziale si possa immaginare! Se giudicati meritevoli, gli insegnanti esaminati (non più del 15-20% del totale) riceveranno entro aprile-maggio (teniamo conto che la partita non è nemmeno cominciata e che l’impresa è ancora in alto mare) l’equivalente di una quattordicesima mensilità.
Poniamo, per ipotesi, che soltanto il 20% degli insegnanti italiani sia meritevole. La domanda è: cosa ce ne facciamo del restante 80%, all’interno del quale, per giunta, se Brunetta ha ragione, si deve individuare il massiccio contingente (25%) dei “fannulloni“?
Poniamo per ipotesi che l’essere meritevoli si individui in base alla conformità ad un modello ideale di comportamento all’interno di un gruppo; ad esempio, in un gruppo di mafiosi, il comportamento onesto e rispettoso delle leggi dello Stato è un chiaro demerito.
Questi sono i due problemi principali che sorgono nel momento in cui, in un contesto lavorativo complesso come è quello della scuola, si voglia individuare il “merito“.
La natura della comunità scolastica richiede cooperazione e non competizione; originalità di elaborazione e non conformismo pedagogico.
Lo spostamento dell’attenzione sul momento valutativo, considerato come il “nocciolo duro” del processo dell’apprendere prima e dell’insegnare poi, è uno dei segnali più certi di impoverimento culturale della nostra scuola.
Abbiamo visto nell’ultimo decennio quante tensioni abbia creato nelle scuole la ripartizione del Fondo di Istituto. Abbiamo assistito al proliferare di “progetti” spesso inutili, talvolta dannosi, il cui scopo reale era quello di incrementare (di poco, ma a volte di molto) il reddito del “progettista“. Lo stesso ex-ministro Fioroni, di fronte all’evidenza, fu costretto a deprecare il comportamento delle scuole-progettifici. Pensiamo ai danni che potrebbe creare nelle nostre scuole l’individuazione degli insegnanti-primi della classe. Nella “scuola dell’autonomia” l’adesione alla mission del proprio istituto scolastico è già oggi, purtroppo, considerata doverosa; che spazio avrebbe, in una scuola futura e “meritocratica” la libertà di insegnamento, di critica e di espressione?
Molti insegnanti sentono il riconoscimento del merito e la valutazione del lavoro docente come un problema che vada affrontato seriamente; respingeranno la proposta del Ministro perché cialtrona. Una parte, minore della precedente (6), teme la valutazione, perché si sente insufficiente e vuole vivere nell’ombra: anche questa parte respingerà la Proposta. Un gruppo limitato, ma non insignificante, non teme la valutazione ma non vuole essere valutato, se non dai propri allievi – non dai voti eventuali, che, in un patetico rovesciamento del gioco delle parti, gli studenti dovrebbero assegnare agli insegnanti, ma dagli sguardi dei propri studenti, dalla loro attenzione, dalle loro domande. Anche questo gruppo dirà no alla Proposta.
Resta ancora un gruppo, non così esiguo come sarebbe auspicabile: non dovrebbero fare gli insegnanti, perché è meglio un insegnante fannullone di un insegnante privo di spirito critico. Quest’ultimo gruppo, quello degli yes-men, dice di sì a tutto: approverà anche la proposta, ma sarà in minoranza.
Conclusioni
Nel 2011 la nostra giovane nazione celebrerà il centocinquantenario: non dimentichiamo che, fra i molti problemi che il nuovo Regno d’Italia si trovò a dover affrontare, ci fu anche la “questione scolastica”. La legge Casati sulla scuola, entrata in vigore nel 1860, venne estesa agli Stati annessi, senza alcuna attenzione alla specificità di territori. I dati sull’analfabetismo raccolti nel censimento del 1861 dicono che la percentuale di analfabeti in Italia è del 75% (percentuale allarmante e ben superiore a quella di altri paesi europei). Ma in Piemonte, ad esempio, gli analfabeti sono nel 1861 il 54% della popolazione, mentre in Sicilia sono l’89%. Al censimento del 1911 saranno scesi all’11% in Piemonte e al 58% in Sicilia: il divario tra Nord e Sud, invece di essere sanato, risulterà accresciuto. La principale causa di questo stato di cose è da rintracciare nell’insufficienza del sostegno finanziario: come la Legge Casati anche la Legge Coppino del 1877, pur prevedendo un primo biennio obbligatorio di istruzione elementare, venne spesso disattesa per mancanza di adeguati finanziamenti, sia da parte dei Comuni sia da parte dello Stato.
Possiamo qui introdurre un’affermazione di carattere generale, che dovrebbe essere scontata ma che troppo spesso non viene presa in considerazione: la “questione scolastica” non può essere, in nessun tempo, scissa dalla “questione sociale” e dall’esercizio dei diritti di cittadinanza in generale. Un esempio: i dati relativi agli elettori nel neo-nato Regno d’Italia. Essi erano circa il 2% della popolazione nel 1861 e diverranno il 7% con la riforma elettorale del 1882. Naturalmente gli elettori, oltre a dimostrare di aver pagato una certa quantità di imposte, dovevano saper leggere e scrivere.
Oggi siamo davvero ad una svolta epocale; la scuola di massa, quella che dal secondo dopoguerra agli anni Novanta ha consentito in Europa (con differenze non da poco tra i vari Paesi, che qui però tralasciamo) una progressiva crescita dell’istruzione, non è più sentita, da chi governa, come una risorsa ma come un problema oneroso da ridimensionare. Poiché non si possono chiudere le scuole (e le Università) ope legis, dall’oggi al domani, la Santa Alleanza dei governi europei, che guarda non ai popoli, ma alla finanza e al benessere delle banche, ha decretato, a partire dagli anni Novanta, che i costi per la scuola debbano essere contenuti e che, parallelamente, si debba aprire ai privati il mercato lucroso dell’istruzione. Da tempo l’Unione Europea si muove coerentemente in questa direzione. L’Italia riceve continue ingiunzioni in tal senso – eppure il nostro Paese si colloca agli ultimi posti fra i Paesi OCSE quanto alla spesa per l’istruzione. Noi deprechiamo Gelmini che pretende di migliorare la scuola italiana togliendole otto miliardi di euro – ma Gelmini o Tremonti non sono che gli esecutori dei piani europei e si limitano a dire e ad agire come l’UE comanda.
I documenti prodotti dall’Unione Europea confermano, se si ha la pazienza di leggerli, i peggiori sospetti e fanno comprendere che si sta cercando di costruire un “nuovo Welfare” in cui larghe masse di popolazione vivranno – male – in uno stato di precarietà esistenziale o, per dirla con l’efficace formula di Bourdieu, in stato di miseria.
Si legga questa datata citazione e se ne ricavino le riflessioni conseguenti:
Si possono ridurre per esempio i finanziamenti di scuola e università, ma sarebbe pericoloso ridurre il numero di immatricolazioni. Le famiglie reagirebbero violentemente se non si permette ai loro figli di immatricolarsi, ma non faranno fronte ad un abbassamento graduale della qualità dell’insegnamento e la scuola può progressivamente e puntualmente ottenere un contributo economico dalle famiglie o eliminare alcune attività. Questo si fa prima in una scuola e poi in un’altra, ma non in quella accanto, in modo da evitare il malcontento generalizzato della popolazione”.
(OCSE, Quaderno di politica economica, n. 13, OCSE, 1996) (7)
Pretendere che la scuola migliori (ma come?) spendendo di meno è un paradosso, soprattutto quando, come l’Italia, si è già collocati al fondo delle classifiche internazionali nella spesa per l’istruzione. Un paradosso analogo è quello che porta i governi europei a considerare necessario l’innalzamento dell’età pensionabile e il blocco del turn over come antidoto contro la crisi. Poi si alzano alti lai per l’aumento della disoccupazione giovanile!
Perciò, a conclusione di questa riflessione che ha preso come pretesto il progetto di valutazione del merito dei docenti italiani, si deve svelare l’arcano – o meglio dire che il re è nudo. Lo smantellamento del sistema scolastico (e universitario) statale è in atto da tempo, ma deve procedere con prudenza, passo dopo passo, e darsi una “copertura” ideologica. La copertura ideologica è fatta di parole-slogan che ben conosciamo: modernizzazione, efficacia, efficienza, merito. Parole per tutte le stagioni, parole bifide, caricate indebitamente di un segno sempre positivo. La critica della logica meritocratica comporta un lavoro lungo di indagine e di analisi; ma, in prima battuta, tutti sono portati, nel nostro corrotto paese – un vero Paese di Bengodi per immeritevoli truffaldini di ogni colore e di ogni taglia – a tessere le lodi del “merito”. Quale scudo ideologico migliore del “merito” per occultare i processi di privatizzazione, di asservimento dei docenti, di impoverimento progressivo degli stessi? Chi può dirsi, immediatamente, contro il merito?
Invece bisogna recuperare la capacità di respingere l’immediatezza e recuperare anche la fatica del ragionamento mediato e l’onere delle domande fondamentali. La prima, in questo ambito: a cosa serve la scuola come servizio universale? Senz’altro a rendere le diseguaglianze sociali meno forti, ad appianare gli svantaggi legati all’origine famigliare, a diffondere a tutti il sapere. Nel nostro Paese dagli anni Novanta si è assistito ad una concentrazione di ricchezza nelle mani di una parte minoritaria della popolazione (il 10% che detiene quasi la metà della ricchezza nazionale) e, nello stesso tempo, la mobilità sociale è diventata prossima allo zero: non meraviglia che il declino delle nostre scuole, soprattutto quelle tecniche e professionali, si sia fatto più forte anno dopo anno.
Non diamo retta alle voci flautate che piangono sul declino dell’istruzione tecnico-professionale e della scuola in generale: se le scuole tecniche vanno male è perché l’attuale modello (produttivo, economico, sociale) non ha alcun bisogno di manodopera qualificata, come invece alcuni affermano, mentendo. Ai detentori del potere economico e politico serve una scuola dissestata, che addestri in primo luogo alla precarietà esistenziale, che insegni che i lavoratori hanno pretese e privilegi, ma non diritti. I diritti sono quelli dei padroni. Il lavoratore pensi ad aumentare la produttività – e, se è bravo, verrà premiato.
Gli insegnanti italiani non diano retta alle sirene del “merito”, che portano la scuola di massa a naufragare sullo scoglio di un modello sociale rapace, contrario ad ogni tipo di solidarietà, pronto a sostenere l’antagonismo di tutti contro tutti. Se i docenti dimostreranno capacità critica, se riusciranno a sostenere le buone ragioni di un altro modello di scuola (ma attenzione: anche di un altro modello di sviluppo), e se rivendicheranno dignità intellettuale per il loro lavoro, se finalmente gli intellettuali usciranno dal loro isolamento accademico – allora gli sforzi di chi immagina una scuola (ed un mondo) migliore e diversa avranno qualche possibilità di successo. Il pretesto offerto dalla Proposta serva ai docenti per incominciare a dire di no: un “no” locale e limitato ma non per questo meno emblematico.
Epilogo
Ormai è certo: la proposta ministeriale di valutazione del merito è stata respinta dalle scuole delle città prescelte per la “sperimentazione“. E’ uno scatto d’orgoglio da parte di una categoria che da anni subisce tagli, riduzione del reddito, perdita di dignità lavorativa e culturale. A Torino su 118 scuole per ora solo una ha detto sì (con 15 voti favorevoli e 15 contrari: ha deciso il voto del preside). A Napoli, su 625 scuole solo 5 hanno accettato la sperimentazione. Il Ministro allora decide di allargare la sperimentazione alla provincia torinese e a Milano e di spostare in avanti la data per l’adesione all’iniziativa. E’ ridicolo, ma è così.
Noi speriamo che anche nei luoghi meno sindacalizzati e che il Ministero immagina più “amichevoli” gli insegnanti abbiano la capacità di comprendere che scambiare tagli per otto miliardi di euro in tre anni (e cioè condizioni di lavoro e di reddito peggiori per tutti e il licenziamento in massa dei colleghi precari) con una mensilità “premio” per il 15-20% (sic) di coloro che si sottoporranno alla “valutazione” sia una scelta degna di uno stupido. Come diceva l’illustre economista Carlo Maria Cipolla, lo stupido è “una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita“. Ecco, non è proprio il caso di fare gli stupidi.
Note
1) La collaborazione con Abravanel è poi continuata. Il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Mariastella Gelmini e Roger Abravanel hanno presentato il 15 luglio 2010 il Piano Nazionale Qualità e Merito (PQM). Questo si legge del PQM sul sito ministeriale: “La crisi che ha colpito l’economia mondiale ha evidenziato l’urgenza di un sistema d’istruzione in grado di fornire le competenze necessarie per affrontare la competizione internazionale e riprendere la strada della crescita. Tale obiettivo non può essere raggiunto senza l’introduzione di meccanismi e prove di valutazioni oggettive, elaborate sulla base di parametri standard ed internazionali.
Come ha ricordato anche di recente l’OCSE, l’Italia è ormai l’ultimo paese in Europa nel quale la valutazione degli apprendimenti rappresenta esclusivamente un “fatto interno”, vale a dire limitato al rapporto insegnante/studente, attraverso criteri del tutto soggettivi. I risultati raggiunti nei test oggettivi influenzano direttamente la crescita dell’economia: a risultati positivi nei test corrisponde sempre un livello maggiore di PIL pro capite. Il ricorso a tale tipo di test è indispensabile anche per promuovere il valore della meritocrazia. L’erogazione di borse di studio da assegnare agli studenti particolarmente meritevoli non può prescindere da una valutazione imparziale e credibile delle competenze dei ragazzi“.
2) Dalla home page della McKinsey: si noti il costante ricorso all’understatement. “We are the trusted advisor and counselor to many of the most influential businesses and institutions in the world. We serve more than 70 percent of Fortune magazine’s most admired list of companies. We are problem solvers with a passion for excellence. We are intellectually curious and highly collaborative. We minimize hierarchy. We don’t regard individuals based on their title, but their competence and leadership. We uphold the obligation – not a right, but an obligation – for each member of our firm to question anything that he or she feels is not right for a client. We come from all over the world, with rich experience and all kinds of backgrounds and areas of expertise. We speak over 120 languages and represent over 100 nationalities. We are a network of leaders. What we look for when we are hiring are individuals with leadership potential, integrity, a sharp analytical mind, creativity, and the ability to work with people at all levels in an organization.
We go to extraordinary lengths to support the people we hire to succeed. We have a passion for helping the people we work with. This passion to help continues in our alumni, who remain connected and loyal to our firm and its people. Those who join McKinsey join people bound by a shared set of values and a culture of support, caring, trust, respect, and interdependence. Our firm is a global network of offices and practices led not by one person, but by our partnership group. We are not a corporation tied to earnings pressures. We are not here to increase returns to our shareholders. Instead, we constantly measure new ideas, opportunities, and ways of working against our values. When they fall short our choices are easy, clear, emphatic, and final: We say “no thank you.” When they measure up, our choices are equally easy, clear, emphatic, and final: We say “yes” and put the full weight of our firm behind them.
3) http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2010/11/15/SCUOLA-Bottani-l-educazione-di-Stato-e-finita-il-futuro-e-del-federalismo/1/126504/.
4) Editoriale di Andrea Ichino, pubblicato sul Sole 24 Ore del 20 novembre 2010.
5) La Stampa, 29/5/2010.
6) La scuola italiana è strutturalmente così carente che se la maggior parte degli insegnanti non svolgesse in modo adeguato il proprio lavoro, non riuscirebbe ad andare avanti. E’ sulla buona volontà del tanto deprecato corpo docente che si regge il nostro sistema dell’istruzione statale.
7) «Si l’on diminue les dépenses de fonctionnement, il faut veiller à ne pas diminuer la quantité de service, quitte à ce que la qualité baisse. On peut réduire, par exemple, les crédits de fonctionnement aux écoles ou aux universités, mais il serait dangereux de restreindre le nombre d’élèves ou d’étudiants. Les familles réagiront violemment à un refus d’inscription de leurs enfants, mais non à une baisse graduelle de la qualité de l’enseignement et l’école peut progressivement et ponctuellement obtenir une contribution des familles, ou supprimer telle activité. Cela se fait au coup par coup, dans une école ais non dans l’établissement voisin, de telle sorte que l’on évite un mécontentement général de la population». Morrison Christian, “La faisabilitè politique de l’ajustement“.
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Materiali sul “merito”
a cura di Lucia Tosi
Facciamo finta di non aver letto niente, di non aver nel frattempo seguito minimamente gli sviluppi della cosa (sto cercando di rimettermi nella condizione mentale esatta in cui ero una mattina di non molto tempo fa, anche se pare sia trascorso un secolo da quando indossai la t-shirt con lo slogan meglio bionda che brunetta in occasione delle proteste contro il Decreto Legislativo n. 150/2009, meglio conosciuto, appunto, come “Riforma Brunetta”).
Mi fa una collega, qualche tempo dopo, con quella modalità tipica delle otto-meno-dieci del mattino, in cui tutti stanno pensando grosso modo agli affaracci propri e spesso si pensa a voce alta:
“Sta’ a vedere che adesso mi vengono a fare la…“conoscopia” al lavoro che ho svolto per anni! Chiederanno agli alunni e ai genitori – l’utenza – se sono meritevole, e, se sì, quanto, e se più o meno di Pinko, Pallo, Caio e Sempronio, che magari danno voti alti, non hanno compiti come questi da correggere”, e mi sventola il solito (l’ennesimo) plico, vergato di rosso, di compiti di italiano. “Andranno a vedere se ho pubblicazioni? Se sto qui al pomeriggio a gratis, come…” e rotea gli occhi “sai chi! Loro sì che sono bravi insegnanti! Per forza, non hanno figli e non hanno neanche un c…. da fare!”. Io annuisco, annaspo in cerca del contatto informativo (al solito, leggo i giornali dopo, molto dopo: troppo!) e salta fuori la cosa.
La chiamo così, a distanza di un anno (come Coso, l’Innominabile). La cosa: evoca una massa informe, molliccia, fangosa, repellente, anche sanguinolenta, dell’altro mondo. Cattivissima. Anche cosa nostra, a dire la verità. Magari cosa loro, per piacere, distinguiamo subito un bel noi e un loro, che marchi il territorio, altro che condivisione!
La sperimentazione è volta alla individuazione di un metodo che sia equo, semplice, trasparente, condivisibile e poco costoso per riconoscere e premiare il merito professionale e per permettere agli insegnanti di intraprendere un percorso di miglioramento e di crescita. La sperimentazione riguarderà i docenti di venti scuole situate in due città prescelte (Torino e Napoli). Le scuole verranno individuate attraverso un sorteggio effettuato tra quelle che avranno manifestato la loro adesione al progetto. Il progetto verrà sottoposto al Collegio docenti di ogni scuola sorteggiata per la delibera di adesione. (da ReteScuole)
Facciamo dunque come se non sapessimo nulla di nulla, non ci fossimo, cioè, già avvelenati abbastanza con un bel po’ di assemblee sindacali, di scambi di opinioni in corridoio tra l’ironico e il preoccupato, di articoli di giornale leggi qui, guarda qua, senti questo, hai visto che se n’è accorto persino Il Giornale?
Roma. Valutazione? No, grazie. Neppure la prospettiva di uno stipendio in più, una sorta di quattordicesima, induce i professori a sottoporre il loro lavoro ad un giudizio esterno. Il tabù dunque resiste e ancora una volta il tentativo di introdurre nel mondo della scuola un sistema in base al quale premiare i docenti più competenti e più impegnati e gli istituti più qualificati rischia di infrangersi contro la barriera innalzata dalla categoria, in nome di un egualitarismo che vuole cancellare qualsiasi differenza di preparazione, serietà e dedizione nei confronti della professione docente.
Il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, come per la verità avevano già tentato in modi diversi di fare i suoi predecessori negli ultimi 15 anni, ha messo a punto due progetti paralleli: uno per la valutazione degli istituti nel loro complesso e uno per i singoli docenti. Si tratta di due progetti sperimentali ai quali aderire volontariamente. Quello per le scuole era stato proposto a Pisa e Siracusa, l’altro indirizzato ai professori a Torino e Napoli. I progetti sono sperimentali ma i soldi per finanziarli ci sono davvero. Le scuole migliori saranno premiate con un fondo pari a circa 70.000 euro mentre i docenti avranno diritto ad una mensilità lorda in più.
Eppure la maggioranza dei docenti e degli istituti interpellati hanno detto no, tanto che il ministro è stato costretto a far slittare la data per aderire al 7 febbraio. Perché? L’adesione al progetto di valutazione è su base volontaria e da Torino ad esempio quasi tutte le scuole hanno respinto la proposta attraverso i rispettivi collegi dei docenti, chiamati ad esprimersi in proposito. Insomma, hanno fatto quello che chiedeva loro la Cgil con capillare opera di volantinaggio: respingere la proposta di sperimentazione.
A proposito del rifiuto da parte di molte scuole (vedi ad esempio la delibera della scuola Duca d’Aosta di Torino) di aderire alla proposta del Ministro, il Ministero risponde così:
Si possono riassumere in cinque categorie i problemi emersi riguardo alla sperimentazione ministeriale finalizzata a esplorare la possibilità di premiare i docenti che si distinguono per un generale apprezzamento professionale all’interno delle singole scuole:
- vaghezza dei criteri previsti per scegliere gli insegnanti da premiare;
- dannosità di premi che finiscano per generare liste dei “buoni” e dei ” cattivi” tali da minare la cooperazione tra gli insegnanti senza migliorare la didattica;
- scarsità del campione utilizzato e approssimazione del protocollo di sperimentazione;
- mancanza di una risposta all’esigenza di creare delle prospettive di carriera per i docenti;
- questa sperimentazione serve a mascherare i tagli che recentemente hanno interessato la scuola italiana e non ha prospettive di lungo periodo perché non è inserita in un disegno organico di valutazione del sistema scolastico.
Premesso che molti di questi problemi sono noti e dibattuti nella letteratura specializzata e quindi aperti a diverse risposte possibili, questa sperimentazione potrà offrire utili informazioni per affrontarli, al fine di costruire il sistema complessivo di valutazione della scuola italiana che il ministero è impegnato a costruire. Del resto sperimentazioni e pratiche di questo tipo sono in corso di realizzazione in tutti i paesi avanzati.
Per approfondire si possono leggere le pagine dedicate al tema dalla CGIL e da ReteScuole.
Può essere interessante leggere ciò che accade all’estero in merito (!) a progressione di carriera e valutazione degli insegnanti: sul sito di CGIL, Indire, PD, Gilda. Ma vogliamo, al contempo, comparare il trattamento economico dei docenti italiani a quello dei colleghi degli altri paesi europei? Vogliamo mettere nel conto il contesto attuale della “riforma Gelmini”, con i tagli di personale e risorse e il blocco degli stipendi, come fa Osvaldo Roman su ScuolaOggi? Vogliamo prima sanare il deficit di “consapevolezza metologica“ evidenziato dal MCE?
Chiunque abbia una sufficiente cognizione dei fenomeni educativi sa che tra la prestazione dell’insegnamento nella sua intrinseca qualità e il processo dell’apprendimento non c’è una diretta e univoca correlazione; lo stesso vale per il rapporto tra l’erogazione complessiva del servizio, in termini di funzionalità e di efficacia, e la qualità degli esiti formativi.
Vogliamo assumere una prospettiva di miglioramento del sistema che abbia come punto di partenza investimenti in risorse e formazione? Se no, ecco, ripensando a tutta la faccenda, la cosa fa o non fa ribrezzo?
Una mensilità in più! A parte che la quattordicesima evocata da Il Giornale richiama immediatamente il settore Commercio, e già questo la dice lunga sulla delicata, che dico, raffinata mentalità dei fiancheggiatori a stampa del Governo, che, da un lato ci equiparano ad un discount, ad un centro commerciale, evidentemente: nemmeno ad una bottega artigiana (gli artigiani non hanno quattordicesima) e, dall’altro, in pratica ci dicono che non sta bene sputare nel piatto, e che siamo, in sostanza, manovrati a suon di volantini dalla CGIL.
Anche se c’è chi su EdScuola auspica che si faccia presto a mettere zizzania, a scatenare la guerra tra i poveri, con questo rifiuto, come dice Marina Boscaino, “la novità è che le scuole rialzino la testa, esigendo rispetto delle professionalità e della propria funzione culturale: non è il battere di tacchi e la posizione di attenti allo sventolio di un pugno di euro che Gelmini si aspettava” (vedi su PavoneRisorse).
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L’occhio del lupo
Tempi noir per la scuola
Il professor Israel non è a suo agio. Collabora con il simulacro che sta(rebbe) a capo dell’Istruzione, non si sa se pubblica o de papi suo (dice non va bene che le dai della mascotte, è irriguardoso: ma a me pare che le mascotte portino fortuna e ditemi voi se con tutte le porcherie che fanno non gli dice culo a rimanere ancora lì); collabora il professore, si diceva, porta pazienza e tutto. Però i simulacri a volte stentano, arrancano, infiacchiscono. La pazienza pure. Così l’ha detto: il professore è sbottato e ha detto che gli Invalsi non vanno bene per giudicare gli insegnanti, e nemmeno il parere dei genitori e degli studenti va bene. Ohibò. Ci vogliono gli ispettori, ha detto… poi si è fermato subito (un collaboratore deve fare attenzione).
Qui da noi la proposizione ha fatto un certo effetto. Saranno stati i puntini sospensivi. Non perché si abbia paura di gente (armata?) (e) col tesserino e che sa il fatto suo – lo Zibaldone passo passo, per dire. E’ che la pensata degli ispettori sa di detection story, e sebbene in LPELS si parli più agevolmente di sineddoche e terza rima, la narrativa è di casa. Attendiamo thriller foschi, noir psicologici, cacce al distopico.
(michele lupo)
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La settimana scolastica
Il 2010 è finito con l’approvazione della “riforma Gelmini” per l’università e la firma dell’accordo FIAT: «Dal 1925 il più grave atto antidemocratico verso il mondo del lavoro» secondo Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale della FIOM. “C’è un altro modo di pensare il futuro che non sia l’uccisione dei nostri diritti?” è la domanda di due giovani ricercatori precari dell’università di Pavia.
Il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è stato dedicato ai giovani e ha avuto parole contro “Disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Impoverimento di ceti operai e di ceti medi, specie nelle famiglie con più figli e un solo reddito. E ripresa della disoccupazione, sotto l’urto della crisi globale scoppiata nel 2008… Se non apriamo a questi ragazzi nuove possibilità di occupazione e di vita dignitosa, nuove opportunità di affermazione sociale, la partita del futuro è persa non solo per loro, ma per tutti, per l’Italia: ed è in scacco la democrazia“.
Di diffondere ottimismo s’incarica invece il Presidente del Consiglio, che dichiara che l’Italia tornerà a essere “un Paese per giovani… Nessun governo nel passato ha fatto così tanto per i giovani come il nostro… abbiamo varato una serie di provvedimenti ad hoc per i giovani a sostegno dello studio, della casa e del lavoro” (vedi qui)
Ciononostante l’Istat comunica che il tasso di disoccupazione ad ottobre è cresciuto all’8,7% dall’8,4% di settembre. Si tratta del valore più alto dal gennaio 2004. Particolarmente allarmanti i dati del tasso di disoccupazione dei giovani: uno su quattro è senza lavoro. Il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni nel terzo trimestre del 2010 ha raggiunto infatti il 24,7 %, con un massimo del 36 % per le donne del Mezzogiorno (vedi qui).
Per quanto riguarda la scuola, anche i dati della Ragioneria generale dello Stato confermano che nel 2009 calano i dipendenti pubblici e che i tagli maggiori riguardano il personale docente e non docente della scuola.
Si conferma che i lavoratori della scuola e del pubblico impiego perderanno circa 1600 euro a causa del blocco degli stipendi pubblici fino al 2013 previsto dalla manovra economica.
E arriva un nuovo colpo ai bilanci delle scuole. Il ricorso sistematico alle viste fiscali per assenze anche di un giorno imposto da Brunetta ha determinato dei costi esorbitanti per le amministrazioni pubbliche. Le ASL, alle prese con i tagli imposti dalle varie finanziarie, sono tornate alla carica, presentando il conto e la magistratura contabile ha confermato che le visite fiscali sono a carico delle scuole, che dovranno pagare gli arretrati dal 2008.
Per quanto riguarda l’ordinaria amministrazione, il 30 dicembre il Ministero dell’Istruzione ha emanato la circolare n. 101 sulle iscrizioni all’anno scolastico 2011/2012. Iscrizioni entro il 12 febbraio per i tutti gradi d’istruzione (qui dei consigli ai genitori affinché la modulistica non li indirizzi in modo non coerente con la normativa attualmente vigente). Sull’Inglese potenziato alla scuola media (cinque ore settimanali di inglese anziché tre più due di seconda lingua comunitaria) neppure una parola né nella circolare né sul modulo predisposto dal ministero.
Il 2011 sarà anche l’anno in cui sarà elevata di un anno l’età pensionabile per le donne (domande entro l’11 febbraio): 96 fra età anagrafica (minimo 60) e anni di servizio (minimo 35). E per decidere se trasferirsi da una scuola all’altra tra qualche giorno occorrerà mettersi davanti al computer: per la prima volta le domande di trasferimento si potranno presentare esclusivamente on line.
Per i precari. Scade il 23 gennaio la possibilità di presentare ricorso al giudice per non mandare in prescrizione diritti che si ritengono acquisiti (secondo la direttiva UE 1999/70/CE) e che il cosiddetto collegato lavoro cancellerebbe. “Quali sono i diritti più frequenti che si vogliono tutelare? Innanzitutto quelli di chi ha avuto un incarico annuale su un posto vacante e che aspira a un posto fisso. Secondo: il riconoscimento degli scatti biennali. Terzo: la ricostruzione di carriera. Infine il riconoscimento delle nomine in scadenza il 30 giugno fino al 31 agosto”. Sul tema vertenza nazionale della FLC e class action del Codacons gratuita per tutti i precari della scuola. Per aderire basta collegarsi al sito e compilare il form.
Ma in questo inizio 2011 il nuovo fronte di scontro tra il ministro Gelmini e la scuola italiana si gioca sul merito. Bocciata da 117 scuole su 118 a Genova e dalla quasi totalità delle scuole di Napoli, dove su 625 scuole solo 5 hanno aderito, il ministro vuole uscire da una situazione imbarazzante allargando la proposta a Milano e Cagliari. La speranza della Gelmini è che il direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia Giuseppe Colosio (considerato un “fedelissimo” della ministra) riesca nell’opera di moral suasion fra presidi e insegnanti necessaria a evitare il fallimento di questa “rivoluzione del merito” a cui è dedicata questa puntata di vivalascuola. Il primo appuntamento è il 13 gennaio, con la convocazione dei presidi milanesi da parte dell’Ufficio Scolastico Regionale.
Durante le feste un’altra operazione di suasion è stata messa a punto nei confronti degli studenti che nel mese di dicembre hanno partecipato a occupazioni nelle scuole: denunciati e indagati decine di studenti milanesi. “Negli ultimi vent’anni non si ha notizia di procedimenti per occupazione abusiva a carico studenti: non è tollerabile, così s’innalza il livello repressivo“, protesta l’avvocato Mirko Mazzali.
Magari sarà in previsione degli eventi di gennaio. I lavoratori della Fiat Mirafiori scrivono agli studenti: “Il sistema capitalistico vuole cancellare in un sol colpo il passato (i diritti e il reddito conquistati con lotte, con sacrifici e morte dai nostri padri) ed il futuro, cioè la possibilità di studio e di emancipazione per i nostri figli, in cambio di un presente sempre più improntato ad un consumismo immediato“. La FIOM proclama lo sciopero generale il 28 gennaio. Scioperano anche Cobas e Cub. Comunicato della FLC-CGIL e su ReteScuole (qui e qui) appelli alla mobilitazione in difesa dei diritti e del lavoro. E’ di questi giorni un appello a sostegno della FIOM e contro l’annientamento del diritto costituzionale alla rappresentanza sindacale.
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Petizione al Presidente della Repubblica: No ai tagli, no ai finanziamenti alle private.
Il decreto Brunetta qui.
Tutti i materiali sulla “riforma” delle Superiori qui.
Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.
Guide alla scuola della Gelmini qui.
Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.
Una sintesi dei provvedimenti del Governo sulla scuola qui.
Un manuale di resistenza alla scuola della Gelmini qui.
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Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.
Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.
Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Cub.
Spazi in rete sulla scuola qui.
(Vivalascuola è curata da Alessandro Cartoni, Michele Lupo, Giorgio Morale, Roberto Plevano, Lucia Tosi)